Stai per leggere il testo di una nostra newsletter mensile, a cura di Giulia Dapero.

L’ultimo venerdì di ogni mese diffondiamo una riflessione filosofica sulla CURA, lanciamo sondaggi e indagini qualitative su tematiche importanti per il lavoro in RSA, informiamo sulle iniziative culturali di settore in programma per i mesi successivi.

Marzo è stato un mese emotivamente intenso per me, e non solo per l’esperienza del MeetingPC.

(A proposito: GRAZIE a ogni persona presente, l’atmosfera quest’anno è stata magica… presto pubblicheremo tutte le foto fatte dalla “nostra” Marika sulla pagina dell’evento)

Meeting delle Professioni di CURA 2024

Marzo è però anche il mese in cui si ricordano le vittime del Covid, ed è il mese in cui è morto mio padre, sempre per Covid.

Tenere traccia e memoria, dentro di noi, di ciò che è accaduto è importante per dare senso alla Cura che vogliamo costruire.

Toccata e fuga ad Auschwitz

E a proposito di memoria, questo mese per me è iniziato con un viaggio sul quale finora ho fatto silenzio.

Il primo di marzo infatti ero in Polonia, in visita ad Auschwitz.

Tra le fotografie esposte e di cui la guida ci raccontava, mi ha colpito quella del momento della “selezione” che tutti conosciamo.

Auschwitz2
Auschwitz1
Auschwitz2
Auschwitz1

Anche se in veste militare, la persona che stabiliva chi andava a destra o a sinistra (al lager per lavorare o alle camere a gas per morire) era di fatto un medico.

Così veniva usata la competenza dei curanti, in un sistema culturale ai nostri occhi distorto.

Così, con il suo “occhio clinico” e un solo dito della mano, il medico giudicava i corpi e la loro prestanza fisica, senza guardare alle persone, alle loro storie e alle loro vite.

Fatti storici così traumatici ci insegnano che nessuna scelta è innocente nel nostro mondo umano: ogni competenza e ogni ruolo che ci cuciamo addosso è sempre figlio di una cornice culturale a cui, in qualche modo, diciamo “sì”.

(O forse di più cornici concentriche: quella della nostra azienda, del nostro territorio, della società civile in cui viviamo…).

E potremmo domandarci: i nostri curanti, oggi, sono felici di dire “sì” alle cornici culturali in cui sono immersi?

Trovano corrispondenza di significato in ciò che fanno ogni giorno?

Come Editrice sento forte la responsabilità di contribuire a creare una cornice più adatta al quadro della Cura.

E a dipingere questo quadro, ci sono gli artisti: i curati, i curanti, le famiglie, le persone.

In una parola: Noi.

Perché come il mito ci insegna, la Cura è un quadro che appartiene a tutti.

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