LINDA SABBADIN

Sogno una RSA che sia CASA

La mia è una professione piena di scartoffie. Spesso siamo sommersi di carte e burocrazia.

Sogno che ognuno dei professionisti che sceglie l’RSA non dimentichi che il nostro è, per eccellenza, il lavoro della “presa in carico”. Sogno che questa presa in carico si trasformi in una “presa in cura”.

Un ufficio con la porta aperta per dare sempre un segnale di apertura e di ascolto. Con la luce che entra e dei fiori. Uno spazio sicuro per gli anziani e per i loro familiari che ci portano, spesso, ciò che di più caro hanno al mondo: i loro genitori.

Il mio sogno di cura è una RSA che sia CASA. Spogliata dal vecchio stereotipo dell’Ospedale, dell’Ospizio, di quel luogo “dove andare a morire” e vestita di un’organza tutta nuova.

Rumorosa. Perché una casa lo è. Di schiamazzi a volte, piccole liti, ma anche di risate fragorose e girelli che “sbattono” tra di loro.

Profumata. Di profumi buoni che sanno di domenica mattina.

Di colori. Alle pareti. Nei quadri. Nel rosso dei rossetti che su quelle labbra stanno ancora così bene.

Di abbracci come quando si torna dopo una lunga giornata. Quando, finalmente, si ritorna a casa.

Voglio rivivere, sempre più spesso, ciò che ho sentito dire da un’anziana che all’Ospedale, durante un ricovero, ha detto al medico: “Dimettimi. Sono stufa di stare qui. Io voglio tornare a casa”.

E casa… eravamo noi.