Com’è stato affrontato il COVID 19? Possibile un approccio migliore?

Intervista al Prof. Sandro Spinsanti (sintesi)

Docente di Etica Medica nella facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Bioetica nell’Università di Firenze. Fondatore e Direttore dell’Istituto Giano per le Medical Humanities e il Management in sanità.

L’epidemia del Corona Virus ha colpito all’improvviso e ciò può giustificare la scarsa preparazione della nostra organizzazione, ma il complesso degli accadimenti alimenta un dubbio: che l’imprevedibilità sia stata una copertura delle deficienze del nostro sistema sanitario. 

D – Professore il cittadino italiano aveva, sul piano etico, il diritto di trovare un’adeguata preparazione nelle strutture e nell’organizzazione territoriale della sanità?

R – ….ma considerare l’emergenza solo come il momento eccezionale, che richiede risposte pronte e audaci – emergenziali, appunto – significa non sfruttare a pieno le sue potenzialità. In senso etimologico, l’emergenza comporta un “emergere”, ovvero un affiorare di ciò che era nascosto. Sotto il pelo dell’acqua, diremmo. Così intesa l’emergenza permette di vedere ciò che nella condizione di normalità era presente, ma non in vista. Per cui, finita l’emergenza, l’auspicio non è di tornare allo stato precedente, ma fare dei cambiamenti strutturali profondi. Il ritorno alla normalità è legato a una trasformazione.

Sono emerse carenze di personale sanitario, di posti in terapia intensiva, di strumenti per proteggersi dal contagio per gli operatori, di programmi per contenere la situazione emergenziale. Mancanza di preparazione? Diciamo piuttosto di “preparedness”. È questo il termine tecnico inglese con cui si designa la capacità di affrontare eventi imprevisti; comprende la pianificazione, la predisposizione di risorse e competenze, la capacità di intervenire. Significa predisporsi ad affrontare situazioni catastrofiche mediante un’attenta pianificazione, identificando le eventuali lacune.

 Se dal punto di vista personale possiamo capire che qualcuno preferisca assumere un atteggiamento scaramantico (del tipo: “Io speriamo che me la cavo” …) e affidarsi alla fortuna; non accettiamo invece un comportamento di questo genere da parte del Servizio sanitario pubblico. La predisposizione di risorse e piani operativi per eventi catastrofici fa parte integrante della sua agenda. I cittadini hanno diritto di esigerlo.

D – La scarsità di attrezzature, per esempio, ha dato origine alla necessità di trasferire alcuni malati in ospedali lontani anche in altre nazioni. La situazione, nella sua drammaticità a spinto a scelte difficili, anche a “discriminazioni” per età sfavorendo necessariamente i malati più anziani. Cosa si può dire in merito?

R – La caratteristica dell’emergenza è proprio di richiedere scelte rapide. Se poi avvengono in un contesto di risorse insufficienti per rispondere a tutti i bisogni, le scelte diventano “decisioni”, nel senso suggerito dall’etimologia della parola, che rimanda al latino “caedo”, cioè taglio. Come, appunto, decidere chi avviare in terapia intensiva se si hanno due pazienti che ne necessitano e un solo posto. 

Ha fatto sensazione il documento della società scientifica SIAARTI degli anestesisti e rianimatori, in cui hanno esplicitato le raccomandazioni etiche per l’ammissione di pazienti contagiati a trattamenti intensivi e per la loro sospensione; “in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”, hanno specificato. Una lettura superficiale e tendenziosa ha voluto vedere in questo documento, in particolare nell’indicazione di “privilegiare la maggiore speranza di vita”, il suggerimento di escludere dalla terapia intensiva i pazienti più vecchi, a favore delle persone più giovani. 

Il documento ci ha presentato un gruppo di medici, particolarmente esposto a decisioni tragiche, che mette, nero su bianco, i criteri con cui opera le scelte cliniche. In situazione di emergenza, certo; ma a ben vedere questo scenario non prende forma solo in tempo di pandemia. La scarsità delle risorse rispetto alle richieste di cure è endemica. E lo sarà sempre di più, nella misura in cui la più lunga speranza di vita e il prevalere delle multimorbidità in condizioni di malattie croniche farà aumentare esponenzialmente il bisogno di cura.

Ebbene, in condizione sia di emergenza che di normalità, abbiamo bisogno di conoscere i criteri con cui i sanitari prendono le loro decisioni. Abbiamo il diritto – e il dovere – di essere informati e di essere parte attiva nelle decisioni che ci riguardano

Per questo auspichiamo che il documento della SIAARTI sia la prima di numerose prese di posizione in ambito clinico, con cui i sanitari rendono trasparenti le regole clinico-etiche che sopraintendono all’erogazione delle cure, esplicitando quello che i medici sono orientati a fare e ciò che decidono sia più ragionevole omettere. 

D – Non si può dimenticare la decisione di trasportare persone appena dimesse in strutture inadeguate. Il caso delle RSA è singolare e terribile: non si poteva immaginare che una scelta di quel tipo avrebbe portato a un disastro? Quali altre possibilità aveva l’organizzazione sanitaria?

R – L’utilizzo inappropriato delle RSA, dove sono state fatte confluire persone ancora infette, provocando in modo irresponsabile l’ecatombe dei residenti, è uno degli aspetti più problematici della gestione della pandemia. A posteriori si è dimostrata una decisione catastrofica. 

Ma, ancora una volta, cerchiamo di appuntare la nostra attenzione su ciò che la situazione ha fatto emergere. Si tratta soprattutto di un’organizzazione delle cure concentrata negli ospedali e di una pratica irrilevanza delle cure territoriali e domiciliari. I malati possono essere assistiti a casa solo se si dispongono servizi appropriati. E la rete dei medici di medicina generale è dotata di personale, con particolare attenzione agli infermieri che si recano a domicilio, di ambulatori, di risorse. È proprio questa l’organizzazione che la pandemia ha rilevato essere in braghe di tela.

È soprattutto in questo contesto che diciamo: fine dell’emergenza e ritorno alla normalità?!

No: perché è proprio la normalità che è malata! Non è che nell’emergenza le cose sono andate storte: erano già storte nella normalità, anche se non eravamo consapevoli quanto questa fosse sbagliata.

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