Il riconoscimento degli educatori è un risultato ancora da ottenere dentro e fuori l’équipe di cura. Ma ecco cosa possono fare i professionisti per stimolarlo “da dentro”
Cosa possiamo fare noi professionisti dell’ambito educativo per ottenere un maggiore riconoscimento?
L’educatore porta avanti questa battaglia già da molti anni, qualcosa nel tempo è già stato ottenuto, ma non basta, ed è ovvio che non può fare tutto da solo. È sicuramente necessario un intervento politico, ma anche il singolo professionista nel suo piccolo può fare qualcosa per stimolare questo riconoscimento all’esterno.
Se si vuole ottenere maggiore riconoscimento bisogna innanzitutto farsi conoscere dai colleghi, da chi organizza e gestisce i servizi e dalla società in generale. Come? Documentando quotidianamente il proprio lavoro, entrando in relazione con i colleghi e spostandoci da quell’angolino in cui spesso provano a metterci.
La documentazione educativa
Gli educatori fanno tante cose, ma documentano ciò che fanno? Ho voluto girare la domanda anche ad altri colleghi e per farlo ho utilizzato il mio profilo Instagram. Ciò che emerso è che non sempre il lavoro educativo viene documentato. Perché? La maggior parte delle volte perché non viene richiesto “dai piani alti”, altre volte perché non si ha abbastanza tempo o perché si ritiene inutile. Ma scrivere è veramente una perdita di tempo?
L’importanza della scrittura
Scrivere non è mai una perdita di tempo, e non sono sicuramente la prima persona a dirlo. Studiosi decisamente più autorevoli di me lo affermano da diverso tempo, eppure molti educatori sembrano non crederci ancora molto.
La scrittura può essere un ottimo strumento riflessivo per il professionista, che descrivendo il proprio intervento ha modo di osservare il suo operato dall’esterno e di valutarlo, attribuendo un senso a quanto emerso nella relazione educativa. La narrazione permette inoltre di arrivare ad altri professionisti. Spesso, infatti, agli educatori viene chiesto di redigere relazioni e report da condividere a direttori, assistenti sociali, ASL, da leggere durante le riunioni d’équipe.
Attraverso la scrittura si può definire, descrivere, analizzare, ipotizzare, mettere in relazione. Inoltre, scrivere permette di semplificare qualcosa di altamente complesso, stimolare delle riflessioni, aiutarci a problematizzare o fornire risposte.
In questo contesto vorrei porre l’accento sul potere descrittivo. La scrittura infatti può aiutare a spiegare il lavoro educativo a chi fatica a comprenderlo e può aiutare a stimolarne il riconoscimento sociale. Fortunatamente in questo ambito viene chiesto spesso di produrre diversi documenti: report, relazioni, griglie, schede ecc. In alcuni di questi documenti la scrittura è più fluida e discorsiva ed è possibile descrivere più nel dettaglio l’intervento, quali sono le teorie e gli studi che hanno guidato determinate scelte e quale documentazione ci sia a sostegno delle tesi, in altri invece più rigida e sintetica.
La scrittura, quindi, è quello strumento che più di tutti può aiutarci a far emergere il nostro lavoro, attribuendo ad esso la giusta importanza, ma per essere efficace e per garantirci il giusto riconoscimento deve essere professionale, consapevole e corretta.
Scrivere può essere quindi un modo per riscattare la nostra professione e dimostrare che un intervento educativo non si piò improvvisare, non può essere lasciato al caso, e necessita di professionisti qualificati.
La scrittura però necessita di un linguaggio che sia comprensibile a tutti e, per far in modo i membri di un’équipe entrino in relazione è necessario adottare un linguaggio comune.
Adottare un linguaggio comune
Il lavoro educativo si può realizzare in diversi contesti ed è fondamentale quando si inizia a lavorare in un determinato servizio familiarizzare fin da subito con i diversi linguaggi di quel contesto specifico.
Mi ricordo la prima riunione di aggiornamento dei Piani Assistenziali Individualizzati (PAI) alla quale ho partecipato. Ero in RSA da circa una settimana ed era la prima esperienza in quell’ambito. Non ho capito quasi niente di quanto era stato detto dai colleghi: disfagie, PEG, mezzi di contenzione. Finita la riunione ho capito che dovevo impegnarmi un po’ per imparare il linguaggio tipico di quel servizio e poter costruire un linguaggio comune, altrimenti non sarei riuscita ad integrarmi all’interno dell’équipe.
Nelle riunioni a seguire ogni volta che emergeva un termine medico-infermieristico nuovo chiedevo spiegazioni o, più timidamente, cercavo online. Con il tempo poi ho voluto approfondire questioni legate all’area sociale come l’accreditamento e le udienze per la tutela. Comprendere i miei colleghi e iniziare a parlare una lingua comune è stato fondamentale per entrare in relazione con loro e sentirmi parte della squadra.
Farsi conoscere però significa anche emergere come professionisti provando ad uscire da quell’angolino in cui spesso provano a mettere l’educatore. Questo è il cammino per ottenere maggiore riconoscimento per questa professione.
Bibiografia:
- Crisafulli, F. (2016). E.P. Educatore professionale. Maggioli Editore.
- Gasperi, E., & Vittadello, C. (2017). L’importanza del diario di bordo nelle professioni educative. Studium Educationis, 18(2)
- Mariani, V. (2021). Dirigere servizi alla persona. Competenze e metodologia. ED Editrice Dapero.
- Riccucci, M., Forneris, A., & Scarpa, P. N. (2014). Scrivere per professione. L’educatore professionale e la documentazione educativa. Unicopli.
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