Infermiere per caso

Rolando Moises non voleva fare l’infermiere.

Il suo progetto era quello di diventare microbiologo ma, purtroppo, non riuscì a entrare al corso di laurea.

Fu solo per uno scherzo tra amici che scelse, come ripiego, il corso di studi in infermieristica.

Siamo ad Ayacucho, in Perù. È il 1982 e Rolando muove i suoi primi passi in Università, senza sapere che proprio qui, nella sua regione, e proprio ora, si stanno per intensificare i conflitti tra il gruppo guerrigliero maoista “Sendero luminoso” e il governo peruviano.

Inizia da quel momento una lunghissima e sanguinosa guerra civile, di cui si conteranno alla fine circa 69 mila morti, per non parlare delle persone ferite, torturate o “desaparecidas”.

Un conflitto che si attenuerà solo negli anni ’90, lasciando però segni profondi sulla società peruviana, con conseguenze sociali, culturali ed economiche che ancora oggi permangono.

Morivano a centinaia”, mi racconta Rolando.

“arrivavano in ospedale tantissime persone ferite. E così nel 1984 mi sono offerto volontario per andare a fare tirocinio in ospedale. E lì ho imparato tutto.

Ho visto persone senza arti, con coltelli nel petto o asce in testa; ho visto persone gravemente ferite arrivare in ospedale sui furgoni, perché in ambulanza tutti non ci stavano.

Ho visto da vicino tutta la sofferenza umana e ho capito quanto fosse importante l’intervento infermieristico: potevamo fare la differenza tra la vita e la morte per queste persone.

Mi sono sentito utile.

Ho iniziato senza vocazione, ma alla fine l’ho trovata in me proprio aiutando tutta questa gente”.

L’arrivo in Italia

È con questa storia incisa nella pelle che Rolando arriva in Italia nel 2006, a Vercelli, insieme alla moglie, anche lei infermiera. Non è una scelta facile, ma hanno il sostegno della famiglia: in Perù rimangono i due figli piccoli, affidati alle cure degli zii.

Inizierà lavorando in ospedale a Biella, dove, mi dice, si sentirà aiutato da caposala e colleghi ma troverà di fatto un ambiente molto diverso da quello a cui era abituato in Perù.

Troverà infatti impegnativa la parte burocratica, che in Perù è demandata a degli uffici appositi e non compete all’infermiere che si occupa dell’assistenza diretta. Così come si sentirà per certi aspetti “diminuito” nel suo ruolo qui, “quasi trattato come un tirocinante”.

Dall’ospedale approderà poi in RSA nel 2009 – precisamente alla Fondazione A. E. Cerino Zegna di Occhieppo Inferiore (BI) e lo farà per poter avere un contratto a tempo indeterminato e portare i figli qui in Italia, cosicché possano finalmente ricongiungersi.

Saranno proprio i figli a far rimanere tutti loro in Italia, anche quando lui penserà più volte di tornare in Perù.

Culture a confronto

Mi dice infatti che i ragazzi “hanno cambiato il modo di pensare” e si sono abituati più agilmente alla nostra cultura. Per lui e la moglie, già adulti, è stato invece più difficile.

Casa sua gli manca, e soprattutto gli manca la felicità della sua gente, così predisposta per cultura a godersi il presente, a celebrare in modo più festoso ogni ricorrenza.

[Questo suo pensiero mi ricorda da vicino quanto mi avevano raccontato le OSS colombiane Olga e Nelly, a proposito della felicità del loro paese, di cui ho parlato in quest’articolo.]

“Mi mancano i compleanni festeggiati con i colleghi in Perù. Ci prendevamo l’intera giornata ed era un modo per scaricare lo stress e tornare con più energia al lavoro”, mi racconta.

Ancora una volta, ascoltando, sento come ci cono culture dove la relazione è davvero al centro, forse anche per le storie tragiche che le hanno forgiate.

E proprio da quella storia triste da cui abbiamo iniziato, torna ancora oggi per Rolando il motivo che gli rende piacevole il suo lavoro:

“Del mio lavoro mi piace il fatto che sono utile agli altri.

Quando mi prendo cura delle persone anziane le guardo come se fossero mio nonno e mia nonna.

Io accarezzo e accudisco, mantenendo sempre il contatto fisico.

Qui vedo che la cultura lascia meno spazio al contatto. È vero che abbiamo poco tempo e dobbiamo correre, ma è da lì che passa la fiducia con la persona, ed è così che ti puoi accorgere per tempo di lei e di tutti i suoi bisogni.”

About the Author: Giulia Dapero

Giulia Dapero
Direttrice editoriale CURA _ Co-founder Editrice Dapero

Infermiere per caso

Rolando Moises non voleva fare l’infermiere.

Il suo progetto era quello di diventare microbiologo ma, purtroppo, non riuscì a entrare al corso di laurea.

Fu solo per uno scherzo tra amici che scelse, come ripiego, il corso di studi in infermieristica.

Siamo ad Ayacucho, in Perù. È il 1982 e Rolando muove i suoi primi passi in Università, senza sapere che proprio qui, nella sua regione, e proprio ora, si stanno per intensificare i conflitti tra il gruppo guerrigliero maoista “Sendero luminoso” e il governo peruviano.

Inizia da quel momento una lunghissima e sanguinosa guerra civile, di cui si conteranno alla fine circa 69 mila morti, per non parlare delle persone ferite, torturate o “desaparecidas”.

Un conflitto che si attenuerà solo negli anni ’90, lasciando però segni profondi sulla società peruviana, con conseguenze sociali, culturali ed economiche che ancora oggi permangono.

Morivano a centinaia”, mi racconta Rolando.

“arrivavano in ospedale tantissime persone ferite. E così nel 1984 mi sono offerto volontario per andare a fare tirocinio in ospedale. E lì ho imparato tutto.

Ho visto persone senza arti, con coltelli nel petto o asce in testa; ho visto persone gravemente ferite arrivare in ospedale sui furgoni, perché in ambulanza tutti non ci stavano.

Ho visto da vicino tutta la sofferenza umana e ho capito quanto fosse importante l’intervento infermieristico: potevamo fare la differenza tra la vita e la morte per queste persone.

Mi sono sentito utile.

Ho iniziato senza vocazione, ma alla fine l’ho trovata in me proprio aiutando tutta questa gente”.

L’arrivo in Italia

È con questa storia incisa nella pelle che Rolando arriva in Italia nel 2006, a Vercelli, insieme alla moglie, anche lei infermiera. Non è una scelta facile, ma hanno il sostegno della famiglia: in Perù rimangono i due figli piccoli, affidati alle cure degli zii.

Inizierà lavorando in ospedale a Biella, dove, mi dice, si sentirà aiutato da caposala e colleghi ma troverà di fatto un ambiente molto diverso da quello a cui era abituato in Perù.

Troverà infatti impegnativa la parte burocratica, che in Perù è demandata a degli uffici appositi e non compete all’infermiere che si occupa dell’assistenza diretta. Così come si sentirà per certi aspetti “diminuito” nel suo ruolo qui, “quasi trattato come un tirocinante”.

Dall’ospedale approderà poi in RSA nel 2009 – precisamente alla Fondazione A. E. Cerino Zegna di Occhieppo Inferiore (BI) e lo farà per poter avere un contratto a tempo indeterminato e portare i figli qui in Italia, cosicché possano finalmente ricongiungersi.

Saranno proprio i figli a far rimanere tutti loro in Italia, anche quando lui penserà più volte di tornare in Perù.

Culture a confronto

Mi dice infatti che i ragazzi “hanno cambiato il modo di pensare” e si sono abituati più agilmente alla nostra cultura. Per lui e la moglie, già adulti, è stato invece più difficile.

Casa sua gli manca, e soprattutto gli manca la felicità della sua gente, così predisposta per cultura a godersi il presente, a celebrare in modo più festoso ogni ricorrenza.

[Questo suo pensiero mi ricorda da vicino quanto mi avevano raccontato le OSS colombiane Olga e Nelly, a proposito della felicità del loro paese, di cui ho parlato in quest’articolo.]

“Mi mancano i compleanni festeggiati con i colleghi in Perù. Ci prendevamo l’intera giornata ed era un modo per scaricare lo stress e tornare con più energia al lavoro”, mi racconta.

Ancora una volta, ascoltando, sento come ci cono culture dove la relazione è davvero al centro, forse anche per le storie tragiche che le hanno forgiate.

E proprio da quella storia triste da cui abbiamo iniziato, torna ancora oggi per Rolando il motivo che gli rende piacevole il suo lavoro:

“Del mio lavoro mi piace il fatto che sono utile agli altri.

Quando mi prendo cura delle persone anziane le guardo come se fossero mio nonno e mia nonna.

Io accarezzo e accudisco, mantenendo sempre il contatto fisico.

Qui vedo che la cultura lascia meno spazio al contatto. È vero che abbiamo poco tempo e dobbiamo correre, ma è da lì che passa la fiducia con la persona, ed è così che ti puoi accorgere per tempo di lei e di tutti i suoi bisogni.”

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Giulia Dapero
Direttrice editoriale CURA _ Co-founder Editrice Dapero

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