Il numero 13 di Rivista Cura, uscito in questi giorni, verte sul tema dei desideri. Per prima cosa è necessario parlarne, dare voce alle persone che fanno parte del sistema RSA per far emergere quali sono i miglioramenti auspicabili (e realizzabili) rispetto alle attività e agli ambienti di cura. Serve poi ripensare a un’organizzazione che possa offrire risposta agli stessi. A questo proposito abbiamo intervistato diverse figure professionali. Da ogni confronto sono nate visioni e aspettative in grado di influire positivamente sulla qualità della vita in RSA.
Ringraziamo la direttrice Chiara Celentano, di Residenza Richelmy, Orpea SpA, di Torino, che ci ha concesso un po’ del suo tempo per dialogare con noi in merito a questo argomento.
Buongiorno direttrice Celentano, ci offre qualche dettaglio sulla posizione che ricopre e da quanto tempo svolge questo lavoro?
Da luglio 2022, ricopro il ruolo di Direttrice della Residenza Richelmy di Torino per Orpea SpA. Residenza Richelmy è una RSA di 180 posti letto che risponde ai bisogni di un’utenza molto varia.
Abbiamo 9 nuclei: uno dedicato al declino cognitivo temporaneo (NDCT ex NAT) e alla gestione (anche non farmacologica) dei disturbi in fase acuta portati dalla demenza/Alzheimer; cinque nuclei di RSA suddivisi per differenti fasce di intensità assistenziali; uno di élite che si contraddistingue per un elevato livello di servizi alberghieri; uno in fase di trasformazione in base alla nuova normativa regionale, dedicato al declino cognitivo (NDC) e destinato a tutti i Residenti del NDCT che dopo 60 giorni (o comunque dopo una stabilizzazione dei sintomi acuti portati dalla demenza/Alzheimer) devono essere trasferiti in un nucleo predisposto per accoglierli (a tempo indeterminato) in Alta Intensità assistenziale incrementata; e infine uno di élite care che si contraddistingue per un elevato livello di servizi sanitari e di terapie che spaziano dalle cure palliative alle terapie non farmacologiche (n cui è presente, per esempio, una stanza Snoezelen dedicata).
La struttura nasce nell’ex istituto Richelmy. In passato è stata una scuola apostolica, poi oratorio di Sant’Agostino, e a seguire istituto salesiano destinato a scuola per artigiani, scuola media e scuola elementare.
Ancora oggi la Residenza è profondamente radicata nella cultura torinese. I nuclei portano il nome delle principali piazze di Torino così come il ristorante interno a disposizione dei momenti conviviali per i residenti e i loro cari.
Svolgere questo lavoro nasce da una scelta dettata dal desiderio di lavorare in quest’ambito, o è arrivata qui per altre strade?
Sono una ex atleta di ginnastica, e dunque posso dire di essere arrivata qui per altre strade. Ho iniziato come istruttrice nel settore sportivo: insegnavo diverse discipline sia in ambito agonistico sia in ambito di benessere della persona. A malincuore ho deciso, ormai 12 anni fa, di diminuire le ore di insegnamento, e ho iniziato a lavorare come impiegata amministrativa in una RSA. Ho scelto di cambiare settore perché ai tempi l’ambito sportivo non aveva alcuna tutela a livello contrattuale e, nello specifico, quello delle RSA e degli anziani era un ambito a me familiare, visto che ci lavorava mio padre.
Ho iniziato senza alcun tipo di competenza ma, per mia fortuna, ero approdata in un’azienda capace di valorizzare, formare e far crescere le proprie risorse. Tutto ciò che amavo fare nel settore sportivo (la relazione umana, il benessere della persona, la gestione del team, il raggiungimento degli obiettivi, la formazione, ecc..) l’ho riversato nel settore RSA, rendendomi conto che vi erano molte affinità.
Così, giorno dopo giorno, mi sono innamorata anche di questo ambito: ho acquisito competenze, ho studiato, ho cercato di dare il mio contributo per migliorare le cose e di entrare in questa nuova rete di professionisti. Sono stata affiancata e supportata da persone che hanno creduto in me. L’azienda mi ha affidato nuovi incarichi, mi ha formata e mi ha insegnato tutto quello che so: che so fare e che so essere oggi.
Da impiegata amministrativa sono passata a fare la coordinatrice dei servizi, la formatrice e successivamente la direttrice. In questo ruolo ho avuto la fortuna fino ad oggi di poter lavorare per alcune tra le più importanti aziende italiane. Quindi si può dire che sono approdata nel settore per altri motivi ma che grazie a un forte desiderio di crescere e di lavorare bene per il benessere delle persone ho fatto tutta la strada fino a qui.
Quali potrebbero essere, nella sua esperienza e opinione, i desideri di un residente delle strutture che dirige?
Penso che in una Residenza, dove le persone arrivano portandosi dietro già un grande bagaglio di anni e di esperienze, ogni figura professionale possa – se lo vuole – accogliere e raccogliere desideri differenti di una stessa persona in base al ruolo svolto.
Le persone che entrano in RSA non ci scelgono come persone ma come professionisti. Non raccontano a noi quindi i desideri come li racconterebbero a un loro caro affetto ma come professionisti in quanto tali.
Io, come Direttrice, raccolgo spesso quei desideri legati all’organizzazione: “vorrei organizzare una festa speciale per il mio compleanno con i miei cari”; “vorrei uscire per andare al ristorante o a fare un soggiorno al mare”; “vorrei che mettesse in turno nel mio nucleo quell’OSS che parla francese in modo da poterci parlare insieme ed esercitarmi nel mantenere la mia conoscenza della lingua”, per farle alcuni esempi.
Mi piace pensare che il mio capo cuoco possa conoscere i desideri e le storie legate ai piatti che propone, che le OSS possano conoscere i desideri più legati alla sfera intima, che gli infermieri quelli legati alla salute, i fisioterapisti alle autonomie motorie, gli educatori alle passioni e alle attività…
In generale penso che alla base dei desideri della maggior parte dei residenti ci sia il desiderio di serenità. La serenità di poter contare su una squadra di professionisti sanitari e non, la serenità di vivere in un posto protetto, pulito, con pasti salutari, spazi e attività per passare il tempo o condividerlo con i propri cari; serenità nei gesti e nelle parole di chi ogni giorno “entra a casa loro” per offrirgli un servizio, serenità di poter essere ascoltati e accolti in qualsiasi momento.
E quanto reputa importante, invece, dare ascolto ai desideri del personale?
Ascoltare i desideri del personale è fondamentale! Il benessere del Residente è direttamente collegato al benessere del personale che si relaziona con lui.
Non si può chiedere al personale di raccogliere i desideri dei residenti senza aver avuto modo/tempo di ascoltare in primis i loro desideri, anche perché dall’ascolto e dal confronto nascono nuove prospettive, nuove idee, che sono linfa vitale per le nostre Residenze.
Far provare loro “la potenza” dell’ascolto e della presa in carico dei loro desideri mi sembra un buon modo per fargli capire quanto il loro lavoro sia importante e quanto, se fatto in maniera più umana, possa influire positivamente sullo stato di benessere dei residenti, dei parenti e dei colleghi.
Ricorda occasioni in cui i bisogni dell’organizzazione hanno reso difficoltoso rispondere ai desideri dei residenti?
Le difficoltà si riscontrano quotidianamente, non tanto per i bisogni dell’organizzazione intesa come azienda quanto per l’organizzazione del sistema e delle risorse dedicate al settore.
I minutaggi, uniti alla domanda sempre più crescente di reporting e di tracciare ogni evento, la ricerca della sostenibilità economica a fronte delle sempre maggiori spese, l’investimento di risorse nel cercare di mantenere sempre alta la fiducia dei parenti (nonostante i media spesso non aiutino gli addetti ai lavori). Tutto questo lascia poco spazio ai desideri, o forse non abbiamo ancora il giusto metodo per “inserirli” nelle nostre routine… anche se di routinario nelle nostre giornate c’è poco.
Un cambio culturale è iniziato, molte aziende hanno ormai buone politiche di gestione delle risorse umane e di valorizzazione delle stesse. L’attenzione al residente e ai progetti di struttura è sicuramente in crescita, e si è creata una rete di professionisti che investono risorse per il confronto e per le riflessioni e gli spunti che possono portare miglioramenti nel settore. Ma tanta è ancora la strada da fare.
Quali ingredienti sono fondamentali, secondo lei, per un’organizzazione che voglia essere sempre più capace, in maniera concreta, di fare spazio ai desideri di tutti i suoi “abitanti”?
Metodo, competenza e passione uniti alla capacità di ascolto e a una vision orientata al benessere, alla formazione e alla valorizzazione delle risorse umane.
…E poi ci vuole coraggio, tanto coraggio. In tempi difficili come questi, bisogna avere il coraggio di investire risorse in qualcosa che non sta direttamente alla base dell’assistenza (che non è un obbligo di legge, che non “dobbiamo garantire da contratto”) e credere che possa porre le basi per il futuro dell’assistenza e della relazione di cura (un’assistenza sempre più medicalizzata ma allo stesso tempo sempre più orientata a un’umanizzazione delle cure). È necessario condurre un grande cambiamento culturale nel nostro settore.
Quale ritiene che sia, in chiusura, il suo più grande desiderio come responsabile di RSA?
Forse inizio a essere un po’ anziana… perché anche io mi ritrovo nel desiderio di serenità. Il più grande desiderio è quello di portare la Residenza e tutti i suoi “abitanti” in uno stato di serenità, fiducia e armonia. Residenti sereni accompagnati da personale sereno, in un clima di fiducia – anche con i parenti – e di collaborazione. Desidero che la RSA sia un posto dove vi sia il tempo e il piacere di stare insieme, di ascoltarsi e di lavorare proattivamente in team per poter dare sempre nuove risposte ai bisogni e ai desideri costantemente in evoluzione di tutti noi.
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