A cura di Claudio Baldacci (Responsabile Tecnico Settore Anziani, Coop. G. Di Vittorio) e Carmine Di Palma (Direttore di Area, Coop. G. Di Vittorio)
I tavoli multi-professionali dedicati al tempo in RSA
Nelle due giornate del Meeting delle Professioni di Cura del 21 e 22 marzo 2024, è stato affrontato il tema della gestione del tempo nella cura. Nello specifico, questo il titolo dell’edizione: “Non c’è cura nella fretta. Gestire o creare il tempo in RSA?”
Nella giornata del 21 sono stati organizzati diversi tavoli con gruppi multi professionali in cui abbiamo ragionato, nello specifico, a partire da due interrogativi relativi al rapporto tra tempo e cura.
Nella prima parte dei lavori si è indagato infatti il tempo in termini individuali e i partecipanti al tavolo hanno dialogato per rispondere al seguente interrogativo:
-
Nella mia realtà lavorativa quotidiana, riesco davvero a rispettare e a sentire rispettato il mio tempo interiore?
Nella seconda parte dei lavori si è invece indagato il tempo in termini organizzativi. Ecco dunque la seconda domanda attorno alla quale abbiamo dialogato:
-
Come deve essere un’organizzazione affinché la Cura sia davvero presente a ogni livello al suo interno?
Riportiamo in questo articolo le principali considerazioni emerse, nella speranza di stimolare riflessioni e pensiero critico nei professionisti che le leggeranno.
Il tempo in RSA dal punto di vista interiore e individuale
Il nostro gruppo si è costituito in modo casuale e da subito c’è stata una grande complicità nella discussione del tema che, per tutti, è stato considerato di delicata trattazione, ma molto centrale nei processi di cura.
Dal confronto è emerso come il ruolo professionale sia una discriminante fondamentale rispetto alla percezione del tempo all’interno della relazione di cura. È inoltre emerso che la percezione di ciascuno sul rispetto del proprio tempo interiore è collegata sia al ruolo che la persona riveste all’interno dell’organizzazione, sia al fatto di essere o meno all’interno di un’organizzazione.
Di seguito proponiamo, in sintesi, alcune delle riflessioni emerse dai singoli partecipanti al tavolo durante il dialogo del mattino attorno al tempo in RSA dal punto di vista interiore e individuale, precisando il ruolo professionale di ognuno.
I pensieri dei professionisti
- P. (dramma-terapeuta), ci racconta che lei ha una posizione lavorativa in cui è più libera di sintonizzarsi con il tempo proprio e degli anziani. Dice anche che loro le hanno insegnato che non si può costruire a priori uno spazio temporale definito ma è il contesto che definisce ciò che si può o non si può fare ed è necessario che questo venga ascoltato. Ha anche, nel merito, contribuito con una poesia scritta da alcuni anziani, di cui riportiamo alcuni passi: “Il tempo fugge quando si fa premura- il tempo sei tu. Sento la perdita – vorrei usare del tempo per ricordare, riflettere, stare insieme col dolore. Sentire per crescere insieme.” Conclude il contributo con la riflessione sul confronto del concetto di tempo tra un suo collega che ha come idea di tempo lavorativo il Kronos e l’ospite che invece vivere intensamente ogni cosa che fa.
- S. (geriatra), si sofferma sulla riflessione che, finché si trovava all’interno di un’organizzazione come quella ospedaliera, non percepiva rispettato il proprio tempo interiore ed egli stesso sentiva di non rispettarlo. Aver fatto la scelta di iniziare a lavorare come libero professionista gli ha dato la possibilità di poter decidere del tempo, restituendogli il riconoscimento del proprio tempo interno. Questa percezione ha fatto sì che ci fosse anche un rinnamoramento verso la propria professione e gli ha permesso di rispettare maggiormente il tempo dell’anziano e dei suoi familiari. Tuttavia, ha comunque la percezione che, talvolta, per la propria disponibilità, il proprio tempo non venga rispettato dai parenti, che esprimono molte urgenze.
- F. (infermiera), nella propria narrazione, mette in evidenza che passa molto tempo nel luogo di lavoro, trattenendosi ben oltre l’orario, per propria scelta e tornandoci anche fuori orario e di come questa sua scelta non sia condivisa appieno dalla propria famiglia. Lei ritiene che sia importante questo tempo dedicato a quelli che chiama “i miei vecchi” e lo differenzia dal tempo lavorativo, che percepisce come più “professionale”. In questo modo sente rispettato il proprio tempo interiore e lo percepisce come benessere.
- G. (psicoterapeuta e coordinatrice di struttura), sente di dover adeguare il proprio tempo interno, all’interno dell’organizzazione, costantemente alle esigenze degli altri. Contrappone questa percezione a quella della libera professione, nella quale sente maggior rispetto per il proprio tempo, pur rispondendo telefonicamente sempre alle chiamate dei pazienti. All’interno della struttura, cita poi la percezione che ha all’interno del nucleo Alzheimer e nella stanza del treno, come un tempo di qualità, vissuto nel qui e ora. Questo si lega anche a un proprio vissuto del tempo, in cui preferirebbe stare più nel presente che nel futuro, con una fatica a fare lunghe programmazioni. Conclude con questa riflessione: il fatto che percepiamo il nostro tempo non rispettato, spesso non dipende tanto dalla quantità di tempo che ci viene richiesta per fare qualcosa, ma da quanto riusciamo a riconoscerci in quello che facciamo.
- M. (terapista occupazionale), porta l’esperienza maturata, seppur relativamente breve, all’interno di due strutture. Pone la sua attenzione su come, la propria percezione del rispetto del suo tempo interiore, sia influenzata da quanto sia rispettato il tempo all’interno dell’organizzazione in cui si trova. Questo perché la propria professione richiede che ci possano essere tempi diversi, per la relazione. Riporta inoltre la propria frustrazione rispetto alla formazione data agli operatori, all’interno della quale non viene dedicata attenzione a questo aspetto e di come sia importante calibrare l’approccio sulla persona. Cerca di ricordare l’importanza di tutto questo, all’interno delle riunioni settimanali, ma riporta anche una sua difficoltà a narrare il tema del non rispetto del proprio tempo all’interno dell’organizzazione.
- M. (direttore di struttura), sottolinea come sia necessario, a volte, fare un’attività di tipo educativo, per far sì che siano rispettati i tempi dell’altro. Nel fare questo ha anche cercato di imporre dei limiti precisi. La percezione del non rispetto del tempo è data anche dalle richieste continue che vengono sia dall’interno che dall’esterno dell’organizzazione. Riflette anche sul fatto che una realtà organizzativa piccola, come quella dove lavora, può avere degli obiettivi meno chiari, rispetto ad organizzazioni più grandi. Lui si ritrova a dover gestire molti aspetti della quotidianità, per cui sente che non vene rispettato il proprio tempo.
- C. (coordinatrice di struttura), afferma che non sente rispettato il proprio tempo, forse perché è in una fase di transizione verso il ruolo di coordinamento. Nello specifico, percepisce, nel nuovo ruolo, un maggior rispetto del proprio tempo extra-lavorativo e un minore rispetto di quello lavorativo. Questo per le molte incombenze, come conoscere i residenti, i familiari, gli operatori ma anche per i tempi dettati dalla direzione. La direzione invita i coordinatori a non superare le ore settimanali previste e introduce il concetto per cui se non si sa organizzare il proprio tempo, non si sa organizzare quello degli altri. Sente quindi uno scontro interno tra il proprio tempo interiore con i tempi richiesti dall’organizzazione.
- I. (coordinatrice infermieristica), ci dice come ha imparato a rispettare il proprio tempo o quantomeno come ha ben presente, dentro di sé, l’idea di rispettare il proprio tempo. La sua nuova esperienza di coordinamento la sta portando a una rimodulazione, per quanto sarebbe portata a una rimodulazione degli altri. Percepisce come influente sulla gestione del tempo la mancanza di una équipe strutturata. Percepisce come investimento il tempo dedicato al gruppo di lavoro e ha ben presente come debba essere considerata e condivisa la fatica di ciascuno e di come sia necessario far “incastrare quello che c’è da fare, tra una relazione (tra persone) e l’altra”. Trova come momento di motivazione e stimolo il rapporto con gli assistiti della struttura. La propria percezione di stare andando, nel lavoro col gruppo, nella direzione giusta, talvolta, non trova riscontro in ciò che viene riferito da alcuni ospiti e familiari, che percepiscono fretta nel lavoro degli operatori.
In un secondo spazio di interventi è inoltre emersa una riflessione sul senso del limite: accettare che ciò che si possa riuscire a fare, nel tempo che si ha, sia quello. Questo permette di vivere il qui e ora. I limiti, inoltre, sono ciò che dà forma a noi come persone e anche alle nostre organizzazioni. La RSA, ad esempio, ha la propria forma nei limiti dati dai tempi, dall’organizzazione appunto.
Il tempo in RSA dal punto di vista organizzativo
Per il lavoro del pomeriggio, con il focus su organizzazione e cura, partiamo da alcune esperienze o riflessioni che i partecipanti al tavolo hanno portato, raggruppando i singoli contributi in aree tematiche. Da questi contributi emergono, come temi comuni, l’importanza della comunicazione, della condivisione, del riconoscimento.
Di seguito alcuni pensieri emersi, che vanno a toccare alcuni elementi chiave per la vita dell’organizzazione sociosanitarie:
- La struttura, per rispondere al bisogno di cura, si deve riadattate sul bisogno del residente, come, ad esempio, rivedere la propria organizzazione per permettere il festeggiamento di un compleanno a sorpresa di un anziano che non ha familiari e a cui può partecipare il personale.
- I dati da analizzare per verificare il funzionamento della struttura, spesso si soffermano sulla quantità di ripetizioni di un’azione e non sulla qualità dell’azione stessa.
- Nell’organizzazione, spesso il livello micro riesce, meglio del macro, ad adattarsi per la cura. Il livello medio, che corrisponde spesso al livello di coordinamento, deve avere la funzione di portare l’alto (il macro livello) vicino al basso (il micro).
- L’organizzazione deve lavorare sul benessere del personale. Si ragiona spesso sullo standardizzare il tempo, mentre bisognerebbe stare sul come e non sul cosa si fa.
- L’organizzazione amorevole. Andando oltre l’infantilizzazione degli anziani, la RSA viene vista come una casa. E come in una casa i compiti devono essere condivisi, indipendentemente dal ruolo. Per fare questo, l’organigramma e i ruoli ingessati devono essere scomposti. L’RSA può essere una “zona franca”, legata al vivere, in cui ognuno deve spogliarsi del proprio ruolo e tutti devono darsi una mano reciprocamente.
- Non avere una struttura fisicamente limitante (Si veda il caso de Il paese ritrovato) aiuta a “confondere” i ruoli; in questo modo si crea flessibilità e proficua contaminazione tra ruoli.
- Si ricorda come, durante il periodo della pandemia da Covid, si osservava una maggiore disponibilità e flessibilità nei ruoli, che poi si è persa nel ritorno ad una quotidianità. Questo può essere dovuto al fatto che in emergenza, saltando gli schemi, è aumenta la collaborazione. È mancata però, successivamente, una consapevolezza di questo (Ndr: Si veda in proposito l’articolo qui su CURA: “Lettera alla squadra: vi racconto come è cambiato il nostro lavoro durante il Covid“).
- I piani di lavoro vengono basati su obiettivi. Spesso però non c’è chiarezza su quali siano gli obiettivi.
- È importante riflettere su come viene gestito il tempo dedicato alle riunioni di equipe. Sono davvero momenti di condivisione?
- Spesso si ha la percezione di una non conoscenza dei contenuti del lavoro delle altre figure. È importante, invece, che l’organizzazione si conosca.
- L’importanza di imparare a osservare e scrivere. Si cita a proposito, un progetto, so-stare, all’interno del quale si sono invitati gli operatori a scrivere delle osservazioni positive in consegna, invece di annotare cosa non andasse.
Saper incontrare il tempo dell’Altro
Nell’arco della giornata di lavoro, con il susseguirsi dei contributi, nel gruppo è migliorata la consapevolezza del proprio tempo interiore nello scambio relazionale ed è diventato più chiaro ciò che è tempo interno e ciò che è tempo organizzativo, con una maggiore consapevolezza nella gestione.
L’aspetto interessante emerso è che il tempo interiore è sempre diverso sia in termini di percezione (per ognuno lo stesso Kronos viene percepito in modo diverso) che di significato (la stessa temporalità, vissuta nella cura, per qualcuno è poca e per altri sufficiente o troppa).
Tutti condividono come questo sia fisiologicamente diverso tra le persone e che l’ascolto e il riconoscimento sono ciò che può permettere la condivisione di queste differenze.
Nell’interazione diventa quindi essenziale la capacità di riconoscere la diversità delle unità interne di tempo. Se le persone che si incontrano, sono in grado di riconoscere la temporalità dell’altro, allora hanno la possibilità di stabilire un dialogo. Ciò diventa impossibile se ognuno pensa che esista un solo modo di sperimentare il tempo. Quando due persone si incontrano, infatti, i loro tempi individuali si compenetrano ed emerge un’area di tempo condiviso.
Dalla giornata di scambio emerge che il tempo è una dimensione sperimentabile proprio perché il presente è sia in continuità che contrapposto al passato e al futuro, senza i quali sarebbe una contemporaneità indistinta. Nella piccola esperienza che abbiamo fatto, abbiamo assistito, dalle restituzioni del gruppo, a come lo scambio tra persone possa portare l’individuo a una maturazione rispetto alla sua idea di passato e di futuro, con una conseguente rivalutazione della percezione individuale.
Questo è ciò che abbiamo voluto esprimere sinteticamente nella slide simbolica che abbiamo prodotto insieme a completamento della giornata di lavoro:
E tu come vivi il tempo in RSA dal tuo punto di vista professionale? Ti riconosci nelle riflessioni emerse? Puoi lasciare la tua testimonianza in commento a questo articolo.
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A cura di Claudio Baldacci (Responsabile Tecnico Settore Anziani, Coop. G. Di Vittorio) e Carmine Di Palma (Direttore di Area, Coop. G. Di Vittorio)
I tavoli multi-professionali dedicati al tempo in RSA
Nelle due giornate del Meeting delle Professioni di Cura del 21 e 22 marzo 2024, è stato affrontato il tema della gestione del tempo nella cura. Nello specifico, questo il titolo dell’edizione: “Non c’è cura nella fretta. Gestire o creare il tempo in RSA?”
Nella giornata del 21 sono stati organizzati diversi tavoli con gruppi multi professionali in cui abbiamo ragionato, nello specifico, a partire da due interrogativi relativi al rapporto tra tempo e cura.
Nella prima parte dei lavori si è indagato infatti il tempo in termini individuali e i partecipanti al tavolo hanno dialogato per rispondere al seguente interrogativo:
-
Nella mia realtà lavorativa quotidiana, riesco davvero a rispettare e a sentire rispettato il mio tempo interiore?
Nella seconda parte dei lavori si è invece indagato il tempo in termini organizzativi. Ecco dunque la seconda domanda attorno alla quale abbiamo dialogato:
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Come deve essere un’organizzazione affinché la Cura sia davvero presente a ogni livello al suo interno?
Riportiamo in questo articolo le principali considerazioni emerse, nella speranza di stimolare riflessioni e pensiero critico nei professionisti che le leggeranno.
Il tempo in RSA dal punto di vista interiore e individuale
Il nostro gruppo si è costituito in modo casuale e da subito c’è stata una grande complicità nella discussione del tema che, per tutti, è stato considerato di delicata trattazione, ma molto centrale nei processi di cura.
Dal confronto è emerso come il ruolo professionale sia una discriminante fondamentale rispetto alla percezione del tempo all’interno della relazione di cura. È inoltre emerso che la percezione di ciascuno sul rispetto del proprio tempo interiore è collegata sia al ruolo che la persona riveste all’interno dell’organizzazione, sia al fatto di essere o meno all’interno di un’organizzazione.
Di seguito proponiamo, in sintesi, alcune delle riflessioni emerse dai singoli partecipanti al tavolo durante il dialogo del mattino attorno al tempo in RSA dal punto di vista interiore e individuale, precisando il ruolo professionale di ognuno.
I pensieri dei professionisti
- P. (dramma-terapeuta), ci racconta che lei ha una posizione lavorativa in cui è più libera di sintonizzarsi con il tempo proprio e degli anziani. Dice anche che loro le hanno insegnato che non si può costruire a priori uno spazio temporale definito ma è il contesto che definisce ciò che si può o non si può fare ed è necessario che questo venga ascoltato. Ha anche, nel merito, contribuito con una poesia scritta da alcuni anziani, di cui riportiamo alcuni passi: “Il tempo fugge quando si fa premura- il tempo sei tu. Sento la perdita – vorrei usare del tempo per ricordare, riflettere, stare insieme col dolore. Sentire per crescere insieme.” Conclude il contributo con la riflessione sul confronto del concetto di tempo tra un suo collega che ha come idea di tempo lavorativo il Kronos e l’ospite che invece vivere intensamente ogni cosa che fa.
- S. (geriatra), si sofferma sulla riflessione che, finché si trovava all’interno di un’organizzazione come quella ospedaliera, non percepiva rispettato il proprio tempo interiore ed egli stesso sentiva di non rispettarlo. Aver fatto la scelta di iniziare a lavorare come libero professionista gli ha dato la possibilità di poter decidere del tempo, restituendogli il riconoscimento del proprio tempo interno. Questa percezione ha fatto sì che ci fosse anche un rinnamoramento verso la propria professione e gli ha permesso di rispettare maggiormente il tempo dell’anziano e dei suoi familiari. Tuttavia, ha comunque la percezione che, talvolta, per la propria disponibilità, il proprio tempo non venga rispettato dai parenti, che esprimono molte urgenze.
- F. (infermiera), nella propria narrazione, mette in evidenza che passa molto tempo nel luogo di lavoro, trattenendosi ben oltre l’orario, per propria scelta e tornandoci anche fuori orario e di come questa sua scelta non sia condivisa appieno dalla propria famiglia. Lei ritiene che sia importante questo tempo dedicato a quelli che chiama “i miei vecchi” e lo differenzia dal tempo lavorativo, che percepisce come più “professionale”. In questo modo sente rispettato il proprio tempo interiore e lo percepisce come benessere.
- G. (psicoterapeuta e coordinatrice di struttura), sente di dover adeguare il proprio tempo interno, all’interno dell’organizzazione, costantemente alle esigenze degli altri. Contrappone questa percezione a quella della libera professione, nella quale sente maggior rispetto per il proprio tempo, pur rispondendo telefonicamente sempre alle chiamate dei pazienti. All’interno della struttura, cita poi la percezione che ha all’interno del nucleo Alzheimer e nella stanza del treno, come un tempo di qualità, vissuto nel qui e ora. Questo si lega anche a un proprio vissuto del tempo, in cui preferirebbe stare più nel presente che nel futuro, con una fatica a fare lunghe programmazioni. Conclude con questa riflessione: il fatto che percepiamo il nostro tempo non rispettato, spesso non dipende tanto dalla quantità di tempo che ci viene richiesta per fare qualcosa, ma da quanto riusciamo a riconoscerci in quello che facciamo.
- M. (terapista occupazionale), porta l’esperienza maturata, seppur relativamente breve, all’interno di due strutture. Pone la sua attenzione su come, la propria percezione del rispetto del suo tempo interiore, sia influenzata da quanto sia rispettato il tempo all’interno dell’organizzazione in cui si trova. Questo perché la propria professione richiede che ci possano essere tempi diversi, per la relazione. Riporta inoltre la propria frustrazione rispetto alla formazione data agli operatori, all’interno della quale non viene dedicata attenzione a questo aspetto e di come sia importante calibrare l’approccio sulla persona. Cerca di ricordare l’importanza di tutto questo, all’interno delle riunioni settimanali, ma riporta anche una sua difficoltà a narrare il tema del non rispetto del proprio tempo all’interno dell’organizzazione.
- M. (direttore di struttura), sottolinea come sia necessario, a volte, fare un’attività di tipo educativo, per far sì che siano rispettati i tempi dell’altro. Nel fare questo ha anche cercato di imporre dei limiti precisi. La percezione del non rispetto del tempo è data anche dalle richieste continue che vengono sia dall’interno che dall’esterno dell’organizzazione. Riflette anche sul fatto che una realtà organizzativa piccola, come quella dove lavora, può avere degli obiettivi meno chiari, rispetto ad organizzazioni più grandi. Lui si ritrova a dover gestire molti aspetti della quotidianità, per cui sente che non vene rispettato il proprio tempo.
- C. (coordinatrice di struttura), afferma che non sente rispettato il proprio tempo, forse perché è in una fase di transizione verso il ruolo di coordinamento. Nello specifico, percepisce, nel nuovo ruolo, un maggior rispetto del proprio tempo extra-lavorativo e un minore rispetto di quello lavorativo. Questo per le molte incombenze, come conoscere i residenti, i familiari, gli operatori ma anche per i tempi dettati dalla direzione. La direzione invita i coordinatori a non superare le ore settimanali previste e introduce il concetto per cui se non si sa organizzare il proprio tempo, non si sa organizzare quello degli altri. Sente quindi uno scontro interno tra il proprio tempo interiore con i tempi richiesti dall’organizzazione.
- I. (coordinatrice infermieristica), ci dice come ha imparato a rispettare il proprio tempo o quantomeno come ha ben presente, dentro di sé, l’idea di rispettare il proprio tempo. La sua nuova esperienza di coordinamento la sta portando a una rimodulazione, per quanto sarebbe portata a una rimodulazione degli altri. Percepisce come influente sulla gestione del tempo la mancanza di una équipe strutturata. Percepisce come investimento il tempo dedicato al gruppo di lavoro e ha ben presente come debba essere considerata e condivisa la fatica di ciascuno e di come sia necessario far “incastrare quello che c’è da fare, tra una relazione (tra persone) e l’altra”. Trova come momento di motivazione e stimolo il rapporto con gli assistiti della struttura. La propria percezione di stare andando, nel lavoro col gruppo, nella direzione giusta, talvolta, non trova riscontro in ciò che viene riferito da alcuni ospiti e familiari, che percepiscono fretta nel lavoro degli operatori.
In un secondo spazio di interventi è inoltre emersa una riflessione sul senso del limite: accettare che ciò che si possa riuscire a fare, nel tempo che si ha, sia quello. Questo permette di vivere il qui e ora. I limiti, inoltre, sono ciò che dà forma a noi come persone e anche alle nostre organizzazioni. La RSA, ad esempio, ha la propria forma nei limiti dati dai tempi, dall’organizzazione appunto.
Il tempo in RSA dal punto di vista organizzativo
Per il lavoro del pomeriggio, con il focus su organizzazione e cura, partiamo da alcune esperienze o riflessioni che i partecipanti al tavolo hanno portato, raggruppando i singoli contributi in aree tematiche. Da questi contributi emergono, come temi comuni, l’importanza della comunicazione, della condivisione, del riconoscimento.
Di seguito alcuni pensieri emersi, che vanno a toccare alcuni elementi chiave per la vita dell’organizzazione sociosanitarie:
- La struttura, per rispondere al bisogno di cura, si deve riadattate sul bisogno del residente, come, ad esempio, rivedere la propria organizzazione per permettere il festeggiamento di un compleanno a sorpresa di un anziano che non ha familiari e a cui può partecipare il personale.
- I dati da analizzare per verificare il funzionamento della struttura, spesso si soffermano sulla quantità di ripetizioni di un’azione e non sulla qualità dell’azione stessa.
- Nell’organizzazione, spesso il livello micro riesce, meglio del macro, ad adattarsi per la cura. Il livello medio, che corrisponde spesso al livello di coordinamento, deve avere la funzione di portare l’alto (il macro livello) vicino al basso (il micro).
- L’organizzazione deve lavorare sul benessere del personale. Si ragiona spesso sullo standardizzare il tempo, mentre bisognerebbe stare sul come e non sul cosa si fa.
- L’organizzazione amorevole. Andando oltre l’infantilizzazione degli anziani, la RSA viene vista come una casa. E come in una casa i compiti devono essere condivisi, indipendentemente dal ruolo. Per fare questo, l’organigramma e i ruoli ingessati devono essere scomposti. L’RSA può essere una “zona franca”, legata al vivere, in cui ognuno deve spogliarsi del proprio ruolo e tutti devono darsi una mano reciprocamente.
- Non avere una struttura fisicamente limitante (Si veda il caso de Il paese ritrovato) aiuta a “confondere” i ruoli; in questo modo si crea flessibilità e proficua contaminazione tra ruoli.
- Si ricorda come, durante il periodo della pandemia da Covid, si osservava una maggiore disponibilità e flessibilità nei ruoli, che poi si è persa nel ritorno ad una quotidianità. Questo può essere dovuto al fatto che in emergenza, saltando gli schemi, è aumenta la collaborazione. È mancata però, successivamente, una consapevolezza di questo (Ndr: Si veda in proposito l’articolo qui su CURA: “Lettera alla squadra: vi racconto come è cambiato il nostro lavoro durante il Covid“).
- I piani di lavoro vengono basati su obiettivi. Spesso però non c’è chiarezza su quali siano gli obiettivi.
- È importante riflettere su come viene gestito il tempo dedicato alle riunioni di equipe. Sono davvero momenti di condivisione?
- Spesso si ha la percezione di una non conoscenza dei contenuti del lavoro delle altre figure. È importante, invece, che l’organizzazione si conosca.
- L’importanza di imparare a osservare e scrivere. Si cita a proposito, un progetto, so-stare, all’interno del quale si sono invitati gli operatori a scrivere delle osservazioni positive in consegna, invece di annotare cosa non andasse.
Saper incontrare il tempo dell’Altro
Nell’arco della giornata di lavoro, con il susseguirsi dei contributi, nel gruppo è migliorata la consapevolezza del proprio tempo interiore nello scambio relazionale ed è diventato più chiaro ciò che è tempo interno e ciò che è tempo organizzativo, con una maggiore consapevolezza nella gestione.
L’aspetto interessante emerso è che il tempo interiore è sempre diverso sia in termini di percezione (per ognuno lo stesso Kronos viene percepito in modo diverso) che di significato (la stessa temporalità, vissuta nella cura, per qualcuno è poca e per altri sufficiente o troppa).
Tutti condividono come questo sia fisiologicamente diverso tra le persone e che l’ascolto e il riconoscimento sono ciò che può permettere la condivisione di queste differenze.
Nell’interazione diventa quindi essenziale la capacità di riconoscere la diversità delle unità interne di tempo. Se le persone che si incontrano, sono in grado di riconoscere la temporalità dell’altro, allora hanno la possibilità di stabilire un dialogo. Ciò diventa impossibile se ognuno pensa che esista un solo modo di sperimentare il tempo. Quando due persone si incontrano, infatti, i loro tempi individuali si compenetrano ed emerge un’area di tempo condiviso.
Dalla giornata di scambio emerge che il tempo è una dimensione sperimentabile proprio perché il presente è sia in continuità che contrapposto al passato e al futuro, senza i quali sarebbe una contemporaneità indistinta. Nella piccola esperienza che abbiamo fatto, abbiamo assistito, dalle restituzioni del gruppo, a come lo scambio tra persone possa portare l’individuo a una maturazione rispetto alla sua idea di passato e di futuro, con una conseguente rivalutazione della percezione individuale.
Questo è ciò che abbiamo voluto esprimere sinteticamente nella slide simbolica che abbiamo prodotto insieme a completamento della giornata di lavoro: