Riflessioni per un’opportuna formazione sul fine vita: lutto anticipatorio, fattori protettivi e forme di accompagnamento possibili
“Non è facile vivere ogni istante completamente consapevoli di dover morire. E’ come cercare di fissare direttamente il sole: si riesce a sopportarlo solo per poco” (Yalom, 2008).
Noi professionisti di cura, mai come in questo periodo, ci immergiamo in situazioni “al limite”, fatte di anziani che se ne vanno, famiglie che devono dire addio e un’equipe che dietro cerca di chiudere il cerchio. Come ben ci ricorda Yalom, non possiamo affrontare in ogni momento la morte ed il morire senza fermarci, senza chiudere gli occhi, a volte chiedendoci quanto ci sentiamo davvero preparati.
Fare formazione sul fine vita implica fissare il sole e chiedersi se gli occhiali che abbiamo per proteggerci sono adeguati: vuole dire mettersi in gioco come professionisti e come persone, consapevoli che di morte e morire possiamo e, anzi, dobbiamo parlare. Non esistono “tabù”, né certezze. Abbiamo tutti necessità di non sentirci soli, condividendo sensazioni, dimensioni critiche, speranze.
I temi chiave di una formazione sul fine vita
Vengono illustrati a tutti quelli che saranno i temi chiave per addentrarci in una formazione sul fine vita: narrazioni attorno al morire, lutto, dignità e accompagnamento. Sono parole chiave che ci porteremo come bagaglio per tutto il nostro percorso.
Quante narrazioni raccogliamo dai nostri anziani, ogni giorno, nei contesti di cura dove prestiamo assistenza. Sono narrazioni da raccogliere, da cui partire per comprendere: narrazioni di paura, non solo di morte (“come e con chi morirò?”) ma anche dello spettro della solitudine, dell’abbandono, della mancanza di scelta; narrazioni di impotenza, ma anche di naturalezza (“in fondo dobbiamo tutti morire no?”). Spesso ci troviamo di fronte a narrazioni che vanno oltre le parole: sogni, allucinazioni, visioni, immagini…
Spesso lavorare con la morte e il morire ci richiede di “andare al di là, oltre”, chiedendo a ognuno di noi di trovare la propria immagine, la propria metafora rappresentativa. La mia metafora è quella dell’essere in bilico, su di un ponte: tra il rimanere indietro e l’andare avanti, tra il tenere ed il lasciar andare, così come sento di descrivere il lavoro del lutto e di coloro che accompagnano. Cosa mi aspetta dall’altra parte? Se dovessi cadere sarei pronto?
Dopo aver condiviso le proprie metafore, in un circolo di idee e connessione, ci poniamo due domande: “Quali narrazioni utilizziamo nel nostro lavoro? Quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione?”.
Ci addentriamo, pieni di interrogativi ma anche di curiosità, nel percorso di consapevolezza e di ricerca, con la necessità di “toccare con mano” le parole, le emozioni, le esperienze reali di chi vive il morire.
Non solo “casi”, ma vere e proprie storie nelle quali immergerci: storie di malattia, morte, lutto, ma anche amore, resilienza… possibilità!
La storia di Piera e Roberto
La signora Piera ha 86 anni, da alcuni anni è ormai residente della struttura, struttura che da circa un anno ospita anche il marito, il signor Roberto, 90 anni e con una demenza in fase ormai avanzata.
Piera aveva alcuni momenti giornalieri in cui poteva rimanere con il marito, far lui visita, spesso assieme alla figlia che, due o tre giorni a settimana, era solita salutarli e prendere un caffè insieme.
A seguito dell’emergenza covid, la possibilità di visite, anche all’interno dei vari reparti, si è diradata, con mesi di progressiva e lenta riapertura. In questi mesi Roberto ha perso sempre più capacità di interagire verso l’esterno, fino a perdere quasi completamente la capacità di esprimersi.
Piera, che era una donna socievole e dinamica, ha cominciato a perdere la sua proverbiale energia. Le volte in cui si avvicina a Roberto non ha più quel sorriso, quella voglia di scherzare, in momenti spesso di silenzio e di distanza (anche fisica).
Quando qualcuno le chiede di Roberto, le uniche cose che riesce a esprimere sono di estrema delusione: “perchè è accaduto tutto questo? Chi ha permesso che mio marito diventasse un vegetale…? Certe volte mi chiedo se questa è vita…”.
Il lutto anticipatorio e i fattori protettivi nel fine vita
Ci chiediamo se, e come, il lutto venga vissuto. Ci troviamo di fronte ad un lutto anticipatorio, contrassegnato da “perdite dentro le perdite”, fatto di manifestazioni non solo emotive ma anche fisiche, sociali, relazionali, comportamentali, spirituali. Ci colpisce molto la perdita di scopo, il vissuto di insensatezza, la perdita delle ritualità, degli spazi e dei momenti nei quali Piera “poteva ancora parlare all’anima di Roberto, trovando pace”, come quelli del rosario adesso impossibilitati.
Come ci ricorda Goffman (1967), i rituali diventano veri e propri fattori protettivi nelle situazioni di fine vita: possibilità di esprimere sentimenti e pensieri attraverso simbologie comunitarie, permettendo la chiusura di processi in atto.
Questa è solo una delle tante storie che oggi possiamo condividere… quanta ricchezza, quante voci dietro questi racconti!
Rituali, lutto, narrazioni… dare tempo e spazio per favorire la narrazione nel lutto diventa un vero e proprio strumento di accompagnamento, ed altrettanto uno strumento formativo: il gruppo di formazione veicola storie, parole, immagini, come in un meccanismo di circolarità riflessiva che ci permette di diventare un po’ più consapevoli. Siamo consapevoli del potere delle nostre azioni ma ancor prima delle nostre parole, consapevoli delle risorse, degli spazi e dei tempi che siamo capaci di creare.
Le forme di accompagnamento possibili
Come possiamo accompagnare l’anziano nel percorso di terminalità, come sostenere la famiglia ma anche noi stessi e il sistema di cura? In questo percorso formativo focalizziamo l’attenzione su due diverse modalità di accompagnamento, una individuale (un esempio di terapia della dignità applicata ad un’anziana in fase finale di vita), l’altra di gruppo (uno stralcio di intervento di mutuo aiuto con anziani a seguito di una perdita recente). Si raccolgono spunti di riflessione, criticità, suggerimenti e implicazioni per la propria esperienza professionale, cercando di portar a casa strumenti in più da poter aggiungere alla propria cassetta degli attrezzi ma anche dimensioni, letture, tematiche da approfondire.
“Lavorare con la morte e il morire ci impone un’evoluzione continua, sempre con la consapevolezza di dover trovare un significato all’agire e al nostro sentire.“La sfida della malattia e della morte è assunta non solo come limite ma anche come opportunità per ridisegnare un significato delle mappe simboliche e relazionali che mantengono unite le persone, che danno senso al vivere”.
Tratto dal libro: Non sono più io. Come fronteggiare l’interminabile lutto della demenza (Editrice Dapero 2020).
Di seguito si possono consultare le slide della formazione sul fine vita (21 novembre 2020)
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi approfondire questi temi, puoi leggere anche l’articolo Il lutto oltre il covid-19 di Elisa Mencacci.
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Riflessioni per un’opportuna formazione sul fine vita: lutto anticipatorio, fattori protettivi e forme di accompagnamento possibili
“Non è facile vivere ogni istante completamente consapevoli di dover morire. E’ come cercare di fissare direttamente il sole: si riesce a sopportarlo solo per poco” (Yalom, 2008).
Noi professionisti di cura, mai come in questo periodo, ci immergiamo in situazioni “al limite”, fatte di anziani che se ne vanno, famiglie che devono dire addio e un’equipe che dietro cerca di chiudere il cerchio. Come ben ci ricorda Yalom, non possiamo affrontare in ogni momento la morte ed il morire senza fermarci, senza chiudere gli occhi, a volte chiedendoci quanto ci sentiamo davvero preparati.
Fare formazione sul fine vita implica fissare il sole e chiedersi se gli occhiali che abbiamo per proteggerci sono adeguati: vuole dire mettersi in gioco come professionisti e come persone, consapevoli che di morte e morire possiamo e, anzi, dobbiamo parlare. Non esistono “tabù”, né certezze. Abbiamo tutti necessità di non sentirci soli, condividendo sensazioni, dimensioni critiche, speranze.
I temi chiave di una formazione sul fine vita
Vengono illustrati a tutti quelli che saranno i temi chiave per addentrarci in una formazione sul fine vita: narrazioni attorno al morire, lutto, dignità e accompagnamento. Sono parole chiave che ci porteremo come bagaglio per tutto il nostro percorso.
Quante narrazioni raccogliamo dai nostri anziani, ogni giorno, nei contesti di cura dove prestiamo assistenza. Sono narrazioni da raccogliere, da cui partire per comprendere: narrazioni di paura, non solo di morte (“come e con chi morirò?”) ma anche dello spettro della solitudine, dell’abbandono, della mancanza di scelta; narrazioni di impotenza, ma anche di naturalezza (“in fondo dobbiamo tutti morire no?”). Spesso ci troviamo di fronte a narrazioni che vanno oltre le parole: sogni, allucinazioni, visioni, immagini…
Spesso lavorare con la morte e il morire ci richiede di “andare al di là, oltre”, chiedendo a ognuno di noi di trovare la propria immagine, la propria metafora rappresentativa. La mia metafora è quella dell’essere in bilico, su di un ponte: tra il rimanere indietro e l’andare avanti, tra il tenere ed il lasciar andare, così come sento di descrivere il lavoro del lutto e di coloro che accompagnano. Cosa mi aspetta dall’altra parte? Se dovessi cadere sarei pronto?
Dopo aver condiviso le proprie metafore, in un circolo di idee e connessione, ci poniamo due domande: “Quali narrazioni utilizziamo nel nostro lavoro? Quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione?”.
Ci addentriamo, pieni di interrogativi ma anche di curiosità, nel percorso di consapevolezza e di ricerca, con la necessità di “toccare con mano” le parole, le emozioni, le esperienze reali di chi vive il morire.
Non solo “casi”, ma vere e proprie storie nelle quali immergerci: storie di malattia, morte, lutto, ma anche amore, resilienza… possibilità!
La storia di Piera e Roberto
La signora Piera ha 86 anni, da alcuni anni è ormai residente della struttura, struttura che da circa un anno ospita anche il marito, il signor Roberto, 90 anni e con una demenza in fase ormai avanzata.
Piera aveva alcuni momenti giornalieri in cui poteva rimanere con il marito, far lui visita, spesso assieme alla figlia che, due o tre giorni a settimana, era solita salutarli e prendere un caffè insieme.
A seguito dell’emergenza covid, la possibilità di visite, anche all’interno dei vari reparti, si è diradata, con mesi di progressiva e lenta riapertura. In questi mesi Roberto ha perso sempre più capacità di interagire verso l’esterno, fino a perdere quasi completamente la capacità di esprimersi.
Piera, che era una donna socievole e dinamica, ha cominciato a perdere la sua proverbiale energia. Le volte in cui si avvicina a Roberto non ha più quel sorriso, quella voglia di scherzare, in momenti spesso di silenzio e di distanza (anche fisica).
Quando qualcuno le chiede di Roberto, le uniche cose che riesce a esprimere sono di estrema delusione: “perchè è accaduto tutto questo? Chi ha permesso che mio marito diventasse un vegetale…? Certe volte mi chiedo se questa è vita…”.
Il lutto anticipatorio e i fattori protettivi nel fine vita
Ci chiediamo se, e come, il lutto venga vissuto. Ci troviamo di fronte ad un lutto anticipatorio, contrassegnato da “perdite dentro le perdite”, fatto di manifestazioni non solo emotive ma anche fisiche, sociali, relazionali, comportamentali, spirituali. Ci colpisce molto la perdita di scopo, il vissuto di insensatezza, la perdita delle ritualità, degli spazi e dei momenti nei quali Piera “poteva ancora parlare all’anima di Roberto, trovando pace”, come quelli del rosario adesso impossibilitati.
Come ci ricorda Goffman (1967), i rituali diventano veri e propri fattori protettivi nelle situazioni di fine vita: possibilità di esprimere sentimenti e pensieri attraverso simbologie comunitarie, permettendo la chiusura di processi in atto.
Questa è solo una delle tante storie che oggi possiamo condividere… quanta ricchezza, quante voci dietro questi racconti!
Rituali, lutto, narrazioni… dare tempo e spazio per favorire la narrazione nel lutto diventa un vero e proprio strumento di accompagnamento, ed altrettanto uno strumento formativo: il gruppo di formazione veicola storie, parole, immagini, come in un meccanismo di circolarità riflessiva che ci permette di diventare un po’ più consapevoli. Siamo consapevoli del potere delle nostre azioni ma ancor prima delle nostre parole, consapevoli delle risorse, degli spazi e dei tempi che siamo capaci di creare.
Le forme di accompagnamento possibili
Come possiamo accompagnare l’anziano nel percorso di terminalità, come sostenere la famiglia ma anche noi stessi e il sistema di cura? In questo percorso formativo focalizziamo l’attenzione su due diverse modalità di accompagnamento, una individuale (un esempio di terapia della dignità applicata ad un’anziana in fase finale di vita), l’altra di gruppo (uno stralcio di intervento di mutuo aiuto con anziani a seguito di una perdita recente). Si raccolgono spunti di riflessione, criticità, suggerimenti e implicazioni per la propria esperienza professionale, cercando di portar a casa strumenti in più da poter aggiungere alla propria cassetta degli attrezzi ma anche dimensioni, letture, tematiche da approfondire.
“Lavorare con la morte e il morire ci impone un’evoluzione continua, sempre con la consapevolezza di dover trovare un significato all’agire e al nostro sentire.“La sfida della malattia e della morte è assunta non solo come limite ma anche come opportunità per ridisegnare un significato delle mappe simboliche e relazionali che mantengono unite le persone, che danno senso al vivere”.
Tratto dal libro: Non sono più io. Come fronteggiare l’interminabile lutto della demenza (Editrice Dapero 2020).
Di seguito si possono consultare le slide della formazione sul fine vita (21 novembre 2020)
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi approfondire questi temi, puoi leggere anche l’articolo Il lutto oltre il covid-19 di Elisa Mencacci.