A cura di Giuseppe Menculini (Medico geriatra responsabile sanitario) e Maria Grazia Marcacci (Assistente Sociale, Direttore Fondazione “Creusa Brizi Bittoni“, Città della Pieve, PG)

In collaborazione con

Maltrattamenti agli anziani: un tema scomodo e sfuggente

Quando si parla di maltrattamento agli anziani si affronta un argomento estremamente complesso, articolato in diverse declinazioni, ma anche spesso misconosciuto, che arriva alla visibilità dell’opinione pubblica prevalentemente tramite i media e solamente – purtroppo – quando si verificano eventi di particolare gravità.

Il dramma dei maltrattamenti, come dimostrato anche da vari studi, non è presente solo nel nostro Paese, ma anche in altre realtà estere e con le stesse incertezze nella definizione dell’ampiezza del fenomeno.

Non ci sono luoghi specifici dove viene perpetrato il maltrattamento, ma sicuramente tali episodi si verificano nei posti dove gli anziani sono maggiormente presenti.

I casi emergono dunque principalmente nelle RSA, nel domicilio, in Ospedale, luoghi che possono considerarsi a maggior rischio di situazioni critiche. Mediamente, nei luoghi di lavoro il tema del maltrattamento non è particolarmente percepito come vera e propria priorità.

È un argomento “sfuggente”, subdolo, scomodo da affrontare e spesso nascosto dietro alle routine, mistificato da comportamenti stereotipati del personale assistenziale, atteggiamenti che risentono profondamente di fattori personali, metodologici e organizzativi.

Il tema del maltrattamento pone tutte le organizzazioni delle strutture in una condizione di disagio e di difficoltà sia per la gestione di eventi palesemente evidenti, sia per la consapevolezza della presenza di maltrattamenti o abusi “sotto traccia” e non denunciati, che facilmente si inseriscono nel lavoro quotidiano, specialmente laddove sono presenti problematiche di organizzazione, di risorse e di clima organizzativo.

Quando si deve parlare di maltrattamenti agli anziani?

Ad oggi, prevale ancora l’interpretazione del maltrattamento come esito, cioè come un danno prevalentemente fisico, secondario a una bad practice, subìto dall’anziano per mano di un operatore.

Eppure, ricordando anche quanto stabilito dalla OMS (2014):

“[…] si parla di Maltrattamento agli anziani quando si verifica un’azione, singola o ripetuta, oppure la mancanza di un’azione adeguata, che determina danno o sofferenza in una persona anziana all’interno di una relazione di aiuto, in cui, invece, è previsto un rapporto di fiducia”.

Questa condizione rappresenta una chiara violazione dei diritti umani e include l’abuso fisico, psicologico, emotivo, sessuale, economico, materiale, l’abbandono, l’incuria e altre gravi forme di perdita della dignità e di rispetto della persona.

Spesso è difficile far emergere l’abuso e la violenza sugli anziani perché gli effetti possono essere apparentemente minimi o perché entrano in gioco fattori psicologici dell’anziano stesso, quali la relativa capacità di parlarne per motivi neuropsicologici, per vergogna o per paura di denunciare, nel timore di ipotetiche ritorsioni. Oppure ancora, paradossalmente, per proteggere proprio coloro che forniscono l’assistenza.

Quali tipi di maltrattamenti agli anziani esistono?

Un maltrattamento può riguardare la sfera fisica con vari atti del caregiver (spinte, strattonamenti, uso di mezzi di contenzione fisica ingiustificati), ma anche la sfera emotiva e psicologica che rappresenta la forma più facilmente riscontrabile e perpetrata nelle strutture di Long Term Care (umiliazione, banalizzazione delle richieste, atteggiamento di superiorità da parte di alcune figure professionali).

Ci sono, inoltre, la sfera economica (con sottrazione indebita o ingannevole di beni o di denaro), quella dei sentimenti, nonché degli aspetti assistenziali come l’incuria, la superficialità di approccio alle cure e nell’assicurarne la continuità.

Va ricordato, tuttavia, che la bad practice non sempre è intenzionale e il maltrattamento può verificarsi anche involontariamente. In questi casi, verosimilmente, è chiamata in causa l’incapacità da parte delle figure professionali di intercettare i sentimenti e le esigenze dell’anziano oppure l’incapacità degli operatori di contemperare tali elementi con le proprie esigenze e aspettative.

I fattori di rischio

Per quanti studi – di ordine sociologico, socio-assistenziale – siano stati effettuati nelle strutture per anziani e abbiano trattato il tema anche dal punto di vista del Rischio Clinico, questi non sembrano sufficienti ed esaustivi per la descrizione del fenomeno “maltrattamento”, né tantomeno per individuare soluzioni per la sua migliore gestione.

Come per altri ambiti, per prima cosa occorre individuare i fattori di rischio del maltrattamento, per arrivare successivamente a definire documenti e linee guida, utili a prevenire la mala gestione di situazioni complesse e di fragilità degli anziani, molto spesso affetti da grave multimorbilità per patologie degenerative cognitivo-comportamentali, età correlate. Solo poche Regioni si sono organizzate in tal senso.

Da quanto emerge dalla letteratura, fattori  di rischio sono stati riconosciuti nel rapporto caregiver-anziano, all’interno del quale il ruolo determinante è svolto dalle caratteristiche personali di entrambi e dal rapporto tra essi.

In tal senso è imprescindibile la preparazione degli operatori nel rapporto con soggetti di particolare gravità (o con soggetti, per così dire, “difficili”) e di momenti critici; senza parlare del sempre più frequente riscontro, tra gli operatori, dell’uso di farmaci, di droghe, di problematiche psico-comportamentali, di frustrazione, così come di rabbia e demotivazione, che configurano situazioni di pieno burnout.

Tali situazioni predispongono inevitabilmente a una relazione sbilanciata tra caregiver e anziano e aumentano inevitabilmente l’incidenza dei maltrattamenti.

Prevenire a partire dalle scelte organizzative

Altra condizione di rischio per l’insorgenza di maltrattamenti emersa dagli studi è quella relativa all’organizzazione del lavoro: su tutto, un numero insufficiente di risorse per assistere gli anziani nei vari setting di residenza.

In questo ambito le scelte delle organizzazioni devono essere orientate ad acquisire figure professionali in numero adeguato per l’erogazione dei servizi, attraverso una selezione basata su caratteristiche che assicurino nel tempo prestazioni di qualità, nonché l’adesione a modelli organizzativi del lavoro coerenti con la tipologia di utenti e l’applicazione dei loro principi

È fondamentale difendere l’individualizzazione delle cure, piuttosto che la standardizzazione degli interventi con l’appiattimento operativo ed emotivo.

È stato riconosciuto come l’individualizzazione delle cure sia un fattore positivo nel contrastare e ridurre l’incidenza dei maltrattamenti sugli anziani.

Stanti queste premesse, la violenza e i maltrattamenti sugli anziani nelle strutture di lungodegenza o in altri setting rappresentano un problema complesso e diffuso, che richiede un intervento urgente e multidisciplinare da parte delle istituzioni, delle organizzazioni, degli operatori sanitari e della società nel suo complesso. Sembra esserci accordo all’interno delle organizzazioni sul fatto che, ferma restando l’implementazione delle attività di monitoraggio e di controllo dei comportamenti operativi, la vera azione preventiva che può avere successo per ridurre le situazioni di maltrattamento e/o di violenza sugli anziani è la formazione del personale. Solo innalzando il livello di conoscenze dei singoli si può arrivare a elevare il livello delle competenze e la qualità delle prestazioni erogate nell’assistenza agli anziani.

Solo attraverso un impegno concreto e coordinato sarà possibile contrastare efficacemente questo fenomeno e assicurare il rispetto e la dignità degli anziani nella loro ultima e difficile fase della vita.

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A cura di Giuseppe Menculini (Medico geriatra responsabile sanitario) e Maria Grazia Marcacci (Assistente Sociale, Direttore Fondazione “Creusa Brizi Bittoni“, Città della Pieve, PG)

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Maltrattamenti agli anziani: un tema scomodo e sfuggente

Quando si parla di maltrattamento agli anziani si affronta un argomento estremamente complesso, articolato in diverse declinazioni, ma anche spesso misconosciuto, che arriva alla visibilità dell’opinione pubblica prevalentemente tramite i media e solamente – purtroppo – quando si verificano eventi di particolare gravità.

Il dramma dei maltrattamenti, come dimostrato anche da vari studi, non è presente solo nel nostro Paese, ma anche in altre realtà estere e con le stesse incertezze nella definizione dell’ampiezza del fenomeno.

Non ci sono luoghi specifici dove viene perpetrato il maltrattamento, ma sicuramente tali episodi si verificano nei posti dove gli anziani sono maggiormente presenti.

I casi emergono dunque principalmente nelle RSA, nel domicilio, in Ospedale, luoghi che possono considerarsi a maggior rischio di situazioni critiche. Mediamente, nei luoghi di lavoro il tema del maltrattamento non è particolarmente percepito come vera e propria priorità.

È un argomento “sfuggente”, subdolo, scomodo da affrontare e spesso nascosto dietro alle routine, mistificato da comportamenti stereotipati del personale assistenziale, atteggiamenti che risentono profondamente di fattori personali, metodologici e organizzativi.

Il tema del maltrattamento pone tutte le organizzazioni delle strutture in una condizione di disagio e di difficoltà sia per la gestione di eventi palesemente evidenti, sia per la consapevolezza della presenza di maltrattamenti o abusi “sotto traccia” e non denunciati, che facilmente si inseriscono nel lavoro quotidiano, specialmente laddove sono presenti problematiche di organizzazione, di risorse e di clima organizzativo.

Quando si deve parlare di maltrattamenti agli anziani?

Ad oggi, prevale ancora l’interpretazione del maltrattamento come esito, cioè come un danno prevalentemente fisico, secondario a una bad practice, subìto dall’anziano per mano di un operatore.

Eppure, ricordando anche quanto stabilito dalla OMS (2014):

“[…] si parla di Maltrattamento agli anziani quando si verifica un’azione, singola o ripetuta, oppure la mancanza di un’azione adeguata, che determina danno o sofferenza in una persona anziana all’interno di una relazione di aiuto, in cui, invece, è previsto un rapporto di fiducia”.

Questa condizione rappresenta una chiara violazione dei diritti umani e include l’abuso fisico, psicologico, emotivo, sessuale, economico, materiale, l’abbandono, l’incuria e altre gravi forme di perdita della dignità e di rispetto della persona.

Spesso è difficile far emergere l’abuso e la violenza sugli anziani perché gli effetti possono essere apparentemente minimi o perché entrano in gioco fattori psicologici dell’anziano stesso, quali la relativa capacità di parlarne per motivi neuropsicologici, per vergogna o per paura di denunciare, nel timore di ipotetiche ritorsioni. Oppure ancora, paradossalmente, per proteggere proprio coloro che forniscono l’assistenza.

Quali tipi di maltrattamenti agli anziani esistono?

Un maltrattamento può riguardare la sfera fisica con vari atti del caregiver (spinte, strattonamenti, uso di mezzi di contenzione fisica ingiustificati), ma anche la sfera emotiva e psicologica che rappresenta la forma più facilmente riscontrabile e perpetrata nelle strutture di Long Term Care (umiliazione, banalizzazione delle richieste, atteggiamento di superiorità da parte di alcune figure professionali).

Ci sono, inoltre, la sfera economica (con sottrazione indebita o ingannevole di beni o di denaro), quella dei sentimenti, nonché degli aspetti assistenziali come l’incuria, la superficialità di approccio alle cure e nell’assicurarne la continuità.

Va ricordato, tuttavia, che la bad practice non sempre è intenzionale e il maltrattamento può verificarsi anche involontariamente. In questi casi, verosimilmente, è chiamata in causa l’incapacità da parte delle figure professionali di intercettare i sentimenti e le esigenze dell’anziano oppure l’incapacità degli operatori di contemperare tali elementi con le proprie esigenze e aspettative.

I fattori di rischio

Per quanti studi – di ordine sociologico, socio-assistenziale – siano stati effettuati nelle strutture per anziani e abbiano trattato il tema anche dal punto di vista del Rischio Clinico, questi non sembrano sufficienti ed esaustivi per la descrizione del fenomeno “maltrattamento”, né tantomeno per individuare soluzioni per la sua migliore gestione.

Come per altri ambiti, per prima cosa occorre individuare i fattori di rischio del maltrattamento, per arrivare successivamente a definire documenti e linee guida, utili a prevenire la mala gestione di situazioni complesse e di fragilità degli anziani, molto spesso affetti da grave multimorbilità per patologie degenerative cognitivo-comportamentali, età correlate. Solo poche Regioni si sono organizzate in tal senso.

Da quanto emerge dalla letteratura, fattori  di rischio sono stati riconosciuti nel rapporto caregiver-anziano, all’interno del quale il ruolo determinante è svolto dalle caratteristiche personali di entrambi e dal rapporto tra essi.

In tal senso è imprescindibile la preparazione degli operatori nel rapporto con soggetti di particolare gravità (o con soggetti, per così dire, “difficili”) e di momenti critici; senza parlare del sempre più frequente riscontro, tra gli operatori, dell’uso di farmaci, di droghe, di problematiche psico-comportamentali, di frustrazione, così come di rabbia e demotivazione, che configurano situazioni di pieno burnout.

Tali situazioni predispongono inevitabilmente a una relazione sbilanciata tra caregiver e anziano e aumentano inevitabilmente l’incidenza dei maltrattamenti.

Prevenire a partire dalle scelte organizzative

Altra condizione di rischio per l’insorgenza di maltrattamenti emersa dagli studi è quella relativa all’organizzazione del lavoro: su tutto, un numero insufficiente di risorse per assistere gli anziani nei vari setting di residenza.

In questo ambito le scelte delle organizzazioni devono essere orientate ad acquisire figure professionali in numero adeguato per l’erogazione dei servizi, attraverso una selezione basata su caratteristiche che assicurino nel tempo prestazioni di qualità, nonché l’adesione a modelli organizzativi del lavoro coerenti con la tipologia di utenti e l’applicazione dei loro principi

È fondamentale difendere l’individualizzazione delle cure, piuttosto che la standardizzazione degli interventi con l’appiattimento operativo ed emotivo.

È stato riconosciuto come l’individualizzazione delle cure sia un fattore positivo nel contrastare e ridurre l’incidenza dei maltrattamenti sugli anziani.

Stanti queste premesse, la violenza e i maltrattamenti sugli anziani nelle strutture di lungodegenza o in altri setting rappresentano un problema complesso e diffuso, che richiede un intervento urgente e multidisciplinare da parte delle istituzioni, delle organizzazioni, degli operatori sanitari e della società nel suo complesso. Sembra esserci accordo all’interno delle organizzazioni sul fatto che, ferma restando l’implementazione delle attività di monitoraggio e di controllo dei comportamenti operativi, la vera azione preventiva che può avere successo per ridurre le situazioni di maltrattamento e/o di violenza sugli anziani è la formazione del personale. Solo innalzando il livello di conoscenze dei singoli si può arrivare a elevare il livello delle competenze e la qualità delle prestazioni erogate nell’assistenza agli anziani.

Solo attraverso un impegno concreto e coordinato sarà possibile contrastare efficacemente questo fenomeno e assicurare il rispetto e la dignità degli anziani nella loro ultima e difficile fase della vita.

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