Quanto incide la prospettiva sociale e relazionale nelle scelte in materia di DAT?
La natura davvero innovativa della Legge 219/17 su “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento” (DAT), può essere rinvenuta sulla rilevanza assegnata ai percorsi relazionali attraverso i quali la persona – malata o sana – può arrivare a decidere sui trattamenti da seguire o da rifiutare. Si tratta di percorsi che non “costringono” la persona ad assumere decisioni scomode nella sfera del privato, con il rischio di aumentare il senso di solitudine e incertezza, ma che riguardano tutta la piccola comunità all’interno della quale la persona è inserita, e quindi i familiari, le persone intime e naturalmente l’équipe assistenziale e, in primo luogo, il medico (AIP, 2019).
La comunicazione deve poter divenire il principale strumento nella costruzione di un reale percorso decisionale e di accompagnamento all’anziano e a chi ne fa le veci, attraverso tempi, spazi e modalità dedicate, in un percorso condiviso. L’obiettivo potrà essere quello di tessere relazioni umane forti e significative per il tramite di quell’agire comunicativo adulto che deve saper guardare, lealmente e responsabilmente, non ad un numero ma a quella persona concreta e reale, inserita in quell’altrettanto ambiente reale che tesse la sua umanità, la sua identità, la sua biografia, le sue speranze, le sue attese, il ricordo che essa vuole lasciare di sé e la sua stessa dignità. (AIP 2019).
La solitudine esistenziale dell’ammalato (anche quando non sarà più in grado di esprimere la sua voce) potrà così trovare risposta attraverso uno scambio concreto e umano che la comunicazione rappresenta, valorizzando le straordinarie opportunità che sono offerte dalla pianificazione anticipata delle cure.
Una delle principali novità e risorse della nuova legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento, senza modificare le disposizioni della legge civile sulla rappresentanza legale, è l’introduzione della figura del fiduciario, che deve essere valorizzato nel processo di formazione anticipata della volontà laddove, naturalmente, la persona interessata decida di avvalersene.
Estendendo questa forma di accompagnamento a ogni fase del processo di cura, con l’obiettivo di ridurre le solitudini esistenziali e di sostenere le scelte più difficili; il fiduciario è la persona che può essere designata dall’interessato, scelta tra i componenti della sua sfera parentale o amicale, la quale è tenuta a sostenerlo nelle scelte di cura e a rappresentarne il suo miglior interesse quando non sarà più nelle condizioni di poterlo fare (AIP, 2019).
Il dibattito etico: la necessità di far chiarezza
Il problema dell’ambiguità terminologica risulta ad oggi ancora presente nel dibattito bioetico attuale, con termini ancora confusi e poco chiari, che fortificano confusione e disorientamento. Questo comporta ripercussioni anche nell’approccio al tema del suicidio e più in generale del valore morale ed etico di alcune azioni e decisioni relative alla fine della vita.
Innanzitutto, l’interruzione della vita su richiesta e l’assistenza al suicidio sono atti caratterizzati dalla medesima intenzione: entrambe le azioni sono finalizzate a causare la morte del malato. Al contrario, il rifiuto o la rinuncia di un trattamento sproporzionato così come il ricorso alla sedazione palliativa non costituiscono delle pratiche volte a provocare intenzionalmente la morte del paziente quando mirano a garantire il rispetto delle volontà dell’assistito e ad alleviarne le sofferenze (Marin, F. 2017).
La sedazione palliativa profonda
La sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte si realizza con la somministrazione intenzionale di farmaci, alla dose necessaria richiesta, per ridurre fino ad annullare la coscienza del paziente allo scopo di alleviare sintomi fisici o psichici intollerabili e refrattari a qualsiasi trattamento (dispnea, nausea e vomito incoercibile, delirium, irrequietezza psico-motoria, distress psicologico o esistenziale, senso di soffocamento) nelle condizioni di imminenza della morte con prognosi di ore o pochi giorni per malattia inguaribile in stato avanzato e previo consenso informato. Essa ha lo scopo di eliminare il dolore e le sofferenze.
I sintomi definibili refrattari possono essere sia fisici sia psicologi e/o esistenziali. Poiché la sedazione palliativa può avere diversi livelli, sino a essere contraddistinta da una profondità che non consente la risposta ad azioni tattili o dolorose, e da continuità, cioè senza interruzione, la sedazione continua profonda deve essere effettuata con il consenso del malato.
La sedazione palliativa profonda ha quindi lo scopo di controllare una sofferenza refrattaria con farmaci sedativi ed è dimostrato che non abbrevia la vita, anzi è stato verificato che in alcuni condizioni cliniche la può anche allungare.
La sedazione profonda continua non va confusa con l’eutanasia o con il suicidio assistito o l’omicidio del consenziente. Quindi è fondamentale per tutti i sanitari conoscere gli elementi distintivi che differenziano la sedazione palliativa (che ha come obiettivo il controllo di una sofferenza refrattaria, che utilizza come mezzi farmaci con azione sedativa e che ha come risultato l’induzione di un sonno a diversi livelli) dalle pratiche che hanno, invece, il chiaro obiettivo di provocare la morte del malato usando sostanze in grado di condurre a morte (OPL, 2019).
La necessità di un supporto decisionale e psicologico
Nel caso di malattie croniche, o di malattie in fase avanzata o di terminalità, ci troviamo di fronte a scelte difficili sia dal punto di vista cognitivo sia affettivo-relazionale, che coinvolgono la persona, il nucleo famigliare e sociale, l’equipe di assistenza.
Il professionista sanitario, possibilmente lo psicologo e/o lo psicoterapeuta formato, oltre a favorire nel paziente e nei familiari il riconoscimento e la gestione dei vissuti e delle dinamiche emotive e relazionali specifiche della condizione, può anche accompagnare nel complesso percorso delle scelte “difficili”.
Nella dimensione delle cure palliative e della Legge 219 rappresentano un nucleo centrale: i principi dell’autodeterminazione dell’autonomia, gli aspetti del funzionamento psichico-quali quelli legati alla consapevolezza, alla capacità di comprendere e di riconoscere potenziali futuri scenari di malattia e di impossibilità di compiere scelte autonome rispetto alla propria salute, così come aspetti filosofici (il significato dell’esistenza o fino a che punto l’esistenza possa essere considerata dignitosa, l’accettazione del limite e della morte) (OPL, 2019).
Nella complessità del percorso di accompagnamento al processo decisionale, così come sottolineato dalla legge, va promossa e valorizzata la relazione di cura, intesa come spazio-tempo in cui si condividono informazioni, scelte terapeutico/assistenziali, emozioni e valori: il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura (Legge 218717, comma 8, art.1).
La prevenzione del suicidio: è possibile?
La maggior parte delle strategie nazionali di prevenzione del suicidio riconosce l’alto rischio di comportamenti suicidari nei pazienti di età di 65 anni e oltre.
Le strategie volte a questa fascia di età in genere promuovono la salute mentale, con particolare attenzione per il riconoscimento precoce e il trattamento della depressione.
Per raggiungere quest’obiettivo, deve essere facilitato in ogni modo possibile l’accesso ai servizi integrati di salute mentale e l’adeguato trattamento e il sostegno per le persone anziane e i loro accompagnatori (De Leo D. e Arnautovska U., 2016).
A livello individuale, la gestione della suicidalità richiede spesso una combinazione di approcci di trattamento che includono farmaci, psicoterapia, cambiamenti sociali e/o misure riabilitative.
Con gli anziani, è di cruciale importanza conoscerne le attuali condizioni somatiche e l’eventuale trattamento farmacologico in corso. I farmaci antidepressivi, così come alcune forme di psicoterapia cognitivo-comportamentale, possono essere utili nei soggetti depressi e con ideazione suicidaria.
Gli interventi hanno bisogno di bilanciare fattori di rischio e protettivi, tenendo presente che questi saranno d’importanza diversa a seconda del contesto culturale e sociale. Il rischio di suicidio spesso non è riconosciuto nei pazienti più anziani e si è riscontrato come molti anziani che si tolgono la vita si sono consultati con il loro medico di famiglia poco prima della morte (AIP, 2017). Il medico di medicina generale può divenire il primo e fondamentale osservatore, capace di leggere i segnali di allarme e di inviare l’anziano, preventivamente e tempestivamente, a servizi o professionisti di competenza.
Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta a una corretta ed efficace valutazione e presa in carico del dolore cronico e complicato, soprattutto inpresenza di gravi disabilità, in quanto si possono innescare tendenze suicidarie soprattutto in assenza di adeguato supporto sociale.
Non solo cure primarie ma anche il rafforzamento delle cure specialistiche palliative sul territorio e sui contesti di assistenza geriatrica (residenze, ospedali) potrebbe aiutare nell’intercettare bisogni non solo fisici ma anche psicologici, sociali, spirituali, cercando si alleviare un dolore globale che può condurre a scelte estreme. Purtroppo l’accesso alle cure palliative per la popolazione geriatrica è difficile: almeno un milione di anziani con malattie croniche è assistito a casa, ma una famiglia su tre è lasciata sola ad accompagnarli verso il fine vita.
I farmaci soprattutto quelli antidepressivi potrebbero ridurre i pensieri suidiciari e il suicidio; il litio, oltre che a stabilizzare l’umore, sembra ridurre il comportamento aggressivo e impulsivo. Si dovrebbe cercare di aumentare la resilienza delle persone anziane con esercizi di mindfulness (versus “mindlessness”, ovvero chiusura mentale, cioè essere incastrati in schemi cognitivi passati, non più funzionali nel presente); l’ obiettivo è il benessere psicofisico della persona, soprattutto anziana che spesso si identifica con l’immagine della vecchiaia (SIGG, 2018).
Dove ti porto?
Accompagnare la persona anziana alla fine della vita
di Elisa Mencacci
“Dove ti porto? Una domanda bellissima, che riporta in primo piano i due grandi protagonisti: colui che accompagna e colui che viene accompagnato, in una danza che diviene costruzione attiva e gioco di reciprocità, responsabilità, scambio.”
Colui che accompagna è l’operatore, che avrà il compito incredibile di portare il morente.
La valutazione e l’identificazione dell’anziano a rischio
Il comportamento suicidario non può essere completamente compreso se interpretato solo come conseguenza della malattia psichiatrica. Infatti, il comportamento suicidario è un evento multifattoriale che si estende oltre il regno psichiatrico o psicopatologico dell’esperienza umana.
Lo strumento clinico più importante che un professionista deve possedere nell’avvicinarsi a un paziente suicidario è la capacità di effettuare una valutazione del rischio esaustiva ed efficace, promuovendo sempre più la costruzione di una relazione di fiducia e di una reale alleanza terapeutica. L’obiettivo finale dell’intervista è quello di trasformare le informazioni raccolte in una formulazione che esprima il livello complessivo di rischio per quell’individuo (AIP, 2017).
La valutazione del rischio suicidario dovrebbe essere una responsabilità condivisa, non solo della figura medica. Sicuramente serve una presa in carico di anziani che riportano un’ideazione suicidaria, in quanto sono più esposti al pericolo di morte per suicidio, indipendentemente dal tipo e dalla gravità della malattia mentale di cui eventualmente soffrono.
L’esplorazione della presenza d’ideazione suicidaria deve essere affidata a un clinico (psicologo e/o medico) che possieda una certa esperienza, in particolar modo della specifica popolazione degli anziani, spesso più timorosi nell’apertura, nel disvelare i propri tormenti, essendo preoccupati per il giudizio dei sanitari e provando spesso sentimenti di vergogna per quanto vissuto.
Sono attualmente disponibili alcuni strumenti di valutazione utili per il clinico (scale di valutazione, test di screening) sempre con le dovute limitazioni.
Alla luce della complessità delle dimensioni coinvolte Il ruolo di intercettore di traiettorie suicidarie è perciò particolarmente impegnativo; richiede sapere scientifico ma anche – o soprattutto – doti di umana comprensione che forse non sempre si possiedono (AIP 2017).
Interventi per il sostegno sociale e la costruzione di una rete
La prevenzione del suicidio sembra una via percorribile anche per i più anziani; è dimostrato che gli interventi per ridurre l’ isolamento sociale e l’ aumento del supporto sociale con attività di gruppo o aumentando la comunicazione anche con il solo telefono riducono la mortalità da suicidio nei più anziani.
Servizi domiciliari e programmi che offrono sostegno sociale possono essere di cruciale importanza per la prevenzione del suicidio tra i soggetti più anziani; soprattutto coloro che hanno subito un lutto recente potrebbero costituire gli utenti ideali di questi servizi. Pertanto, appare necessario favorire la particolare vigilanza di quei soggetti che hanno subito una perdita recente (e non godono di sufficiente supporto sociale) e di coloro per i quali esiste un aumentato rischio di suicidio, soprattutto durante momenti di particolare vulnerabilità (ricorrenze, la stagione festiva invernale) (AIP, 2019).
In caso di bisogno, gli anziani sembrano più propensi a contattare il loro medico di famiglia piuttosto che i servizi di salute mentale. Tuttavia, i servizi sociali (come i centri per anziani, le aziende di trasporto pubblico, i gruppi di supporto di coetanei) e le comunità particolari, come le banche, le società di servizi, farmacisti e postini possono rappresentare utili gatekeeper (Conwell Y., 2014).
La finalità di tali servizi all’interno nella comunità può essere pertanto anche quella di raggiungere efficacemente anziani socialmente ed economicamente svantaggiati e quindi a rischio di suicidio (con operatori appositamente addestrati a riconoscere i bisogni) e quella di indirizzarle a servizi specifici di geriatria e di salute mentale.
Per ora non sono sufficienti le conoscenze psicopatologiche dell’evento suicidio nell’ anziano: potrebbero aumentare utilizzando le applicazioni per smartphone disponibili che forniscono le informazioni comportamentali e cognitive. le informazioni raccolte da un specifica applicazione sono poi trasmesse e messe a disposizione dei medici per le decisioni terapeutiche e per la ricerca. Lo smartphone può essere quindi lo strumento ideale per realizzare e valutare I digital phenotyping del comportamento utilizzando i sensori che possiede. Con questo strumento e metodologia il medico psicogeriatra potrà valutare di più l’ affettività, la cognitività e il comportamento e le emozioni dei propri pazienti anziani (SIGG, 2018).
La prevenzione del suicidio nei soggetti anziani dovrebbe ampliare di molto il portafoglio d’interventi e prestare più attenzione alle molte condizioni socio-ambientali che possono essere rilevanti in età avanzata, in particolare l’isolamento sociale, l’insicurezza finanziaria e la diminuita salute fisica. Il miglioramento del sostegno sociale e l’individuazione e il trattamento precoce dei disturbi affettivi sono interventi fondamentali per ridurre il rischio di suicidio in età avanzata.
Vanno promosse politiche per la fornitura di monitoraggio e assistenza post-ospedaliera alle famiglie implicate, in modo da interconnettere ogni possibile agenzia socio-sanitaria.
La prevenzione basata sulla formazione di gatekeeper delle comunità sembra essere una strategia importante. In particolare, dovrebbero essere incoraggiati con forza quei programmi comunitari che promuovono un senso di utilità e di appartenenza e preservano l’integrazione e lo status sociale. (AIP 2017). Soprattutto il tema della solitudine deve trovare spazio ulteriore di sensibilizzazione, approfondimento e ricerca, a partire da agenti e dai servizi attivi nel territorio.
Il primo passo verso la lotta all’impatto negativo di questo stato emotivo è riconoscere che ciò che proviamo è la solitudine e, secondariamente, rispondervi formando e rafforzando le connessioni (Cacioppo, 2014).
E’ importante che si intervenga sul problema richiamando l’attenzione sui rischi della solitudine in età avanzata, con approcci personalizzati. Inoltre è importante un’adeguata formazione dell’anziano perché sappia esprimere i propri bisogni e le conseguenti richieste di supporto, modificando atteggiamenti ancora prevalenti che tendono a impedire in età avanzata la libera manifestazione del sentire individuale (AIP, 2018). Tali interventi devono poter raggiungere tutti i principali contesti di “solitudine abitata” dell’anziano: l’ospedale, le strutture residenziali, il proprio domicilio. Non si può tralasciare la solitudine della diade caregiver-anziano ammalato, specialmente quando l’assistenza è dedicata ad una persona affetta da demenza.
Infine, un ulteriore obiettivo è di indurre le comunità a modificarsi dall’interno, attraverso la continua costruzione di ponti tra le persone (ad esempio, la costruzione delle Alzheimer Friendly Community).
L’impegno comune e condiviso deve essere fatto pertanto per promuovere l’integrazione delle persone anziane in gruppi sociali e di comunità. Attraverso il rafforzamento di una rete di sostegno sociale, l’interconnessione tra membri della comunità può contribuire a moderare l’isolamento e la solitudine, a migliorare l’autostima e a promuovere sentimenti di appartenenza nell’anziano.
Nel complesso, l’evidenza circa l’efficacia degli interventi di prevenzione del suicidio per gli anziani rimane limitata. C’è consenso sul fatto che l’approccio multi-fattoriale a più livelli di prevenzione del suicidio possa rappresentare il modo più adeguato per ridurre il fenomeno anche negli anziani (Erlangsen A. et al., 2011).
Leggi la prima parte dell’articolo
“La depressione nell’anziano“
Leggi la seconda parte dell’articolo
“DAT e diritto all’autodeterminazione: tra volonta e libertà di scelta“
Quanto incide la prospettiva sociale e relazionale nelle scelte in materia di DAT?
La natura davvero innovativa della Legge 219/17 su “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento” (DAT), può essere rinvenuta sulla rilevanza assegnata ai percorsi relazionali attraverso i quali la persona – malata o sana – può arrivare a decidere sui trattamenti da seguire o da rifiutare. Si tratta di percorsi che non “costringono” la persona ad assumere decisioni scomode nella sfera del privato, con il rischio di aumentare il senso di solitudine e incertezza, ma che riguardano tutta la piccola comunità all’interno della quale la persona è inserita, e quindi i familiari, le persone intime e naturalmente l’équipe assistenziale e, in primo luogo, il medico (AIP, 2019).
La comunicazione deve poter divenire il principale strumento nella costruzione di un reale percorso decisionale e di accompagnamento all’anziano e a chi ne fa le veci, attraverso tempi, spazi e modalità dedicate, in un percorso condiviso. L’obiettivo potrà essere quello di tessere relazioni umane forti e significative per il tramite di quell’agire comunicativo adulto che deve saper guardare, lealmente e responsabilmente, non ad un numero ma a quella persona concreta e reale, inserita in quell’altrettanto ambiente reale che tesse la sua umanità, la sua identità, la sua biografia, le sue speranze, le sue attese, il ricordo che essa vuole lasciare di sé e la sua stessa dignità. (AIP 2019).
La solitudine esistenziale dell’ammalato (anche quando non sarà più in grado di esprimere la sua voce) potrà così trovare risposta attraverso uno scambio concreto e umano che la comunicazione rappresenta, valorizzando le straordinarie opportunità che sono offerte dalla pianificazione anticipata delle cure.
Una delle principali novità e risorse della nuova legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento, senza modificare le disposizioni della legge civile sulla rappresentanza legale, è l’introduzione della figura del fiduciario, che deve essere valorizzato nel processo di formazione anticipata della volontà laddove, naturalmente, la persona interessata decida di avvalersene.
Estendendo questa forma di accompagnamento a ogni fase del processo di cura, con l’obiettivo di ridurre le solitudini esistenziali e di sostenere le scelte più difficili; il fiduciario è la persona che può essere designata dall’interessato, scelta tra i componenti della sua sfera parentale o amicale, la quale è tenuta a sostenerlo nelle scelte di cura e a rappresentarne il suo miglior interesse quando non sarà più nelle condizioni di poterlo fare (AIP, 2019).
Il dibattito etico: la necessità di far chiarezza
Il problema dell’ambiguità terminologica risulta ad oggi ancora presente nel dibattito bioetico attuale, con termini ancora confusi e poco chiari, che fortificano confusione e disorientamento. Questo comporta ripercussioni anche nell’approccio al tema del suicidio e più in generale del valore morale ed etico di alcune azioni e decisioni relative alla fine della vita.
Innanzitutto, l’interruzione della vita su richiesta e l’assistenza al suicidio sono atti caratterizzati dalla medesima intenzione: entrambe le azioni sono finalizzate a causare la morte del malato. Al contrario, il rifiuto o la rinuncia di un trattamento sproporzionato così come il ricorso alla sedazione palliativa non costituiscono delle pratiche volte a provocare intenzionalmente la morte del paziente quando mirano a garantire il rispetto delle volontà dell’assistito e ad alleviarne le sofferenze (Marin, F. 2017).
La sedazione palliativa profonda
La sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte si realizza con la somministrazione intenzionale di farmaci, alla dose necessaria richiesta, per ridurre fino ad annullare la coscienza del paziente allo scopo di alleviare sintomi fisici o psichici intollerabili e refrattari a qualsiasi trattamento (dispnea, nausea e vomito incoercibile, delirium, irrequietezza psico-motoria, distress psicologico o esistenziale, senso di soffocamento) nelle condizioni di imminenza della morte con prognosi di ore o pochi giorni per malattia inguaribile in stato avanzato e previo consenso informato. Essa ha lo scopo di eliminare il dolore e le sofferenze.
I sintomi definibili refrattari possono essere sia fisici sia psicologi e/o esistenziali. Poiché la sedazione palliativa può avere diversi livelli, sino a essere contraddistinta da una profondità che non consente la risposta ad azioni tattili o dolorose, e da continuità, cioè senza interruzione, la sedazione continua profonda deve essere effettuata con il consenso del malato.
La sedazione palliativa profonda ha quindi lo scopo di controllare una sofferenza refrattaria con farmaci sedativi ed è dimostrato che non abbrevia la vita, anzi è stato verificato che in alcuni condizioni cliniche la può anche allungare.
La sedazione profonda continua non va confusa con l’eutanasia o con il suicidio assistito o l’omicidio del consenziente. Quindi è fondamentale per tutti i sanitari conoscere gli elementi distintivi che differenziano la sedazione palliativa (che ha come obiettivo il controllo di una sofferenza refrattaria, che utilizza come mezzi farmaci con azione sedativa e che ha come risultato l’induzione di un sonno a diversi livelli) dalle pratiche che hanno, invece, il chiaro obiettivo di provocare la morte del malato usando sostanze in grado di condurre a morte (OPL, 2019).
La necessità di un supporto decisionale e psicologico
Nel caso di malattie croniche, o di malattie in fase avanzata o di terminalità, ci troviamo di fronte a scelte difficili sia dal punto di vista cognitivo sia affettivo-relazionale, che coinvolgono la persona, il nucleo famigliare e sociale, l’equipe di assistenza.
Il professionista sanitario, possibilmente lo psicologo e/o lo psicoterapeuta formato, oltre a favorire nel paziente e nei familiari il riconoscimento e la gestione dei vissuti e delle dinamiche emotive e relazionali specifiche della condizione, può anche accompagnare nel complesso percorso delle scelte “difficili”.
Nella dimensione delle cure palliative e della Legge 219 rappresentano un nucleo centrale: i principi dell’autodeterminazione dell’autonomia, gli aspetti del funzionamento psichico-quali quelli legati alla consapevolezza, alla capacità di comprendere e di riconoscere potenziali futuri scenari di malattia e di impossibilità di compiere scelte autonome rispetto alla propria salute, così come aspetti filosofici (il significato dell’esistenza o fino a che punto l’esistenza possa essere considerata dignitosa, l’accettazione del limite e della morte) (OPL, 2019).
Nella complessità del percorso di accompagnamento al processo decisionale, così come sottolineato dalla legge, va promossa e valorizzata la relazione di cura, intesa come spazio-tempo in cui si condividono informazioni, scelte terapeutico/assistenziali, emozioni e valori: il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura (Legge 218717, comma 8, art.1).
La prevenzione del suicidio: è possibile?
La maggior parte delle strategie nazionali di prevenzione del suicidio riconosce l’alto rischio di comportamenti suicidari nei pazienti di età di 65 anni e oltre.
Le strategie volte a questa fascia di età in genere promuovono la salute mentale, con particolare attenzione per il riconoscimento precoce e il trattamento della depressione.
Per raggiungere quest’obiettivo, deve essere facilitato in ogni modo possibile l’accesso ai servizi integrati di salute mentale e l’adeguato trattamento e il sostegno per le persone anziane e i loro accompagnatori (De Leo D. e Arnautovska U., 2016).
A livello individuale, la gestione della suicidalità richiede spesso una combinazione di approcci di trattamento che includono farmaci, psicoterapia, cambiamenti sociali e/o misure riabilitative.
Con gli anziani, è di cruciale importanza conoscerne le attuali condizioni somatiche e l’eventuale trattamento farmacologico in corso. I farmaci antidepressivi, così come alcune forme di psicoterapia cognitivo-comportamentale, possono essere utili nei soggetti depressi e con ideazione suicidaria.
Gli interventi hanno bisogno di bilanciare fattori di rischio e protettivi, tenendo presente che questi saranno d’importanza diversa a seconda del contesto culturale e sociale. Il rischio di suicidio spesso non è riconosciuto nei pazienti più anziani e si è riscontrato come molti anziani che si tolgono la vita si sono consultati con il loro medico di famiglia poco prima della morte (AIP, 2017). Il medico di medicina generale può divenire il primo e fondamentale osservatore, capace di leggere i segnali di allarme e di inviare l’anziano, preventivamente e tempestivamente, a servizi o professionisti di competenza.
Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta a una corretta ed efficace valutazione e presa in carico del dolore cronico e complicato, soprattutto inpresenza di gravi disabilità, in quanto si possono innescare tendenze suicidarie soprattutto in assenza di adeguato supporto sociale.
Non solo cure primarie ma anche il rafforzamento delle cure specialistiche palliative sul territorio e sui contesti di assistenza geriatrica (residenze, ospedali) potrebbe aiutare nell’intercettare bisogni non solo fisici ma anche psicologici, sociali, spirituali, cercando si alleviare un dolore globale che può condurre a scelte estreme. Purtroppo l’accesso alle cure palliative per la popolazione geriatrica è difficile: almeno un milione di anziani con malattie croniche è assistito a casa, ma una famiglia su tre è lasciata sola ad accompagnarli verso il fine vita.
I farmaci soprattutto quelli antidepressivi potrebbero ridurre i pensieri suidiciari e il suicidio; il litio, oltre che a stabilizzare l’umore, sembra ridurre il comportamento aggressivo e impulsivo. Si dovrebbe cercare di aumentare la resilienza delle persone anziane con esercizi di mindfulness (versus “mindlessness”, ovvero chiusura mentale, cioè essere incastrati in schemi cognitivi passati, non più funzionali nel presente); l’ obiettivo è il benessere psicofisico della persona, soprattutto anziana che spesso si identifica con l’immagine della vecchiaia (SIGG, 2018).
Dove ti porto?
Accompagnare la persona anziana alla fine della vita
di Elisa Mencacci
“Dove ti porto? Una domanda bellissima, che riporta in primo piano i due grandi protagonisti: colui che accompagna e colui che viene accompagnato, in una danza che diviene costruzione attiva e gioco di reciprocità, responsabilità, scambio.”
Colui che accompagna è l’operatore, che avrà il compito incredibile di portare il morente.
La valutazione e l’identificazione dell’anziano a rischio
Il comportamento suicidario non può essere completamente compreso se interpretato solo come conseguenza della malattia psichiatrica. Infatti, il comportamento suicidario è un evento multifattoriale che si estende oltre il regno psichiatrico o psicopatologico dell’esperienza umana.
Lo strumento clinico più importante che un professionista deve possedere nell’avvicinarsi a un paziente suicidario è la capacità di effettuare una valutazione del rischio esaustiva ed efficace, promuovendo sempre più la costruzione di una relazione di fiducia e di una reale alleanza terapeutica. L’obiettivo finale dell’intervista è quello di trasformare le informazioni raccolte in una formulazione che esprima il livello complessivo di rischio per quell’individuo (AIP, 2017).
La valutazione del rischio suicidario dovrebbe essere una responsabilità condivisa, non solo della figura medica. Sicuramente serve una presa in carico di anziani che riportano un’ideazione suicidaria, in quanto sono più esposti al pericolo di morte per suicidio, indipendentemente dal tipo e dalla gravità della malattia mentale di cui eventualmente soffrono.
L’esplorazione della presenza d’ideazione suicidaria deve essere affidata a un clinico (psicologo e/o medico) che possieda una certa esperienza, in particolar modo della specifica popolazione degli anziani, spesso più timorosi nell’apertura, nel disvelare i propri tormenti, essendo preoccupati per il giudizio dei sanitari e provando spesso sentimenti di vergogna per quanto vissuto.
Sono attualmente disponibili alcuni strumenti di valutazione utili per il clinico (scale di valutazione, test di screening) sempre con le dovute limitazioni.
Alla luce della complessità delle dimensioni coinvolte Il ruolo di intercettore di traiettorie suicidarie è perciò particolarmente impegnativo; richiede sapere scientifico ma anche – o soprattutto – doti di umana comprensione che forse non sempre si possiedono (AIP 2017).
Interventi per il sostegno sociale e la costruzione di una rete
La prevenzione del suicidio sembra una via percorribile anche per i più anziani; è dimostrato che gli interventi per ridurre l’ isolamento sociale e l’ aumento del supporto sociale con attività di gruppo o aumentando la comunicazione anche con il solo telefono riducono la mortalità da suicidio nei più anziani.
Servizi domiciliari e programmi che offrono sostegno sociale possono essere di cruciale importanza per la prevenzione del suicidio tra i soggetti più anziani; soprattutto coloro che hanno subito un lutto recente potrebbero costituire gli utenti ideali di questi servizi. Pertanto, appare necessario favorire la particolare vigilanza di quei soggetti che hanno subito una perdita recente (e non godono di sufficiente supporto sociale) e di coloro per i quali esiste un aumentato rischio di suicidio, soprattutto durante momenti di particolare vulnerabilità (ricorrenze, la stagione festiva invernale) (AIP, 2019).
In caso di bisogno, gli anziani sembrano più propensi a contattare il loro medico di famiglia piuttosto che i servizi di salute mentale. Tuttavia, i servizi sociali (come i centri per anziani, le aziende di trasporto pubblico, i gruppi di supporto di coetanei) e le comunità particolari, come le banche, le società di servizi, farmacisti e postini possono rappresentare utili gatekeeper (Conwell Y., 2014).
La finalità di tali servizi all’interno nella comunità può essere pertanto anche quella di raggiungere efficacemente anziani socialmente ed economicamente svantaggiati e quindi a rischio di suicidio (con operatori appositamente addestrati a riconoscere i bisogni) e quella di indirizzarle a servizi specifici di geriatria e di salute mentale.
Per ora non sono sufficienti le conoscenze psicopatologiche dell’evento suicidio nell’ anziano: potrebbero aumentare utilizzando le applicazioni per smartphone disponibili che forniscono le informazioni comportamentali e cognitive. le informazioni raccolte da un specifica applicazione sono poi trasmesse e messe a disposizione dei medici per le decisioni terapeutiche e per la ricerca. Lo smartphone può essere quindi lo strumento ideale per realizzare e valutare I digital phenotyping del comportamento utilizzando i sensori che possiede. Con questo strumento e metodologia il medico psicogeriatra potrà valutare di più l’ affettività, la cognitività e il comportamento e le emozioni dei propri pazienti anziani (SIGG, 2018).
La prevenzione del suicidio nei soggetti anziani dovrebbe ampliare di molto il portafoglio d’interventi e prestare più attenzione alle molte condizioni socio-ambientali che possono essere rilevanti in età avanzata, in particolare l’isolamento sociale, l’insicurezza finanziaria e la diminuita salute fisica. Il miglioramento del sostegno sociale e l’individuazione e il trattamento precoce dei disturbi affettivi sono interventi fondamentali per ridurre il rischio di suicidio in età avanzata.
Vanno promosse politiche per la fornitura di monitoraggio e assistenza post-ospedaliera alle famiglie implicate, in modo da interconnettere ogni possibile agenzia socio-sanitaria.
La prevenzione basata sulla formazione di gatekeeper delle comunità sembra essere una strategia importante. In particolare, dovrebbero essere incoraggiati con forza quei programmi comunitari che promuovono un senso di utilità e di appartenenza e preservano l’integrazione e lo status sociale. (AIP 2017). Soprattutto il tema della solitudine deve trovare spazio ulteriore di sensibilizzazione, approfondimento e ricerca, a partire da agenti e dai servizi attivi nel territorio.
Il primo passo verso la lotta all’impatto negativo di questo stato emotivo è riconoscere che ciò che proviamo è la solitudine e, secondariamente, rispondervi formando e rafforzando le connessioni (Cacioppo, 2014).
E’ importante che si intervenga sul problema richiamando l’attenzione sui rischi della solitudine in età avanzata, con approcci personalizzati. Inoltre è importante un’adeguata formazione dell’anziano perché sappia esprimere i propri bisogni e le conseguenti richieste di supporto, modificando atteggiamenti ancora prevalenti che tendono a impedire in età avanzata la libera manifestazione del sentire individuale (AIP, 2018). Tali interventi devono poter raggiungere tutti i principali contesti di “solitudine abitata” dell’anziano: l’ospedale, le strutture residenziali, il proprio domicilio. Non si può tralasciare la solitudine della diade caregiver-anziano ammalato, specialmente quando l’assistenza è dedicata ad una persona affetta da demenza.
Infine, un ulteriore obiettivo è di indurre le comunità a modificarsi dall’interno, attraverso la continua costruzione di ponti tra le persone (ad esempio, la costruzione delle Alzheimer Friendly Community).
L’impegno comune e condiviso deve essere fatto pertanto per promuovere l’integrazione delle persone anziane in gruppi sociali e di comunità. Attraverso il rafforzamento di una rete di sostegno sociale, l’interconnessione tra membri della comunità può contribuire a moderare l’isolamento e la solitudine, a migliorare l’autostima e a promuovere sentimenti di appartenenza nell’anziano.
Nel complesso, l’evidenza circa l’efficacia degli interventi di prevenzione del suicidio per gli anziani rimane limitata. C’è consenso sul fatto che l’approccio multi-fattoriale a più livelli di prevenzione del suicidio possa rappresentare il modo più adeguato per ridurre il fenomeno anche negli anziani (Erlangsen A. et al., 2011).
Leggi la prima parte dell’articolo
“La depressione nell’anziano“
Leggi la seconda parte dell’articolo
“DAT e diritto all’autodeterminazione: tra volonta e libertà di scelta“