Il ruolo dell’educatore in RSA
Descrivere il ruolo dell’educatore in RSA non è semplice, trattandosi di un contesto socioassistenziale dove sembrano prevalere gli interventi assistenziali e sanitari. D’altra parte non è semplice descrivere questo ruolo in generale, all’interno di qualunque servizio.
É risaputo, infatti, che spesso la figura dell’educatore viene paragonata ad un tuttofare. Il motivo? Semplice: l’educatore lavora sul quotidiano e agli occhi dei meno esperti potrebbe sembrare semplicemente colui che cucina i pasti, intrattiene gli anziani della struttura, talvolta lava gli ambienti di una comunità, a volte accompagna ragazzi a scuola. Un tuttofare, insomma.
Quello che i meno esperti non sanno, è che quelli che possono apparire come semplici gesti della quotidianità sono azioni utilizzate dall’educatore in maniera intenzionale al fine di contribuire allo sviluppo della persona in educazione (Milani, 2009). Questo uso intenzionale è proprio ciò che distingue la competenza professionale dall’agire comune.
«Quello dell’educatore è un lavoro dai ritmi lenti, si gioca sul lungo periodo ed è fatto di cose apparentemente ordinarie […] ci sono, certo, anche attività più strutturate e specifiche […], ma perlopiù l’attività educativa passa attraverso gesti semplici, abituali, quasi ovvi. Con la differenza che essi vengono investiti di un significato particolare che li rende importanti, ancorché normali.»
D. Bruzzone in V. Iori (a cura di), 2012 p. 98
Ecco, quindi, che chi non conosce a fondo questa figura rischia di scambiarla per qualcuno che ha un ruolo non ben definito, facilmente interscambiabile e che possa fare un po’ di tutto in base alle necessità, ma chi vive di questo lavoro sa che non è così, o per lo meno dovrebbe averne consapevolezza.
Avere chiaro il proprio ruolo è fondamentale per capire come inserirsi all’interno dell’équipe e dell’organizzazione stessa, quali competenze possedere, o eventualmente allenare, e come realizzare il proprio intervento. Proprio per questo, quando formo colleghi interessati a lavorare in RSA parto proprio definendo il ruolo dell’educatore all’interno di questo servizio.
Come possiamo descriverlo?
Ma facciamo un passo indietro, è possibile stabilire in maniera univoca il ruolo di un professionista, oppure ogni organizzazione è libera di dare sfumature diverse all’identità dell’educatore?
Sebbene ogni territorio possa presentare contesti leggermente differenti, il ruolo che ricopre l’educatore professionale all’interno di una RSA è pressoché sempre lo stesso. Si tratta, infatti, di una figura che redige, progetta e verifica interventi educativi (attività o progetti) volti a valorizzare le capacità della persona che vive in struttura, partendo da un’analisi dei bisogni e individuando le risorse disponibili.
Inoltre, considerando che la figura dell’educatore professionale (sociosanitario o socio-pedagogico che sia) è normata a livello nazionale, le mansioni che spettano a questa figura non dovrebbero mai uscire dal proprio campo d’intervento. Certo, è possibile che, in base al tipo di organizzazione, questa figura venga affiancata da altri professionisti come il terapista occupazionale o lo psicologo, e che quindi debba integrare il proprio intervento a quello dei colleghi, ma in ogni caso il ruolo dell’educatore in RSA non dovrebbe discostarsi molto da quanto descritto.
Ma qual è quindi questo ruolo? Come possiamo descrivere la figura dell’educatore?
Tramma (2020) ci ricorda che la figura professionale dell’educatore è liquida, incerta, costantemente in via di definizione; questo perché deve sapersi adattare ai cambiamenti della società. Ogni epoca, infatti, vive le proprie crisi e chi lavora nell’ambito educativo deve essere in grado di fornire risposte concrete al disagio personale e sociale del contesto storico e culturale nel quale vive: talvolta fornendo scivoli, talvolta facendo attrito (Mariani, 2012).
Tuttavia, partendo da alcuni tratti essenziali che hanno sempre caratterizzato la figura dell’educatore è possibile definire come suo compito generale dover individuare, promuovere e sviluppare le potenzialità (cognitive, affettive e relazionali) dei soggetti in educazione. Come? Attraverso il suo principale strumento, ovvero la relazione. Rapportando questa definizione all’interno del contesto socioassistenziale si può quindi dire che l’educatore che opera in RSA ha un duplice compito: facilitare le relazioni e valorizzare l’anziano.
L’educatore come facilitatore di relazioni
Uno dei ruoli che deve assumere l’educatore in RSA è quello di mediatore. L’educatore, infatti, deve porsi come un ponte tra l’anziano e i diversi attori che lo circondano: gli altri residenti della struttura, i caregiver, il territorio e gli altri professionisti. In che modo?
Mediante la programmazione delle attività, ad esempio, favorisce le relazioni tra gli anziani che vivono all’interno della stessa struttura. Attivando progetti con altri enti, associazioni e istituzioni del territorio crea nuove reti per l’anziano. Supportando, educando e guidando il caregiver nel mondo delle demenze e dei cambiamenti che investono la terza età supporta la relazione tra l’anziano e chi se ne prende cura, favorisce l’inserimento dell’anziano in struttura e segue il soggetto e la sua famiglia in tutto il percorso in struttura.
Infine, rapportandosi con il resto dell’équipe ha modo di riportare i bisogni (espressi e inespressi) dell’anziano agli altri professionisti con cui collabora.
L’educatore come valorizzatore
Il secondo ruolo che ricopre l’educatore in RSA riguarda la capacità di valorizzare le potenzialità e le capacità che l’anziano possiede.
Allontanandosi da una visione stereotipata dell’anziano inutile e privo di ogni capacità, l’educatore deve saper cogliere le potenzialità e le capacità che la persona può ancora sfruttare, al fine di restituirle una quotidianità colma di senso.
Chi ha seguito i miei corsi sa che mi piace usare l’espressione “dare senso al tempo in RSA”. Un tempo che, altrimenti, rischia di essere percepito come vuoto, deserto e privo di significato. Onde evitare fraintendimenti, ci tengo a specificare che questo non significa riempire le giornate con attività più o meno divertenti o chiassose, e nemmeno bisogna aspettarsi che l’educatore sappia tirar fuori da un cilindro attività di ogni tipo.
Dare senso al tempo in RSA, significa per l’educatore saper individuare bisogni e risorse al fine di progettare attività che siano significative per la persona, o il gruppo, che vogliamo coinvolgere. Devono essere attività scelte con intenzionalità e finalizzate a raggiungere degli obiettivi specifici per la persona in educazione.
L’educatore professionale, una volta figura residuale all’interno dei servizi per anziani, oggi riveste un ruolo sempre più centrale che accompagna l’anziano, e la sua famiglia, in ogni sua fase: dall’inserimento in struttura fino all’accompagnamento alla morte, cercando di fornire risposte ai vari bisogni che possono emergere durante la permanenza in struttura (Ceron et al., 2013).
Bibliografia
Ceron, D., Scarpa, P. N., & Vitillo, M. (2013). L’educatore professionale nel lavoro di cura con gli anziani. 9,10,11.
Iori, V. (2018). Educatori e pedagogisti. Senso dell’agire educativo e riconoscimento professionale. Erickson.
Mariani, A. M. (2012). Dal punto di vista dell’educazione. Società editrice internazionale.
Milani, P. (2009). Bambini e ragazzi in comunità: dimensioni dell’educare e formazione degli educatori (pp. 147–185).
Tramma, S. (2018). L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo. Carocci.
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Il ruolo dell’educatore in RSA
Descrivere il ruolo dell’educatore in RSA non è semplice, trattandosi di un contesto socioassistenziale dove sembrano prevalere gli interventi assistenziali e sanitari. D’altra parte non è semplice descrivere questo ruolo in generale, all’interno di qualunque servizio.
É risaputo, infatti, che spesso la figura dell’educatore viene paragonata ad un tuttofare. Il motivo? Semplice: l’educatore lavora sul quotidiano e agli occhi dei meno esperti potrebbe sembrare semplicemente colui che cucina i pasti, intrattiene gli anziani della struttura, talvolta lava gli ambienti di una comunità, a volte accompagna ragazzi a scuola. Un tuttofare, insomma.
Quello che i meno esperti non sanno, è che quelli che possono apparire come semplici gesti della quotidianità sono azioni utilizzate dall’educatore in maniera intenzionale al fine di contribuire allo sviluppo della persona in educazione (Milani, 2009). Questo uso intenzionale è proprio ciò che distingue la competenza professionale dall’agire comune.
«Quello dell’educatore è un lavoro dai ritmi lenti, si gioca sul lungo periodo ed è fatto di cose apparentemente ordinarie […] ci sono, certo, anche attività più strutturate e specifiche […], ma perlopiù l’attività educativa passa attraverso gesti semplici, abituali, quasi ovvi. Con la differenza che essi vengono investiti di un significato particolare che li rende importanti, ancorché normali.»
D. Bruzzone in V. Iori (a cura di), 2012 p. 98
Ecco, quindi, che chi non conosce a fondo questa figura rischia di scambiarla per qualcuno che ha un ruolo non ben definito, facilmente interscambiabile e che possa fare un po’ di tutto in base alle necessità, ma chi vive di questo lavoro sa che non è così, o per lo meno dovrebbe averne consapevolezza.
Avere chiaro il proprio ruolo è fondamentale per capire come inserirsi all’interno dell’équipe e dell’organizzazione stessa, quali competenze possedere, o eventualmente allenare, e come realizzare il proprio intervento. Proprio per questo, quando formo colleghi interessati a lavorare in RSA parto proprio definendo il ruolo dell’educatore all’interno di questo servizio.
Come possiamo descriverlo?
Ma facciamo un passo indietro, è possibile stabilire in maniera univoca il ruolo di un professionista, oppure ogni organizzazione è libera di dare sfumature diverse all’identità dell’educatore?
Sebbene ogni territorio possa presentare contesti leggermente differenti, il ruolo che ricopre l’educatore professionale all’interno di una RSA è pressoché sempre lo stesso. Si tratta, infatti, di una figura che redige, progetta e verifica interventi educativi (attività o progetti) volti a valorizzare le capacità della persona che vive in struttura, partendo da un’analisi dei bisogni e individuando le risorse disponibili.
Inoltre, considerando che la figura dell’educatore professionale (sociosanitario o socio-pedagogico che sia) è normata a livello nazionale, le mansioni che spettano a questa figura non dovrebbero mai uscire dal proprio campo d’intervento. Certo, è possibile che, in base al tipo di organizzazione, questa figura venga affiancata da altri professionisti come il terapista occupazionale o lo psicologo, e che quindi debba integrare il proprio intervento a quello dei colleghi, ma in ogni caso il ruolo dell’educatore in RSA non dovrebbe discostarsi molto da quanto descritto.
Ma qual è quindi questo ruolo? Come possiamo descrivere la figura dell’educatore?
Tramma (2020) ci ricorda che la figura professionale dell’educatore è liquida, incerta, costantemente in via di definizione; questo perché deve sapersi adattare ai cambiamenti della società. Ogni epoca, infatti, vive le proprie crisi e chi lavora nell’ambito educativo deve essere in grado di fornire risposte concrete al disagio personale e sociale del contesto storico e culturale nel quale vive: talvolta fornendo scivoli, talvolta facendo attrito (Mariani, 2012).
Tuttavia, partendo da alcuni tratti essenziali che hanno sempre caratterizzato la figura dell’educatore è possibile definire come suo compito generale dover individuare, promuovere e sviluppare le potenzialità (cognitive, affettive e relazionali) dei soggetti in educazione. Come? Attraverso il suo principale strumento, ovvero la relazione. Rapportando questa definizione all’interno del contesto socioassistenziale si può quindi dire che l’educatore che opera in RSA ha un duplice compito: facilitare le relazioni e valorizzare l’anziano.
L’educatore come facilitatore di relazioni
Uno dei ruoli che deve assumere l’educatore in RSA è quello di mediatore. L’educatore, infatti, deve porsi come un ponte tra l’anziano e i diversi attori che lo circondano: gli altri residenti della struttura, i caregiver, il territorio e gli altri professionisti. In che modo?
Mediante la programmazione delle attività, ad esempio, favorisce le relazioni tra gli anziani che vivono all’interno della stessa struttura. Attivando progetti con altri enti, associazioni e istituzioni del territorio crea nuove reti per l’anziano. Supportando, educando e guidando il caregiver nel mondo delle demenze e dei cambiamenti che investono la terza età supporta la relazione tra l’anziano e chi se ne prende cura, favorisce l’inserimento dell’anziano in struttura e segue il soggetto e la sua famiglia in tutto il percorso in struttura.
Infine, rapportandosi con il resto dell’équipe ha modo di riportare i bisogni (espressi e inespressi) dell’anziano agli altri professionisti con cui collabora.
L’educatore come valorizzatore
Il secondo ruolo che ricopre l’educatore in RSA riguarda la capacità di valorizzare le potenzialità e le capacità che l’anziano possiede.
Allontanandosi da una visione stereotipata dell’anziano inutile e privo di ogni capacità, l’educatore deve saper cogliere le potenzialità e le capacità che la persona può ancora sfruttare, al fine di restituirle una quotidianità colma di senso.
Chi ha seguito i miei corsi sa che mi piace usare l’espressione “dare senso al tempo in RSA”. Un tempo che, altrimenti, rischia di essere percepito come vuoto, deserto e privo di significato. Onde evitare fraintendimenti, ci tengo a specificare che questo non significa riempire le giornate con attività più o meno divertenti o chiassose, e nemmeno bisogna aspettarsi che l’educatore sappia tirar fuori da un cilindro attività di ogni tipo.
Dare senso al tempo in RSA, significa per l’educatore saper individuare bisogni e risorse al fine di progettare attività che siano significative per la persona, o il gruppo, che vogliamo coinvolgere. Devono essere attività scelte con intenzionalità e finalizzate a raggiungere degli obiettivi specifici per la persona in educazione.
L’educatore professionale, una volta figura residuale all’interno dei servizi per anziani, oggi riveste un ruolo sempre più centrale che accompagna l’anziano, e la sua famiglia, in ogni sua fase: dall’inserimento in struttura fino all’accompagnamento alla morte, cercando di fornire risposte ai vari bisogni che possono emergere durante la permanenza in struttura (Ceron et al., 2013).
Bibliografia
Ceron, D., Scarpa, P. N., & Vitillo, M. (2013). L’educatore professionale nel lavoro di cura con gli anziani. 9,10,11.
Iori, V. (2018). Educatori e pedagogisti. Senso dell’agire educativo e riconoscimento professionale. Erickson.
Mariani, A. M. (2012). Dal punto di vista dell’educazione. Società editrice internazionale.
Milani, P. (2009). Bambini e ragazzi in comunità: dimensioni dell’educare e formazione degli educatori (pp. 147–185).
Tramma, S. (2018). L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo. Carocci.