- I bisogni fondamentali cui rispondono oggi i servizi residenziali
- Le difficoltà affrontate negli ultimi anni dai servizi residenziali nel rapporto con le istituzioni sociosanitarie
- Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare il rapporto con le istituzioni sociosanitarie
- Le principali sfide che la residenzialità affronta nella relazione con i caregivers.
- Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare la relazione con i caregivers.
- Il ruolo dell’accreditamento nella residenzialità che gli associati a Rinata attuano.
- Cosa manca, secondo la nostra esperienza, per poter realizzare il continuum della cura dell’anziano fragile
- Quali sono oggi, nelle strutture che gli associati a Rinata rappresentano, le condizioni per una rimodulazione del personale socio-sanitario e assistenziale
Di Franco Iurlaro
I bisogni fondamentali cui rispondono oggi i servizi residenziali
Alla luce delle esperienze e dei dati sull’utenza delle strutture residenziali sociosanitarie, si può confermare che gli stessi servizi rispondano ai bisogni sociosanitari di persone, prevalentemente anziane, rientranti nella tipologia dell’essere “affette da patologie ad andamento cronico ed evolutivo per le quali non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita”, come peraltro descritto nella Legge 33/2023. Rispetto i bisogni di natura sanitaria, riguardano i livelli di intensità assistenziale elevata, alta e media già previsti dai LEA (2007). L’approccio alla rilevazione e risposta ai bisogni è centrato sulla singola persona e definito nel Piano Assistenziale Individuale (P.A.I.), oggi rivisto e chiamato Progetto di vita, che si basa appunto sui bisogni espressi e sui desideri della persona, accompagnati dal quadro delle condizioni clinico-funzionali e dal livello di fragilità individuati tramite la somministrazione di un adeguato strumento di valutazione multidimensionale, costantemente aggiornato nel tempo. Ciò al fine di proporre, mantenere o sostituire il ricorso a servizi continuativi, o di durata temporanea/sollievo o di lungo assistenza, in ambito residenziale, ma anche domiciliare o semiresidenziale a seconda della situazione in corso.
Le difficoltà affrontate negli ultimi anni dai servizi residenziali nel rapporto con le istituzioni sociosanitarie
Le Istituzioni sociosanitarie hanno vissuto le RSA come fornitori contrattualizzati di servizi, attraverso delle convenzioni, diverse Regione per Regione, a regolamentare il rapporto tra le parti; ognuna però nel proprio esclusivo interesse, sia con gestori pubblici, che privati, che del terzo settore. Alla base non vi è una condivisione di valori (dall’etica della cura alla centralità della persona e dei suoi diritti) che potrebbe costituire il fondamento di una partnership e di una strategia comune di integrazione sociosanitaria. Il settore sociosanitario “soffre di una carenza di collaborazione che è resa evidente dalla scarsa propensione a condividere dati e a fare apprendimento condiviso e collettivo”; a ciò, ne è riprova quanto verificatosi durante la pandemia, si unisce una scarsa conoscenza generale delle RSA come servizi e dell’utenza accolta, in termini quantitativi e qualitativi (a volte si ricordano solo con il termine riduttivo di “case di riposo” o come istituzioni totali o luoghi dove si va a morire). E ancora le istituzioni sociosanitarie sono deboli nel benchmarking e nella costruzione di reti che condividano dati e informazioni, in quanto “piegate” al pensiero della rendicontazione amministrativa, disabituate alla competizione esplicita tra pari (in quanto orientate al suddetto convenzionamento tramite i processi di accreditamento). Operano in regime di scarse risorse economico finanziarie con pochi margini di manovra e quindi di creatività – innovazione; sono organizzazioni abituate alla loro autonomia, in realtà dispersiva (vedasi le diverse e molteplici federazioni rappresentative) e con poca capacità di fare “squadra”, neppure nell’utopia dei Piani di Zona; sono istituzioni che hanno grosse difficoltà a immaginare e progettare uno scenario diverso da quello attuale, proprio perché autoreferenziali.
Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare il rapporto con le istituzioni sociosanitarie
È necessario pensare globalmente agli strumenti da mettere in campo per migliorare il rapporto tra tutte le istituzioni socio sanitarie, che si parli dei rapporti tra RSA e Aziende Sanitarie e Regioni, così come tra RSA e RSA, Aziende Sanitarie e Aziende Sanitarie, Regioni e Regioni, anche al fine di itinerari di condivisione di risorse e di miglioramento della qualità dei servizi. In tutte le istituzioni del settore socio sanitario vi sono sicuramente professionisti e manager che credono nel confronto e nell’agire collettivo, in sintonia con le caratteristiche vocazionali e profili personali che costituiscono elementi importanti per l’accesso al settore stesso. Diversa è la prospettiva delle organizzazioni, per una serie di elementi e prassi che le hanno rese per l’appunto autoreferenziali e deboli sui temi del benchmarking, della lettura dei dati e delle relative informazioni, della condivisione, delle possibili partnership, dell’approfondimento delle reciproche conoscenze, della comune riflessione sui temi del settore e quant’altro. Da parte del mondo più sensibile di alcune associazioni di RSA e Centri Servizi e professionisti, nonché del terzo settore, sono state fatte nel tempo diverse proposte, ultimo e non ultimo il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che ha elaborato una proposta per introdurre il Sistema Nazionale Assistenza Anziani in Italia, per portare un contributo al percorso sulla riforma per la non autosufficienza previsto dal PNRR e confluito nella legge 33/2023, della quale entro il 31 gennaio 2024 andranno approvati i decreti delegati che le daranno operatività. Lo stesso Patto, più recentemente, ha presentato un appello per rendere i decreti attuativi come “un’occasione irripetibile da cogliere appieno.” Parallelamente un gruppo di oltre venti associazioni del settore ha elaborato e presentato il manifesto delle RSA per un approccio gerontologico e geriatrico alla persona, dove si presenta la disponibilità a collaborare con tutte le istituzioni e il Governo in particolare, chiedendo che nella definizione delle prossime decretazioni ministeriali “vengano definiti obiettivi, linee guida, buone prassi finalizzati ad un elevato standard qualitativo di presa in carico della persona anziana e coerenti con il sapere e l’approccio gerontologico e geriatrico; venga tenuto ben presente la necessità di sviluppare il supporto dei geriatri e la diffusione di conoscenza e competenze geriatriche e gerontologiche in RSA e in tutti gli altri ambiti di assistenza agli anziani fragili; si valorizzino le potenzialità delle RSA rispetto al loro ruolo nella presa in carico degli anziani fragili del territorio di riferimento; si tenga in considerazione la necessità per il personale sociosanitario di evitare sperequazioni contrattuali che impediscono sane politiche di affiliazione agli enti e una conseguente stabilizzazione del lavoro.” Diversi sono quindi gli strumenti messi in campo, si tratta ora di trovare i luoghi di incontro e approfondimento dove tutte le parti possano sedere ad un tavolo di confronto ma anche di progettualità e programmazione.
Le principali sfide che la residenzialità affronta nella relazione con i caregivers.
Nella relazione di ogni RSA – centro servizi con i caregiver le principali sfide oggi sono legate alla reciproca conoscenza (di persone, professionisti, valori – mission – metodo di cura proposti dall’organizzazione) come premessa per instaurare un rapporto fiduciario e all’adozione di un contratto tra le parti che non riguardi solo la parte economica e dei servizi erogati, ma anche le modalità di rapporto, comunicazione, presenza e apporto degli stessi caregiver al progetto di vita della persona e della comunità. I limiti indotti della non autosufficienza sono causa di privazioni che favoriscono l’isolamento che caregivers” e “volontari” sono chiamati a contrastare nelle RSA – Centri di Servizi ma anche a domicilio. È altresì necessario e urgente avviare il percorso per riconoscere il ruolo del caregiver familiare nel sistema nazionale della Non Autosufficienza e per sostenerlo nel suo impegno di cura, con l’attenzione al fatto che il Governo, all’interno della legge 33/2013 intendeva inizialmente considerare esclusivamente i caregiver familiari conviventi con l’anziano mentre la definizione proposta dal Patto per la Non Autosufficienza comprende anche quelli non conviventi.
Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare la relazione con i caregivers.
Per i caregiver, al di là delle singole iniziative delle RSA (tra le quali comitati partecipativi, sportelli informativi, gruppi di auto aiuto, ecc.) per affrontare le sfide di cui al punto precedente, articolate come “buone prassi” e non generalmente estese, va previsto, anche normativamente, un articolato insieme di azioni, tra cui la considerazione delle loro condizioni nei vari momenti valutativi, la revisione delle tutele previdenziali, assicurative e degli strumenti per l’inserimento lavorativo e la promozione di forme integrate di sostegno. I temi della qualità, buone prassi, risk management e sicurezza, benessere organizzativo, anche alla luce della normativa del settore (vedi ISO, UNI, T.U. 81, ecc.) dovranno far parte di un approccio complessivo e olistico per tutta l’organizzazione, indistintamente rivolte a favore delle persone, del personale, dei caregiver.
Il ruolo dell’accreditamento nella residenzialità che gli associati a Rinata attuano.
Nel sistema della residenzialità, a gestione pubblica diretta o convenzionata, si rileva come i servizi siano erogati in media per l’85 in accreditamento con il S.S.R. ed il rimanente in forma privata, a diritto carico degli interessati e/o delle loro famiglie. Si evidenzia pertanto come l’accreditamento, nelle diverse modalità regionali, abbia un ruolo rilevante nel funzionamento del sistema stesso. Anche qui si rende necessaria la revisione delle normative regionali di riferimento con criteri di trasparenza e uguaglianza, su tutto il territorio nazionale sulla base di quanto previsto dall’articolo 117 Costituzione. L’accreditamento istituzionale (la l. 33 prevede tra l’altro la revisione dei criteri minimi di autorizzazione e accreditamento) dovrebbe poter utilizzare un processo meno burocratico, legato all’accertamento dei requisiti attraverso indicatori di adesione obbligatoria o ad un osservatorio regionale e/o nazionale validato del proprio settore d’attività e categoria o ad un sistema Qualità validato. Dato l’approccio multiservizi, l’accreditamento dovrebbe accertare la presenza della gestione di due o più soluzioni e servizi (a partire dall’ assistenza domiciliare all’housing sociale, residenza a tutela intermedia, hospice, etc.) e di almeno una proposta di servizi al territorio (es. riabilitativi, impianto sportivo aperto al pubblico, eventi culturali, servizi di accoglienza a minori, ecc.); la gestione informatizzata della cartella socio sanitaria e dei servizi socio assistenziali delle persone condivisibile in collegamento telematico con i servizi socio sanitari e sociali del territorio, con adeguati protocolli di sicurezza; la presenza di indici annuali di esito, processo, rischio, struttura, risultato attraverso i quali misurare e rendicontare i servizi; la presenza di Carta dei Servizi che, tra l’altro e/o attesti la presenza di uno sportello dedicato all’accoglienza e al supporto per la non autosufficienza e/o attesti la presenza organizzata delle associazioni di volontariato (definendone ruolo, funzioni e processi di coinvolgimento progettuale) e/o contenga la Carta d’Identità del Centro e/o definisca il contratto di servizio coerentemente integrato con la Carta dei Valori e dei Diritti; la presenza di Carta dei Valori e dei Diritti (i diritti delle persone accolte nei servizi devono essere oggetto della Carta dei valori dell’organizzazione e trascritti nel contratto tra il gestore e la persona); la presenza di organigramma e funzionigramma dettagliato e di protocolli che definiscano ruolo e funzioni dei professionisti dei servizi sociali, (intesi quali socio-assistenziali, socio-educativi, socio-sanitari, coinvolti nell’organizzazione), compreso il modello di equipe o team adottati; la presenza di un documento condiviso che raccolga le linee operative per la qualità dei servizi,
l’adozione e la condivisione delle best Practice, la gestione dei rischi e la sicurezza correlate al benessere organizzativo, ovvero un Manuale Qualità esteso; la presenza di uno strumento e processo validati per la stesura, la condivisione e l’aggiornamento nel tempo del Progetto di Vita, comprensivo del Piano Assistenziale Individuale, del Piano educativo, del Piano riabilitativo e del connesso budget personale di progetto. A tutto ciò dovrebbe essere integrata l’opzione volontaria dello sviluppo dell’accreditamento di eccellenza, inteso come riconoscimento internazionale dell’applicazione delle migliori pratiche organizzative e tecniche disponibili, attuate da parte delle strutture sanitarie, sociosanitarie e sociali, rimane di competenza regionale, su iniziativa dei singoli Centri Servizi alla persona rispetto anche la scelta del sistema di qualità da adottare.
La RSA che vorrei
Verso i Centri Servizi alla persona: la proposta dell’associazione RINATA
di Franco Iurlaro
“Gli autori, numerosi, che hanno collaborato alla realizzazione di questo libro, hanno fatto propria una prospettiva propositiva per uno sguardo verso il futuro, per quello che le nostre strutture possono offrire alle comunità locali negli anni che ci attendono”.
Cosa manca, secondo la nostra esperienza, per poter realizzare il continuum della cura dell’anziano fragile
Vi sono diversi aspetti cruciali relativi alla fragilità degli anziani e alle necessità di servizi adeguati a rispondere a tali sfide. Rispetto i cambiamenti sociali, con l’invecchiamento della popolazione, la società occidentale ha sperimentato cambiamenti significativi, inclusi mutamenti nella struttura familiare che possono portare a situazioni di fragilità, isolamento e solitudine per gli anziani, specialmente quando mancano reti di sostegno familiare. L’invecchiamento attivo è un obiettivo importante nella gestione della fragilità degli anziani, promuovendo la partecipazione sociale e il benessere anziché solo interventi reattivi. Esiste la necessità di servizi residenziali adeguati che rispondano alle esigenze complesse degli anziani fragili, garantendo sia cure mediche che un’attenzione alla qualità della vita e alle relazioni sociali e affettive; è fondamentale coinvolgere la comunità nella progettazione e nell’erogazione dei servizi per anziani, assicurando che i servizi rispecchino veramente i desideri e i bisogni della popolazione anziana. È importante un approccio olistico alla pianificazione dell’assistenza anziché concentrarsi solo sui problemi clinici e funzionali, considerando anche i bisogni esistenziali e la qualità della vita, verso l’adozione di un modello di qualità come approccio progettuale e valutativo per garantire un’assistenza centrata sulla persona e il suo benessere. Il tutto attraverso un approccio olistico alla cura degli anziani fragili, basato su criteri gerontologici e geriatrici che mirano al benessere psicofisico e alla qualità della vita, non trascurando il fornire un’adeguata assistenza palliativa e un accompagnamento umano e rispettoso durante la fase finale della vita degli anziani fragili, con un focus sulla dignità e sulla qualità dell’esperienza di vita fino alla fine. In sintesi si sottolinea la necessità di affrontare la fragilità degli anziani con un approccio completo e centrato sulla persona, integrando cure mediche con attenzione al benessere psicosociale e alla qualità della vita.
Quali sono oggi, nelle strutture che gli associati a Rinata rappresentano, le condizioni per una rimodulazione del personale socio-sanitario e assistenziale
Nel periodo post pandemia le RSA – Centri Servizi hanno trovato difficoltà nel sostituire personale infermieristico e O.S.S., portando alla riduzione dei posti letto per rispettare gli standard di accreditamento. L’aumento dei corsi di formazione non ha risolto il problema a causa della mancanza di partecipanti motivati. Una ricerca presso gestori di medio-grandi dimensioni ha rivelato una cronica carenza di professionisti socio-sanitari, attribuita principalmente a condizioni contrattuali e livello retributivo poco convenienti, oltre a fenomeni di burn-out. La legge 33/2023 prevede una rimodulazione del personale, ma gli standard riguardanti la presenza di operatori per le diverse tipologie di fragilità rimangono sfidanti da rispettare. Va valorizzata la creazione di team multidisciplinari per garantire un’assistenza olistica agli anziani, con una particolare attenzione agli ultra 75enni, sottolineando l’importanza di avere un gruppo di esperti costantemente presente per rispondere alle necessità dei residenti e di un personale direttivo in grado di individuare segnali di violenza. La necessità è quella di promuovere e mantenere un sistema complesso per definire una proposta assistenziale personalizzata, evitando sperequazioni contrattuali e promuovendo accordi internazionali di mobilità e scambio per garantire un equilibrio qualitativo e quantitativo di professionisti. Il momento è quello del cambiamento verso un modello organizzativo circolare, dove il progetto di vita e la qualità di vita sono centrali, con un’attenzione alla ristrutturazione degli ambienti residenziali per renderli più accoglienti e confortevoli.
(1)
Age-It: Ageing Well in an Ageing Society. Una nuova alleanza per progettare soluzioni socioeconomiche, biomediche e tecnologiche per un’Italia. Il progetto Age-It si propone di trasformare l’Italia in un polo scientifico internazionale per la ricerca sull’invecchiamento, un “laboratorio empirico” che rappresenti lo standard di riferimento in campo socio-economico, biomedico e tecnologico per costruire una società inclusiva per tutte le età, inclusiva verso tutte le generazioni. Lo Spoke 5, programma finanziato dal PNRR con 114 milioni di euro, è guidato dall’Università degli Studi di Bologna. È pensato per migliorare la salute dei caregiver e, in ottica bidirezionale, anche quella degli anziani non autosufficienti.
- I bisogni fondamentali cui rispondono oggi i servizi residenziali
- Le difficoltà affrontate negli ultimi anni dai servizi residenziali nel rapporto con le istituzioni sociosanitarie
- Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare il rapporto con le istituzioni sociosanitarie
- Le principali sfide che la residenzialità affronta nella relazione con i caregivers.
- Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare la relazione con i caregivers.
- Il ruolo dell’accreditamento nella residenzialità che gli associati a Rinata attuano.
- Cosa manca, secondo la nostra esperienza, per poter realizzare il continuum della cura dell’anziano fragile
- Quali sono oggi, nelle strutture che gli associati a Rinata rappresentano, le condizioni per una rimodulazione del personale socio-sanitario e assistenziale
Di Franco Iurlaro
I bisogni fondamentali cui rispondono oggi i servizi residenziali
Alla luce delle esperienze e dei dati sull’utenza delle strutture residenziali sociosanitarie, si può confermare che gli stessi servizi rispondano ai bisogni sociosanitari di persone, prevalentemente anziane, rientranti nella tipologia dell’essere “affette da patologie ad andamento cronico ed evolutivo per le quali non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita”, come peraltro descritto nella Legge 33/2023. Rispetto i bisogni di natura sanitaria, riguardano i livelli di intensità assistenziale elevata, alta e media già previsti dai LEA (2007). L’approccio alla rilevazione e risposta ai bisogni è centrato sulla singola persona e definito nel Piano Assistenziale Individuale (P.A.I.), oggi rivisto e chiamato Progetto di vita, che si basa appunto sui bisogni espressi e sui desideri della persona, accompagnati dal quadro delle condizioni clinico-funzionali e dal livello di fragilità individuati tramite la somministrazione di un adeguato strumento di valutazione multidimensionale, costantemente aggiornato nel tempo. Ciò al fine di proporre, mantenere o sostituire il ricorso a servizi continuativi, o di durata temporanea/sollievo o di lungo assistenza, in ambito residenziale, ma anche domiciliare o semiresidenziale a seconda della situazione in corso.
Le difficoltà affrontate negli ultimi anni dai servizi residenziali nel rapporto con le istituzioni sociosanitarie
Le Istituzioni sociosanitarie hanno vissuto le RSA come fornitori contrattualizzati di servizi, attraverso delle convenzioni, diverse Regione per Regione, a regolamentare il rapporto tra le parti; ognuna però nel proprio esclusivo interesse, sia con gestori pubblici, che privati, che del terzo settore. Alla base non vi è una condivisione di valori (dall’etica della cura alla centralità della persona e dei suoi diritti) che potrebbe costituire il fondamento di una partnership e di una strategia comune di integrazione sociosanitaria. Il settore sociosanitario “soffre di una carenza di collaborazione che è resa evidente dalla scarsa propensione a condividere dati e a fare apprendimento condiviso e collettivo”; a ciò, ne è riprova quanto verificatosi durante la pandemia, si unisce una scarsa conoscenza generale delle RSA come servizi e dell’utenza accolta, in termini quantitativi e qualitativi (a volte si ricordano solo con il termine riduttivo di “case di riposo” o come istituzioni totali o luoghi dove si va a morire). E ancora le istituzioni sociosanitarie sono deboli nel benchmarking e nella costruzione di reti che condividano dati e informazioni, in quanto “piegate” al pensiero della rendicontazione amministrativa, disabituate alla competizione esplicita tra pari (in quanto orientate al suddetto convenzionamento tramite i processi di accreditamento). Operano in regime di scarse risorse economico finanziarie con pochi margini di manovra e quindi di creatività – innovazione; sono organizzazioni abituate alla loro autonomia, in realtà dispersiva (vedasi le diverse e molteplici federazioni rappresentative) e con poca capacità di fare “squadra”, neppure nell’utopia dei Piani di Zona; sono istituzioni che hanno grosse difficoltà a immaginare e progettare uno scenario diverso da quello attuale, proprio perché autoreferenziali.
Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare il rapporto con le istituzioni sociosanitarie
È necessario pensare globalmente agli strumenti da mettere in campo per migliorare il rapporto tra tutte le istituzioni socio sanitarie, che si parli dei rapporti tra RSA e Aziende Sanitarie e Regioni, così come tra RSA e RSA, Aziende Sanitarie e Aziende Sanitarie, Regioni e Regioni, anche al fine di itinerari di condivisione di risorse e di miglioramento della qualità dei servizi. In tutte le istituzioni del settore socio sanitario vi sono sicuramente professionisti e manager che credono nel confronto e nell’agire collettivo, in sintonia con le caratteristiche vocazionali e profili personali che costituiscono elementi importanti per l’accesso al settore stesso. Diversa è la prospettiva delle organizzazioni, per una serie di elementi e prassi che le hanno rese per l’appunto autoreferenziali e deboli sui temi del benchmarking, della lettura dei dati e delle relative informazioni, della condivisione, delle possibili partnership, dell’approfondimento delle reciproche conoscenze, della comune riflessione sui temi del settore e quant’altro. Da parte del mondo più sensibile di alcune associazioni di RSA e Centri Servizi e professionisti, nonché del terzo settore, sono state fatte nel tempo diverse proposte, ultimo e non ultimo il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che ha elaborato una proposta per introdurre il Sistema Nazionale Assistenza Anziani in Italia, per portare un contributo al percorso sulla riforma per la non autosufficienza previsto dal PNRR e confluito nella legge 33/2023, della quale entro il 31 gennaio 2024 andranno approvati i decreti delegati che le daranno operatività. Lo stesso Patto, più recentemente, ha presentato un appello per rendere i decreti attuativi come “un’occasione irripetibile da cogliere appieno.” Parallelamente un gruppo di oltre venti associazioni del settore ha elaborato e presentato il manifesto delle RSA per un approccio gerontologico e geriatrico alla persona, dove si presenta la disponibilità a collaborare con tutte le istituzioni e il Governo in particolare, chiedendo che nella definizione delle prossime decretazioni ministeriali “vengano definiti obiettivi, linee guida, buone prassi finalizzati ad un elevato standard qualitativo di presa in carico della persona anziana e coerenti con il sapere e l’approccio gerontologico e geriatrico; venga tenuto ben presente la necessità di sviluppare il supporto dei geriatri e la diffusione di conoscenza e competenze geriatriche e gerontologiche in RSA e in tutti gli altri ambiti di assistenza agli anziani fragili; si valorizzino le potenzialità delle RSA rispetto al loro ruolo nella presa in carico degli anziani fragili del territorio di riferimento; si tenga in considerazione la necessità per il personale sociosanitario di evitare sperequazioni contrattuali che impediscono sane politiche di affiliazione agli enti e una conseguente stabilizzazione del lavoro.” Diversi sono quindi gli strumenti messi in campo, si tratta ora di trovare i luoghi di incontro e approfondimento dove tutte le parti possano sedere ad un tavolo di confronto ma anche di progettualità e programmazione.
Le principali sfide che la residenzialità affronta nella relazione con i caregivers.
Nella relazione di ogni RSA – centro servizi con i caregiver le principali sfide oggi sono legate alla reciproca conoscenza (di persone, professionisti, valori – mission – metodo di cura proposti dall’organizzazione) come premessa per instaurare un rapporto fiduciario e all’adozione di un contratto tra le parti che non riguardi solo la parte economica e dei servizi erogati, ma anche le modalità di rapporto, comunicazione, presenza e apporto degli stessi caregiver al progetto di vita della persona e della comunità. I limiti indotti della non autosufficienza sono causa di privazioni che favoriscono l’isolamento che caregivers” e “volontari” sono chiamati a contrastare nelle RSA – Centri di Servizi ma anche a domicilio. È altresì necessario e urgente avviare il percorso per riconoscere il ruolo del caregiver familiare nel sistema nazionale della Non Autosufficienza e per sostenerlo nel suo impegno di cura, con l’attenzione al fatto che il Governo, all’interno della legge 33/2013 intendeva inizialmente considerare esclusivamente i caregiver familiari conviventi con l’anziano mentre la definizione proposta dal Patto per la Non Autosufficienza comprende anche quelli non conviventi.
Gli strumenti che sono stati messi in campo per migliorare la relazione con i caregivers.
Per i caregiver, al di là delle singole iniziative delle RSA (tra le quali comitati partecipativi, sportelli informativi, gruppi di auto aiuto, ecc.) per affrontare le sfide di cui al punto precedente, articolate come “buone prassi” e non generalmente estese, va previsto, anche normativamente, un articolato insieme di azioni, tra cui la considerazione delle loro condizioni nei vari momenti valutativi, la revisione delle tutele previdenziali, assicurative e degli strumenti per l’inserimento lavorativo e la promozione di forme integrate di sostegno. I temi della qualità, buone prassi, risk management e sicurezza, benessere organizzativo, anche alla luce della normativa del settore (vedi ISO, UNI, T.U. 81, ecc.) dovranno far parte di un approccio complessivo e olistico per tutta l’organizzazione, indistintamente rivolte a favore delle persone, del personale, dei caregiver.
Il ruolo dell’accreditamento nella residenzialità che gli associati a Rinata attuano.
Nel sistema della residenzialità, a gestione pubblica diretta o convenzionata, si rileva come i servizi siano erogati in media per l’85 in accreditamento con il S.S.R. ed il rimanente in forma privata, a diritto carico degli interessati e/o delle loro famiglie. Si evidenzia pertanto come l’accreditamento, nelle diverse modalità regionali, abbia un ruolo rilevante nel funzionamento del sistema stesso. Anche qui si rende necessaria la revisione delle normative regionali di riferimento con criteri di trasparenza e uguaglianza, su tutto il territorio nazionale sulla base di quanto previsto dall’articolo 117 Costituzione. L’accreditamento istituzionale (la l. 33 prevede tra l’altro la revisione dei criteri minimi di autorizzazione e accreditamento) dovrebbe poter utilizzare un processo meno burocratico, legato all’accertamento dei requisiti attraverso indicatori di adesione obbligatoria o ad un osservatorio regionale e/o nazionale validato del proprio settore d’attività e categoria o ad un sistema Qualità validato. Dato l’approccio multiservizi, l’accreditamento dovrebbe accertare la presenza della gestione di due o più soluzioni e servizi (a partire dall’ assistenza domiciliare all’housing sociale, residenza a tutela intermedia, hospice, etc.) e di almeno una proposta di servizi al territorio (es. riabilitativi, impianto sportivo aperto al pubblico, eventi culturali, servizi di accoglienza a minori, ecc.); la gestione informatizzata della cartella socio sanitaria e dei servizi socio assistenziali delle persone condivisibile in collegamento telematico con i servizi socio sanitari e sociali del territorio, con adeguati protocolli di sicurezza; la presenza di indici annuali di esito, processo, rischio, struttura, risultato attraverso i quali misurare e rendicontare i servizi; la presenza di Carta dei Servizi che, tra l’altro e/o attesti la presenza di uno sportello dedicato all’accoglienza e al supporto per la non autosufficienza e/o attesti la presenza organizzata delle associazioni di volontariato (definendone ruolo, funzioni e processi di coinvolgimento progettuale) e/o contenga la Carta d’Identità del Centro e/o definisca il contratto di servizio coerentemente integrato con la Carta dei Valori e dei Diritti; la presenza di Carta dei Valori e dei Diritti (i diritti delle persone accolte nei servizi devono essere oggetto della Carta dei valori dell’organizzazione e trascritti nel contratto tra il gestore e la persona); la presenza di organigramma e funzionigramma dettagliato e di protocolli che definiscano ruolo e funzioni dei professionisti dei servizi sociali, (intesi quali socio-assistenziali, socio-educativi, socio-sanitari, coinvolti nell’organizzazione), compreso il modello di equipe o team adottati; la presenza di un documento condiviso che raccolga le linee operative per la qualità dei servizi,
l’adozione e la condivisione delle best Practice, la gestione dei rischi e la sicurezza correlate al benessere organizzativo, ovvero un Manuale Qualità esteso; la presenza di uno strumento e processo validati per la stesura, la condivisione e l’aggiornamento nel tempo del Progetto di Vita, comprensivo del Piano Assistenziale Individuale, del Piano educativo, del Piano riabilitativo e del connesso budget personale di progetto. A tutto ciò dovrebbe essere integrata l’opzione volontaria dello sviluppo dell’accreditamento di eccellenza, inteso come riconoscimento internazionale dell’applicazione delle migliori pratiche organizzative e tecniche disponibili, attuate da parte delle strutture sanitarie, sociosanitarie e sociali, rimane di competenza regionale, su iniziativa dei singoli Centri Servizi alla persona rispetto anche la scelta del sistema di qualità da adottare.
La RSA che vorrei
Verso i Centri Servizi alla persona: la proposta dell’associazione RINATA
di Franco Iurlaro
“Gli autori, numerosi, che hanno collaborato alla realizzazione di questo libro, hanno fatto propria una prospettiva propositiva per uno sguardo verso il futuro, per quello che le nostre strutture possono offrire alle comunità locali negli anni che ci attendono”.
Cosa manca, secondo la nostra esperienza, per poter realizzare il continuum della cura dell’anziano fragile
Vi sono diversi aspetti cruciali relativi alla fragilità degli anziani e alle necessità di servizi adeguati a rispondere a tali sfide. Rispetto i cambiamenti sociali, con l’invecchiamento della popolazione, la società occidentale ha sperimentato cambiamenti significativi, inclusi mutamenti nella struttura familiare che possono portare a situazioni di fragilità, isolamento e solitudine per gli anziani, specialmente quando mancano reti di sostegno familiare. L’invecchiamento attivo è un obiettivo importante nella gestione della fragilità degli anziani, promuovendo la partecipazione sociale e il benessere anziché solo interventi reattivi. Esiste la necessità di servizi residenziali adeguati che rispondano alle esigenze complesse degli anziani fragili, garantendo sia cure mediche che un’attenzione alla qualità della vita e alle relazioni sociali e affettive; è fondamentale coinvolgere la comunità nella progettazione e nell’erogazione dei servizi per anziani, assicurando che i servizi rispecchino veramente i desideri e i bisogni della popolazione anziana. È importante un approccio olistico alla pianificazione dell’assistenza anziché concentrarsi solo sui problemi clinici e funzionali, considerando anche i bisogni esistenziali e la qualità della vita, verso l’adozione di un modello di qualità come approccio progettuale e valutativo per garantire un’assistenza centrata sulla persona e il suo benessere. Il tutto attraverso un approccio olistico alla cura degli anziani fragili, basato su criteri gerontologici e geriatrici che mirano al benessere psicofisico e alla qualità della vita, non trascurando il fornire un’adeguata assistenza palliativa e un accompagnamento umano e rispettoso durante la fase finale della vita degli anziani fragili, con un focus sulla dignità e sulla qualità dell’esperienza di vita fino alla fine. In sintesi si sottolinea la necessità di affrontare la fragilità degli anziani con un approccio completo e centrato sulla persona, integrando cure mediche con attenzione al benessere psicosociale e alla qualità della vita.
Quali sono oggi, nelle strutture che gli associati a Rinata rappresentano, le condizioni per una rimodulazione del personale socio-sanitario e assistenziale
Nel periodo post pandemia le RSA – Centri Servizi hanno trovato difficoltà nel sostituire personale infermieristico e O.S.S., portando alla riduzione dei posti letto per rispettare gli standard di accreditamento. L’aumento dei corsi di formazione non ha risolto il problema a causa della mancanza di partecipanti motivati. Una ricerca presso gestori di medio-grandi dimensioni ha rivelato una cronica carenza di professionisti socio-sanitari, attribuita principalmente a condizioni contrattuali e livello retributivo poco convenienti, oltre a fenomeni di burn-out. La legge 33/2023 prevede una rimodulazione del personale, ma gli standard riguardanti la presenza di operatori per le diverse tipologie di fragilità rimangono sfidanti da rispettare. Va valorizzata la creazione di team multidisciplinari per garantire un’assistenza olistica agli anziani, con una particolare attenzione agli ultra 75enni, sottolineando l’importanza di avere un gruppo di esperti costantemente presente per rispondere alle necessità dei residenti e di un personale direttivo in grado di individuare segnali di violenza. La necessità è quella di promuovere e mantenere un sistema complesso per definire una proposta assistenziale personalizzata, evitando sperequazioni contrattuali e promuovendo accordi internazionali di mobilità e scambio per garantire un equilibrio qualitativo e quantitativo di professionisti. Il momento è quello del cambiamento verso un modello organizzativo circolare, dove il progetto di vita e la qualità di vita sono centrali, con un’attenzione alla ristrutturazione degli ambienti residenziali per renderli più accoglienti e confortevoli.
(1)
Age-It: Ageing Well in an Ageing Society. Una nuova alleanza per progettare soluzioni socioeconomiche, biomediche e tecnologiche per un’Italia. Il progetto Age-It si propone di trasformare l’Italia in un polo scientifico internazionale per la ricerca sull’invecchiamento, un “laboratorio empirico” che rappresenti lo standard di riferimento in campo socio-economico, biomedico e tecnologico per costruire una società inclusiva per tutte le età, inclusiva verso tutte le generazioni. Lo Spoke 5, programma finanziato dal PNRR con 114 milioni di euro, è guidato dall’Università degli Studi di Bologna. È pensato per migliorare la salute dei caregiver e, in ottica bidirezionale, anche quella degli anziani non autosufficienti.