Prima di iniziare a leggere, un avvertimento: l’articolo ripercorre alcuni momenti salienti dell’epoca pandemica, a partire dalle tragedie avvenute nei mesi di marzo-aprile 2020. Si consiglia la lettura solo a chi sente di aver adeguatamente elaborato i propri vissuti relativi a quello specifico momento storico.
Ringrazio il Professor Costanzo Ranci per tutte le informazioni raccolte e condivise.
E ora parliamo delle RSA
È il 5 aprile 2020 e, di colpo, il nostro Paese scopre che esistono le RSA.
La Repubblica ha appena pubblicato un articolo di Gad Lerner intitolato “La strage nascosta al Trivulzio”: è la prima volta che si parla su un media nazionale delle morti avvenute in RSA a causa del Covid. È questo infatti il momento in cui prendono avvio le inchieste giudiziarie che tutti ricordiamo e, forse, per il polso dei media, i tempi sono maturi per dirottare le angosce dell’opinione pubblica attorno a uno “scandalo”.
Quel giorno, come tutti, legge i giornali anche Costanzo Ranci, professore di sociologia al politecnico di Milano che – mi dice – si sentirà “ferito dentro” da quel titolo; ferito al punto tale da sentire il desiderio di ricostruire con onestà intellettuale quanto accaduto nei primi 44 giorni di pandemia all’interno delle RSA.
Inizia qui il suo lavoro di ricerca e successiva stesura delle pagine che diventeranno poi – nel 2023 e grazie a Mimesis edizioni – l’opera di cui sto per parlare: Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo.
Morti invisibili
Un’opera che è stata in prima battuta rifiutata proprio da molti gestori delle RSA che, fermandosi al titolo, si sono probabilmente sentiti ancora una volta colpiti. Chi l’ha letta, però, ha potuto notare che non vi è una riga in cui l’autore mostri un’intenzione colpevolizzante, per quanto sottolinei come l’utilizzo del temine “strage” sia, purtroppo, corretto.
Più di 15 mila persone persero infatti la vita in RSA nei primi due mesi di pandemia, e nel totale silenzio: non rientrarono nelle statistiche quotidiane sulle vittime del Covid e non furono in quei giorni al centro di alcun dibattitto pubblico.
Si tratta di un numero calcolato sulla base della mortalità in eccesso nel periodo marzo-aprile 2020 messa a confronto con il periodo corrispondente 2015-19 (1), che acquista particolare significato se si pensa che tutte le catastrofi avvenute nel nostro paese dal dopoguerra – dal disastro del Vajont al terremoto dell’Irpinia – sono state di proporzioni molto più contenute.
E se si considera che, sebbene i dati dell’aumento della mortalità siano impressionanti in tutti contesti, nelle strutture residenziali essi mostrano un aumento esponenziale: da una media di 10.000 morti in due mesi nel quinquennio precedente, a un numero di decessi pari a 25.000 nel marzo-aprile 2020, con un aumento pari al 150% (2).
Ma si tratta, come dicevamo, di “morti invisibili”: se negli ospedali, infatti, pressoché tutte le morti in eccesso sono dovute al virus diagnosticato, nelle RSA sembra che solo 2.732 persone abbiano perso la vita a causa del virus, identificato tramite un test diagnostico.
Secondo i dati, ci sarebbero poi altre 1.502 persone per le quali il virus, pur non essendo stato identificato, sarebbe stato sospettato come causa della morte dal medico attestante il decesso.
Resterebbero escluse dunque 11.375 persone – il 73% del tragico totale – per le quali non si è ricondotta al Covid-19 la causa di morte, che però risulta al contempo non identificata o non chiarita.
Ed è questo un dato che non si può che ricondurre all’assenza di test diagnostici per le strutture residenziali (3), unita alla carenza di personale sanitario, entrambi assorbiti dagli ospedali, proprio come lo erano stati poco prima mascherine e tutti i DPI di cui anche le RSA avevano però estrema necessità.
Uno tsunami su tante isole
Da un lato, abbiamo l’assenza di risorse umane e di attrezzature fondamentali per far fronte a uno “tsunami” – come molti professionisti che conosco l’hanno definito – che si propagherà causando una rapida ed estrema concentrazione di decessi.
Dall’altro, invece, abbiamo la scelta, operata da alcune strutture, di continuare a far entrare i famigliari, sia per ragioni di tipo umanitario, sia perché indispensabili per lo svolgimento di alcune funzioni assistenziali di base, a cui in alcuni casi le organizzazioni non riescono a far fronte, a causa delle gravi carenze di personale (4).
A rileggere questo fatto viene da chiedersi: ma come è possibile?
Siamo ormai nella seconda settimana di pandemia e abbiamo più di 500 contagiati al giorno nel paese. Tutti noi ci stiamo chiudendo nelle nostre case.
Ebbene, il famoso DPCM che arriva il 4 marzo dispone la chiusura completa di tutte le scuole e di tutti i luoghi pubblici, ma non delle RSA, per le quali si prevede invece solo una limitazione degli accessi, a discrezione delle direzioni sanitarie, che possono valutare caso per caso.
E questo dato stride ancora di più se si pensa che era già dal 22 febbraio – a 24 ore dallo scoppio della pandemia in Italia – che ospedali, ambulatori e studi medici avevano ricevuto linee guida nazionali, con la circolare del Ministero della salute (5) che imponeva loro un regime di severo lockdown, fornendo al contempo indicazioni molto precise su tutte le misure da applicare.
Grazie alla ricostruzione dell’autore possiamo così prendere coscienza di come le strutture residenziali, nella fase iniziale più acuta della pandemia, non solo non abbiano disposto degli stessi meccanismi di salvaguardia e protezione degli ospedali, ma nemmeno della stessa regolazione, nonostante l’estrema vulnerabilità della popolazione in esse residente.
Sono mancate linee guida nazionali in tutta la lunga fase iniziale della pandemia e, in assenza di queste, le Regioni si sono mosse “in ordine sparso” e in modi diversi, ma senza mai disporre chiaramente la chiusura delle RSA, restando sempre inclini a delegare alle strutture stesse la gran parte delle responsabilità di gestione in tal senso.
D’altro canto le strutture sono rimaste nell’incertezza, adottando inevitabilmente comportamenti diversi e spesso opposti, ma tutti legittimi, visti i vuoti lasciati a livello regolativo.
Solo dopo 9 settimane
Si dovrà attendere fino al 18 aprile 2020 affinché il Ministero della Salute emani una circolare ad hoc per le strutture residenziali e sociosanitarie (6), chiarendo finalmente anche molti aspetti che avevano fatto emergere orientamenti divergenti tra le regioni nelle settimane precedenti, data l’assenza di un protocollo nazionale.
Insieme alla tempesta mediatica, arrivano quindi per fortuna anche linee guida di portata nazionale che mettono nero su bianco, tra le altre cose, la necessità di limitare al massimo l’ingresso di nuovi degenti nelle strutture e l’obbligo di ricovero ospedaliero per coloro che sono in condizioni tali da non poter essere curati in RSA.
Con buona pace, per esempio, di quelle DGR di Regione Lombardia che a marzo, per alleggerire la pressione sulle terapie intensive, avevano chiesto alle RSA di ospitare pazienti Covid-19 provenienti dagli ospedali – usandole cioè come “valvola di sfogo” in cambio di un incentivo economico – o che avevano disposto il blocco all’accesso in ospedale per i degenti di RSA over 75 (7), applicando di fatto una forma di discriminazione verso la maggioranza degli anziani ivi residenti (mediamente ben sopra a quell’età).
Purtroppo però sono già passate 9 settimane ed è troppo tardi: “l’onda di run-up” di questo “tsunami” che è il Covid-19 è ormai entrata in molte di queste isole che sono le RSA, lasciando dietro di sé, come cadaveri a riva, troppe vite umane che dobbiamo oggi avere il coraggio di guardare.
Morti rimossi
Il primo aspetto che ho apprezzato dell’Opera di Ranci è proprio questo: lo sguardo rivolto a quei morti troppo presto dimenticati, ovvero “rimossi” – come lui scrive – grazie alla campagna vaccinale a tappeto nelle RSA partita subito a gennaio 2021.
Sì, venne data massima priorità ai vaccini ad anziani, professionisti e visitatori delle RSA, che divennero a quel punto un luogo pressoché sicuro. Ma questo non può bastare per pensare che non serva più occuparsi di nuovo di quanto accaduto.
Lo dobbiamo prima di tutto alle vittime, perché questo è l’unico modo che abbiamo, simbolicamente, di salvarle; e alle loro famiglie, affinché la memoria dell’evento tragico diventi collettiva e aiuti loro, come individui, a elaborare il lutto, e tutti noi, come società civile, ad apprendere come migliorarci.
In qualità di figlia che ha perso un padre amato proprio a causa del Covid, so bene che avrò per sempre nella pelle le cicatrici di quel lutto molto particolare: senza saluti, senza poter vedere la salma, senza potersi stringere ai propri affetti. Non oso immaginare che cosa possa voler dire aggiungere a tutto questo anche una sensazione di ingiustizia sociale.
Credo inoltre che abbiamo il dovere di far memoria in onore di tutti quei professionisti – e ne conosco molti – che hanno resistito in quei mesi accanto ai loro assistiti, andando decisamente oltre ai loro mansionari, togliendo tempo e relazione alle loro famiglie, trovandosi molto spesso a vivere loro stessi i lutti per tutte quelle perdite umane.
Lo dobbiamo infine certamente alle RSA stesse, che da sempre sono state ai margini dell’attenzione dei cittadini e ancora oggi vittime di ignoranza e pregiudizi (ho già parlato di questo tema in quest’articolo) e che, al di là di tutti i limiti organizzativi e gestionali che possono avere, certo non meritavano di diventare il capro espiatorio della pestilenza moderna.
Una questione di sistema
Se non altro, le bombe mediatiche una cosa buona l’hanno prodotta: per la prima volta si è parlato massicciamente del nostro mondo RSA come di un “tutt’uno”. Non a caso le linee guida nazionali sono arrivate poco dopo.
Ed ecco il secondo aspetto che ho apprezzato dell’opera di Ranci: la prospettiva di sistema e non di singola RSA che permea tutte le pagine, fino alle conclusioni.
In questo senso l’impegno nella ricostruzione storica è notevole: si guarda alle RSA come sistema non solo durante la pandemia, ma anche prima, mettendo in luce come certe letture superficiali e fuorvianti della loro natura organizzativa avessero già le loro premesse scritte nel passato (8).
Per dirla con le parole dell’autore: se le RSA sono finite nell’oblio durante la pandemia, è perché erano già nell’oblio, lasciate ben da prima ai margini del Sistema Sanitario Nazionale.
Le cose sono infatti andate meglio, a livello internazionale, in quei Paesi dove le RSA non avevano la stessa marginalità istituzionale, ma dove anzi erano considerate parte integrante del sistema sanitario (9).
E sempre pensando in logica di sistema, l’autore guarda anche al dopo: al possibile riscatto futuro per le RSA.
C’è stata infatti una seconda narrazione dominante che ha trafitto il cuore di chi conosce a fondo le RSA: quella che ha voluto vedere nel modello stesso di cura residenziale, ovvero nell’istituzionalizzazione degli anziani, la causa della strage.
Come se la lezione da apprendere dalla pandemia dovesse essere quella di chiudere o – come è stato detto dopo – di ridimensionare fortemente il ruolo delle RSA, secondo un inappropriato parallelismo storico di memoria basagliana.
Come il professor Ranci scrive, i motivi per cui le RSA esistono in tutti i paesi in cui è presente un servizio sanitario sviluppato, affondano le loro radici nella complessità che le nostre società moderne possiedono: senza RSA non ci sarebbero alternative reali per assistere persone in gravissime condizioni di non autosufficienza, e si spingerebbe tutto il carico assistenziale, emotivo ed economico su famiglie che – ci piaccia o meno – non sono più quelle di un tempo.
Lo dico in parole molto povere, molto mie: il nostro Paese ha raggiunto uno sviluppo tale da avere necessariamente bisogno delle RSA, ma non ancora sufficiente da saperle regolare come sarebbe necessario.
Se l’analisi e le ricostruzioni di Ranci ci convincono, allora non possiamo che concludere, insieme a lui, che la vera lezione da apprendere dalla pandemia è che i tempi sono più che maturi per unirsi e collaborare affinché si arrivi a una regolazione unitaria, andando oltre il semplice riconoscimento delle RSA come LEA e lavorando affinché a questo principio consegua la definizione precisa di una responsabilità di portata nazionale.
Note e riferimenti bibliografici
- ISTAT, Decessi marzo-aprile 2020 e media dello stesso periodo 2015-2019, Aprile 2021
- Da qui il numero di oltre 15 mila vittime all’interno delle RSA di cui sopra. Mentre l’eccesso di morti complessive nel nostro Paese in quello stesso periodo è pari a 48.066 vittime. Ciò significa che le persone che hanno perso la vita in RSA rappresentano un terzo di tutte le persone che hanno perso la vita in quei due mesi iniziali di pandemia. Cfr. C. Ranci, Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo, Mimesis Edizioni, Milano 2023, pp. 69-70.
- L’autore riporta a sostegno di questa tesi lo studio di ATS Milano Città Metropolitana, Unità di epidemiologia, Valutazione degli eccessi di mortalità nel corso dell’epidemia Covid-19 nei residenti delle RSA, Milano, 11-06-2020.
- La condizione organizzativa critica in cui alcune strutture versano è un dato che precede la pandemia: a fronte di un’utenza di età sempre più avanzata, e dunque con sempre maggiore compromissione fisica e cognitiva, si è assistito al mancato aggiornamento degli standard prestazionali e relativi finanziamenti da parte delle Regioni. E in alcuni casi le strutture hanno risposto alle difficoltà gestionali riducendo il personale e talvolta assumendo figure meno qualificate e costose (C. Ranci, , p. 85).
- Circolare ministeriale N. 5443 del 22/02/2020.
- Ministero della Salute, circ. 18-0402020, prot. N. 13468, “Indicazioni ad interim per la prevenzione ed il controllo dell’infezione da SARSCOV-2 in strutture residenziali e sociosanitarie”, elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità.
- Rispettivamente DGR n. 2906 del 08-03-2020, “ulteriori determinazioni in ordine all’emergenza epidemiologica da Covid-19” e DGR n. XI/3018 del 30-03-2020, “Ulteriori determinazioni in ordine all’emergenza epidemiologica da Covi-19 – Indicazioni per gestioni operative per le RSA e le RSD”.
- E precisamente nel 2006, anno in cui l’Italia redige un al Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale, recependo le raccomandazioni dell’OMS di qualche anno prima, in seguito alla diffusione di alcuni focolai di influenza aviaria da virus H5N1 in Estremo Oriente. Nel Piano le RSA vengono da un lato accomunate ad altri “servizi di comunità”, come le scuole, e non a presidi sanitari, in una eventuale fase pre-pandemica, ma dall’altro vengono pensate come eventuali luoghi di cura alternativi che possano fungere da ausilio verso gli ospedali, per alleggerirli, in una eventuale fase più critica.
- Nell’opera si cita in particolare il caso della Germania, dove le residenze per anziani sono state trattate al pari degli ospedali, sono cioè state considerate parti integranti del sistema sanitario, riconoscendo ai loro utenti i medesimi diritti di quelli riconosciuti agli utenti dei servizi sanitari.
Segnaliamo anche la Presentazione del 14 novembre 2024 a cura di Gruppo Solidarietà, dove l’autore Costanzo Ranci discute del libro con Fabio Ragaini.
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Prima di iniziare a leggere, un avvertimento: l’articolo ripercorre alcuni momenti salienti dell’epoca pandemica, a partire dalle tragedie avvenute nei mesi di marzo-aprile 2020. Si consiglia la lettura solo a chi sente di aver adeguatamente elaborato i propri vissuti relativi a quello specifico momento storico.
Ringrazio il Professor Costanzo Ranci per tutte le informazioni raccolte e condivise.
E ora parliamo delle RSA
È il 5 aprile 2020 e, di colpo, il nostro Paese scopre che esistono le RSA.
La Repubblica ha appena pubblicato un articolo di Gad Lerner intitolato “La strage nascosta al Trivulzio”: è la prima volta che si parla su un media nazionale delle morti avvenute in RSA a causa del Covid. È questo infatti il momento in cui prendono avvio le inchieste giudiziarie che tutti ricordiamo e, forse, per il polso dei media, i tempi sono maturi per dirottare le angosce dell’opinione pubblica attorno a uno “scandalo”.
Quel giorno, come tutti, legge i giornali anche Costanzo Ranci, professore di sociologia al politecnico di Milano che – mi dice – si sentirà “ferito dentro” da quel titolo; ferito al punto tale da sentire il desiderio di ricostruire con onestà intellettuale quanto accaduto nei primi 44 giorni di pandemia all’interno delle RSA.
Inizia qui il suo lavoro di ricerca e successiva stesura delle pagine che diventeranno poi – nel 2023 e grazie a Mimesis edizioni – l’opera di cui sto per parlare: Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo.
Morti invisibili
Un’opera che è stata in prima battuta rifiutata proprio da molti gestori delle RSA che, fermandosi al titolo, si sono probabilmente sentiti ancora una volta colpiti. Chi l’ha letta, però, ha potuto notare che non vi è una riga in cui l’autore mostri un’intenzione colpevolizzante, per quanto sottolinei come l’utilizzo del temine “strage” sia, purtroppo, corretto.
Più di 15 mila persone persero infatti la vita in RSA nei primi due mesi di pandemia, e nel totale silenzio: non rientrarono nelle statistiche quotidiane sulle vittime del Covid e non furono in quei giorni al centro di alcun dibattitto pubblico.
Si tratta di un numero calcolato sulla base della mortalità in eccesso nel periodo marzo-aprile 2020 messa a confronto con il periodo corrispondente 2015-19 (1), che acquista particolare significato se si pensa che tutte le catastrofi avvenute nel nostro paese dal dopoguerra – dal disastro del Vajont al terremoto dell’Irpinia – sono state di proporzioni molto più contenute.
E se si considera che, sebbene i dati dell’aumento della mortalità siano impressionanti in tutti contesti, nelle strutture residenziali essi mostrano un aumento esponenziale: da una media di 10.000 morti in due mesi nel quinquennio precedente, a un numero di decessi pari a 25.000 nel marzo-aprile 2020, con un aumento pari al 150% (2).
Ma si tratta, come dicevamo, di “morti invisibili”: se negli ospedali, infatti, pressoché tutte le morti in eccesso sono dovute al virus diagnosticato, nelle RSA sembra che solo 2.732 persone abbiano perso la vita a causa del virus, identificato tramite un test diagnostico.
Secondo i dati, ci sarebbero poi altre 1.502 persone per le quali il virus, pur non essendo stato identificato, sarebbe stato sospettato come causa della morte dal medico attestante il decesso.
Resterebbero escluse dunque 11.375 persone – il 73% del tragico totale – per le quali non si è ricondotta al Covid-19 la causa di morte, che però risulta al contempo non identificata o non chiarita.
Ed è questo un dato che non si può che ricondurre all’assenza di test diagnostici per le strutture residenziali (3), unita alla carenza di personale sanitario, entrambi assorbiti dagli ospedali, proprio come lo erano stati poco prima mascherine e tutti i DPI di cui anche le RSA avevano però estrema necessità.
Uno tsunami su tante isole
Da un lato, abbiamo l’assenza di risorse umane e di attrezzature fondamentali per far fronte a uno “tsunami” – come molti professionisti che conosco l’hanno definito – che si propagherà causando una rapida ed estrema concentrazione di decessi.
Dall’altro, invece, abbiamo la scelta, operata da alcune strutture, di continuare a far entrare i famigliari, sia per ragioni di tipo umanitario, sia perché indispensabili per lo svolgimento di alcune funzioni assistenziali di base, a cui in alcuni casi le organizzazioni non riescono a far fronte, a causa delle gravi carenze di personale (4).
A rileggere questo fatto viene da chiedersi: ma come è possibile?
Siamo ormai nella seconda settimana di pandemia e abbiamo più di 500 contagiati al giorno nel paese. Tutti noi ci stiamo chiudendo nelle nostre case.
Ebbene, il famoso DPCM che arriva il 4 marzo dispone la chiusura completa di tutte le scuole e di tutti i luoghi pubblici, ma non delle RSA, per le quali si prevede invece solo una limitazione degli accessi, a discrezione delle direzioni sanitarie, che possono valutare caso per caso.
E questo dato stride ancora di più se si pensa che era già dal 22 febbraio – a 24 ore dallo scoppio della pandemia in Italia – che ospedali, ambulatori e studi medici avevano ricevuto linee guida nazionali, con la circolare del Ministero della salute (5) che imponeva loro un regime di severo lockdown, fornendo al contempo indicazioni molto precise su tutte le misure da applicare.
Grazie alla ricostruzione dell’autore possiamo così prendere coscienza di come le strutture residenziali, nella fase iniziale più acuta della pandemia, non solo non abbiano disposto degli stessi meccanismi di salvaguardia e protezione degli ospedali, ma nemmeno della stessa regolazione, nonostante l’estrema vulnerabilità della popolazione in esse residente.
Sono mancate linee guida nazionali in tutta la lunga fase iniziale della pandemia e, in assenza di queste, le Regioni si sono mosse “in ordine sparso” e in modi diversi, ma senza mai disporre chiaramente la chiusura delle RSA, restando sempre inclini a delegare alle strutture stesse la gran parte delle responsabilità di gestione in tal senso.
D’altro canto le strutture sono rimaste nell’incertezza, adottando inevitabilmente comportamenti diversi e spesso opposti, ma tutti legittimi, visti i vuoti lasciati a livello regolativo.
Solo dopo 9 settimane
Si dovrà attendere fino al 18 aprile 2020 affinché il Ministero della Salute emani una circolare ad hoc per le strutture residenziali e sociosanitarie (6), chiarendo finalmente anche molti aspetti che avevano fatto emergere orientamenti divergenti tra le regioni nelle settimane precedenti, data l’assenza di un protocollo nazionale.
Insieme alla tempesta mediatica, arrivano quindi per fortuna anche linee guida di portata nazionale che mettono nero su bianco, tra le altre cose, la necessità di limitare al massimo l’ingresso di nuovi degenti nelle strutture e l’obbligo di ricovero ospedaliero per coloro che sono in condizioni tali da non poter essere curati in RSA.
Con buona pace, per esempio, di quelle DGR di Regione Lombardia che a marzo, per alleggerire la pressione sulle terapie intensive, avevano chiesto alle RSA di ospitare pazienti Covid-19 provenienti dagli ospedali – usandole cioè come “valvola di sfogo” in cambio di un incentivo economico – o che avevano disposto il blocco all’accesso in ospedale per i degenti di RSA over 75 (7), applicando di fatto una forma di discriminazione verso la maggioranza degli anziani ivi residenti (mediamente ben sopra a quell’età).
Purtroppo però sono già passate 9 settimane ed è troppo tardi: “l’onda di run-up” di questo “tsunami” che è il Covid-19 è ormai entrata in molte di queste isole che sono le RSA, lasciando dietro di sé, come cadaveri a riva, troppe vite umane che dobbiamo oggi avere il coraggio di guardare.
Morti rimossi
Il primo aspetto che ho apprezzato dell’Opera di Ranci è proprio questo: lo sguardo rivolto a quei morti troppo presto dimenticati, ovvero “rimossi” – come lui scrive – grazie alla campagna vaccinale a tappeto nelle RSA partita subito a gennaio 2021.
Sì, venne data massima priorità ai vaccini ad anziani, professionisti e visitatori delle RSA, che divennero a quel punto un luogo pressoché sicuro. Ma questo non può bastare per pensare che non serva più occuparsi di nuovo di quanto accaduto.
Lo dobbiamo prima di tutto alle vittime, perché questo è l’unico modo che abbiamo, simbolicamente, di salvarle; e alle loro famiglie, affinché la memoria dell’evento tragico diventi collettiva e aiuti loro, come individui, a elaborare il lutto, e tutti noi, come società civile, ad apprendere come migliorarci.
In qualità di figlia che ha perso un padre amato proprio a causa del Covid, so bene che avrò per sempre nella pelle le cicatrici di quel lutto molto particolare: senza saluti, senza poter vedere la salma, senza potersi stringere ai propri affetti. Non oso immaginare che cosa possa voler dire aggiungere a tutto questo anche una sensazione di ingiustizia sociale.
Credo inoltre che abbiamo il dovere di far memoria in onore di tutti quei professionisti – e ne conosco molti – che hanno resistito in quei mesi accanto ai loro assistiti, andando decisamente oltre ai loro mansionari, togliendo tempo e relazione alle loro famiglie, trovandosi molto spesso a vivere loro stessi i lutti per tutte quelle perdite umane.
Lo dobbiamo infine certamente alle RSA stesse, che da sempre sono state ai margini dell’attenzione dei cittadini e ancora oggi vittime di ignoranza e pregiudizi (ho già parlato di questo tema in quest’articolo) e che, al di là di tutti i limiti organizzativi e gestionali che possono avere, certo non meritavano di diventare il capro espiatorio della pestilenza moderna.
Una questione di sistema
Se non altro, le bombe mediatiche una cosa buona l’hanno prodotta: per la prima volta si è parlato massicciamente del nostro mondo RSA come di un “tutt’uno”. Non a caso le linee guida nazionali sono arrivate poco dopo.
Ed ecco il secondo aspetto che ho apprezzato dell’opera di Ranci: la prospettiva di sistema e non di singola RSA che permea tutte le pagine, fino alle conclusioni.
In questo senso l’impegno nella ricostruzione storica è notevole: si guarda alle RSA come sistema non solo durante la pandemia, ma anche prima, mettendo in luce come certe letture superficiali e fuorvianti della loro natura organizzativa avessero già le loro premesse scritte nel passato (8).
Per dirla con le parole dell’autore: se le RSA sono finite nell’oblio durante la pandemia, è perché erano già nell’oblio, lasciate ben da prima ai margini del Sistema Sanitario Nazionale.
Le cose sono infatti andate meglio, a livello internazionale, in quei Paesi dove le RSA non avevano la stessa marginalità istituzionale, ma dove anzi erano considerate parte integrante del sistema sanitario (9).
E sempre pensando in logica di sistema, l’autore guarda anche al dopo: al possibile riscatto futuro per le RSA.
C’è stata infatti una seconda narrazione dominante che ha trafitto il cuore di chi conosce a fondo le RSA: quella che ha voluto vedere nel modello stesso di cura residenziale, ovvero nell’istituzionalizzazione degli anziani, la causa della strage.
Come se la lezione da apprendere dalla pandemia dovesse essere quella di chiudere o – come è stato detto dopo – di ridimensionare fortemente il ruolo delle RSA, secondo un inappropriato parallelismo storico di memoria basagliana.
Come il professor Ranci scrive, i motivi per cui le RSA esistono in tutti i paesi in cui è presente un servizio sanitario sviluppato, affondano le loro radici nella complessità che le nostre società moderne possiedono: senza RSA non ci sarebbero alternative reali per assistere persone in gravissime condizioni di non autosufficienza, e si spingerebbe tutto il carico assistenziale, emotivo ed economico su famiglie che – ci piaccia o meno – non sono più quelle di un tempo.
Lo dico in parole molto povere, molto mie: il nostro Paese ha raggiunto uno sviluppo tale da avere necessariamente bisogno delle RSA, ma non ancora sufficiente da saperle regolare come sarebbe necessario.
Se l’analisi e le ricostruzioni di Ranci ci convincono, allora non possiamo che concludere, insieme a lui, che la vera lezione da apprendere dalla pandemia è che i tempi sono più che maturi per unirsi e collaborare affinché si arrivi a una regolazione unitaria, andando oltre il semplice riconoscimento delle RSA come LEA e lavorando affinché a questo principio consegua la definizione precisa di una responsabilità di portata nazionale.
Note e riferimenti bibliografici
- ISTAT, Decessi marzo-aprile 2020 e media dello stesso periodo 2015-2019, Aprile 2021
- Da qui il numero di oltre 15 mila vittime all’interno delle RSA di cui sopra. Mentre l’eccesso di morti complessive nel nostro Paese in quello stesso periodo è pari a 48.066 vittime. Ciò significa che le persone che hanno perso la vita in RSA rappresentano un terzo di tutte le persone che hanno perso la vita in quei due mesi iniziali di pandemia. Cfr. C. Ranci, Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo, Mimesis Edizioni, Milano 2023, pp. 69-70.
- L’autore riporta a sostegno di questa tesi lo studio di ATS Milano Città Metropolitana, Unità di epidemiologia, Valutazione degli eccessi di mortalità nel corso dell’epidemia Covid-19 nei residenti delle RSA, Milano, 11-06-2020.
- La condizione organizzativa critica in cui alcune strutture versano è un dato che precede la pandemia: a fronte di un’utenza di età sempre più avanzata, e dunque con sempre maggiore compromissione fisica e cognitiva, si è assistito al mancato aggiornamento degli standard prestazionali e relativi finanziamenti da parte delle Regioni. E in alcuni casi le strutture hanno risposto alle difficoltà gestionali riducendo il personale e talvolta assumendo figure meno qualificate e costose (C. Ranci, , p. 85).
- Circolare ministeriale N. 5443 del 22/02/2020.
- Ministero della Salute, circ. 18-0402020, prot. N. 13468, “Indicazioni ad interim per la prevenzione ed il controllo dell’infezione da SARSCOV-2 in strutture residenziali e sociosanitarie”, elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità.
- Rispettivamente DGR n. 2906 del 08-03-2020, “ulteriori determinazioni in ordine all’emergenza epidemiologica da Covid-19” e DGR n. XI/3018 del 30-03-2020, “Ulteriori determinazioni in ordine all’emergenza epidemiologica da Covi-19 – Indicazioni per gestioni operative per le RSA e le RSD”.
- E precisamente nel 2006, anno in cui l’Italia redige un al Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale, recependo le raccomandazioni dell’OMS di qualche anno prima, in seguito alla diffusione di alcuni focolai di influenza aviaria da virus H5N1 in Estremo Oriente. Nel Piano le RSA vengono da un lato accomunate ad altri “servizi di comunità”, come le scuole, e non a presidi sanitari, in una eventuale fase pre-pandemica, ma dall’altro vengono pensate come eventuali luoghi di cura alternativi che possano fungere da ausilio verso gli ospedali, per alleggerirli, in una eventuale fase più critica.
- Nell’opera si cita in particolare il caso della Germania, dove le residenze per anziani sono state trattate al pari degli ospedali, sono cioè state considerate parti integranti del sistema sanitario, riconoscendo ai loro utenti i medesimi diritti di quelli riconosciuti agli utenti dei servizi sanitari.
Segnaliamo anche la Presentazione del 14 novembre 2024 a cura di Gruppo Solidarietà, dove l’autore Costanzo Ranci discute del libro con Fabio Ragaini.