Stai per leggere il testo di una nostra newsletter mensile, a cura di Giulia Dapero.
L’ultimo venerdì di ogni mese diffondiamo una riflessione filosofica sulla CURA, lanciamo sondaggi e indagini qualitative su tematiche importanti per il lavoro in RSA, informiamo sulle iniziative culturali di settore in programma per i mesi successivi.
Quando la fatica si fa più viva in me, mi aiuta ricordarmi che discendo da una “specie” molto interessante di imprenditori: i Dapero storicamente erano mugnai.
Con un po’ di fantasia, immagino di essere l’ultima socia superstite di un mulino simbolico, che fa la sua parte per trasformare il vento in pane.
Quale vento, quale pane
Raccolgo frequentemente, dalle persone che incontro nelle diverse RSA, il bisogno di sentirsi più riconosciute socialmente, a tutti i livelli professionali.
Come ho scritto e detto più volte, credo però che ci sia un bisogno di settore che viene ancora prima di questo, anche se è più nascosto.
Ed è il bisogno di comprendere profondamente chi siamo.
Ovvero la nostra identità specifica, la nostra ricchezza, il nostro pane appunto
(Piccola parentesi: abbiamo dedicato a questo, recentemente, il nostro impegno in un workshop a Exposanità, così come dedicheremo a questa tematica il numero di CURA in uscita a giugno 2024, per il quale stiamo indagando l’essenza delle professioni di cura a partire dalle storie di vita dei professionisti.
Più in generale, possiamo dire che è finalizzata a questo – e che lo sarà sempre più – tutta l’attività editoriale di CURA in versione online).
La vulnerabilità come cura
Per tornare alla nostra metafora, se c’è un vento che in RSA si incontra più che in molti altri luoghi, penso sia quello della vulnerabilità.
Come scriveva la prof.ssa Francesca Marin nel numero 14 di CURA, la vulnerabilità è la dimensione antropologica sottesa alla cura.
Se non fossimo esseri vulnerabili per definizione, non avremmo bisogno che qualcuno si prendesse l’impegno sociale di essere cura.
So che non sto dicendo nulla di nuovo per chi è dentro al mondo della cura.
Ma forse può suonare meno diffusa l’idea che la vulnerabilità sia la chiave più importante che abbiamo per aprire la porta del riconoscimento sociale.
Il nostro pane
Se la vulnerabilità ci definisce in quanto esseri umani, allora è una necessità di tutta la società imparare a farle spazio, se vogliamo migliorare il nostro modo di vivere sociale.
Il professionista della cura è colui che è capace, più di altri, di fare spazio alla vulnerabilità, sua e dell’altro.
E il professionista della cura che incontra ogni giorno persone più vicine al termine della propria storia, ha l’opportunità di sviluppare ancora di più e meglio questa capacità.
In un mondo dove la vulnerabilità appartiene a tutti, ma l’atteggiamento più diffuso è quello di nasconderla – oppure di scovarla nell’altro e aggredirla per difendere sé stessi – quanto può avere da trasmettere chi invece sa usarla come vento per trasformarla in pane di sviluppo sociale?
Certo, ci sono tanti “mugnai della cura”, che però sono soli o non hanno voce dentro ai propri mulini.
E forse ci sono troppi mulini, oggi, che hanno perso le pale, come il Moulin Rouge.
Coraggio, mugnai.
Tocca a noi ricordarci che il Moulin Rouge è molto più delle sue pale.
Tocca a noi imparare a capire il nostro vento e a raccontare il nostro pane.
Come sempre, prima di salutarti, ti segnalo i prossimi eventi in cui possiamo incontrarci di persona prossimamente:
- 9 maggio, “Le emozioni non hanno età. Sessualità e affettività nella persona anziana in RSA”, presso La Provvidenza di Busto Arsizio (VA)
- 24 maggio, “RSA: nuovi percorsi di vita. Che cosa vorresti da “noi”?, Presso Residenza Richelmy, Torino
Non sono gli unici, tieni d’occhio le nostre pagine social ;)
A presto!
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