Un racconto di Luca Lodi
Cerco il mazzo delle chiavi. Come al solito i parcheggi davanti all’ingresso della casa di riposo sono tutti occupati. Un centinaio di metri e il posteggio sul retro offre ancora una comoda alternativa. La chiave, contornata di verde, avendo capito che è il suo turno, si offre docile. Entro e mi sembra di aver scordato qualcosa. Nel percorso tra il cancello e l’ingresso rammento cosa manca: la mascherina.
Prima non sapevo nemmeno come si indossava, ma ora dopo pochi giorni è diventata la mia fedele compagna. Se le prime volte suscitava una certa ilarità, ora è una necessità. Più per tutelare le persone che incontrerò che per salvaguardare la mia salute. E per loro, lo si fa volentieri… nonostante il respiro diventi pesante e la voce venga smorzata.
CORONA VIRUS-COVID-19-IL VIRUS-QUELLA COSA CHE TI FA AMMALARE-O PEGGIO MORIRE-CONTAGIO
Eccolo è lui! Il solo responsabile del cambiamento. Colui che ci ha costretti a una nuova modalità di vivere le relazioni, di essere presenza. Essere educatore in RSA è già una sfida di per sé. Poco tempo, tante persone anziane, tante storie e tantissimi bisogni imposti da uno stato psico-fisico il più delle volte alterato. Ora a tutto questo si somma il temibile virus.
Se ha limitato la nostra vita normale, figuratevi cosa significa essere una persona anziana che in un contesto comunitario denso di relazioni, non può più vedere i propri familiari. Le persone che guarda sono trasformate nell’aspetto (tutte con mascherina) e, se è affetta da demenza, non ha nemmeno la possibilità di comprendere appieno le motivazioni di tutto questo repentino cambio. Naturalmente della realtà appena descritta si conosce poco, a meno che tu non sia un operatore, un familiare o una persona anziana di una generica RSA.
Ecco perché raccontare quello che accade in questo mondo che già normalmente gira in modo più lento rispetto a quello che c’è fuori. Ora con il CORONA VIRUS questa ruota che gira lenta ha preso una gran botta e pur muovendosi, si vede una grande ammaccatura che la fa procedere in modo sbilenco.
In mano è sparita la chiave ma è comparso un anemico badge. Entra nella fessura con precisione e velocità. Un bip conferma l’avvenuta convalida. Tornando sui miei passi incontro T. che legge il quotidiano. Mi saluta con naturalezza nonostante la mia celata identità. Si è già abituato alla strana mutazione avvenuta in noi operatori. So già che mi chiederà precise notizie. Partendo dal programma della giornata, arriverà a domandare quanto si dice là fuori. Di bassa statura, viso squadrato, occhiali e una gran voglia di fare. È l’unica persona che riesce a far salire dalle quattro alle cinque persone in ascensore. Nulla di speciale mi direte voi… ma se tre di esse sono in carrozzina allora sì che si comprende la maestria e la cura che mette nel trovare i giusti spazi. In questi giorni è preoccupato per il suo regno: l’ascensore.
«Sa è un posto piccolo… e se non lo puliscono bene…». Da buon educatore, oltre che a rassicurarlo, intercetto le ragazze addette alle pulizie. Spiego loro la situazione chiedendo il piacere di rassicurare T. L’ascensore splende già di suo a dispetto dell’incertezza di T. Questa richiesta non è un dettaglio da poco… Non vuole ammalarsi e questo è fonte di una paura più che giustificata. Lui sa cosa sta accadendo fuori e vuole essere rassicurato. Si è ritagliato un compito di prestigio nell’aiutare le persone anziane a spostarsi tra un ambiente e l’altro, ma questo ruolo è facilmente cedibile se sull’altro piatto si mette la sua salute. E dagli torto! Durante tutto il tentativo di mediare tra la sua paura e la ragionevolezza ho ancora indosso la giacca e in mano il timbrino e, oltretutto, non sono ancora entrato in ufficio. Ma, si sa, noi educatori siamo loro ancor prima di varcare i confini della RSA e forse è persino questo il bello della nostra professione.
In fondo l’ascensore non è altro che il paradigma di quanto stiamo vivendo. Siamo tutti a bordo ma nessuno ha visto chi ha schiacciato il pulsante. Pigiati e titubanti aspettiamo, ognuno con le sue ragionevoli paure, che le porte si aprano. Solo allora possiamo uscire, capendo dove siamo arrivati. Qui con tutti gli altri sarei più tranquillo se fosse stato T. a pigiare il pulsante, ma ora anche lui ha paura…
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