La comunicazione con la persona con demenza è possibile, anche in fase avanzata. Ecco quali consigli e tecniche è opportuno conoscere per non rischiare di dare vita a dialoghi infruttuosi e frustranti.

Il dialogo con la persona con demenza è possibile e il primo assioma della comunicazione di Watzlawick, lo conferma: “Non si può non comunicare”. Ma come possiamo promuovere una conversazione con chi sta vivendo un decadimento cognitivo?

A mano a mano che la malattia degenera, il linguaggio della persona con demenza diviene sempre più complicato da comprendere e potremmo trovarci in difficoltà nella comunicazione, e anche in imbarazzo, non sapendo come gestire una conversazione.


Ogni tipo di demenza riporta più o meno deficit nel linguaggio, però ci sono alcune comunanze che si possono presentare in determinate fasi della malattia, quali anomie (incapacità di denominare gli oggetti), parafasìe (incapacità di ricordare il nome di un oggetto e ricorso a giri di parole per farsi capire), utilizzo di parole passepartout e progressivo impoverimento lessicale.

Nelle fasi finali si assisterà a discorsi illogici con un assemblamento quasi casuale di parole, magari mantenendo la corretta struttura grammaticale o, come succede spesso, perdendo anche quella.


La comprensione invece potrebbe risultare conservata fino alle fasi avanzate, purché nella comunicazione si utilizzino frasi molto semplici e di uso quotidiano (ad eccezione della demenza semantica in cui la comprensione è compromessa fin dalle prime fasi).

Perché è importante mantenere il dialogo?

Penso che la risposta a questa domanda la si potrebbe trovare nelle parole di Cary Smith Henderson, con il suo libro testimonianza “Visione parziale- un diario dell’Alzheimer“. Nel suo libro, che racconta la sua malattia e quindi i suoi sentimenti, le sue paure e i suoi pensieri, scrive:

“Parlate con noi! Qualche volta mi sento inutile. Provo un gran senso di vergogna per non essere in grado di far le cose ed essere così ottuso”.

La malattia rende più lento ogni dialogo, perché la persona necessita di un tempo maggiore per pensare alla frase senza che l’interlocutore completi la stessa al posto suo. Lo stesso autore riporta quanto sia limitante questa condizione, poiché le parole si confondono e quando non si trova una parola si prova frustrazione.


Gli “anziani smemorati” (come li definisce Vigorelli nel suo libro “Alzheimer. Come parlare e comunicare nella vita quotidiana nonostante la malattia“) vivono una condizione difficile – ai più incomprensibile a causa della non comunicazione della diagnosi – e percepiscono un cambiamento nel loro cervello che temono, e spesso non esternano, per la vergogna di ritrovarsi soli e non compresi.


Capiscono che sta succedendo in loro qualcosa, ma non sanno definirlo e questo li confonde ulteriormente. Ecco dunque che mantenere una comunicazione attiva con i nostri cari e i nostri utenti è fondamentale, “perché il silenzio non domini nella vita di una persona che ancora conserva spazi di significato per sé e, certamente, anche per gli altri” (Trabucchi in Vigorelli “Alzheimer”).


La comunicazione deve essere legata al dovere della cura, perché se non vi è un rapporto intenso, non può sussistere un valido intervento tecnico. Il dialogo è parte integrante dell’essere umano e deve sempre essere praticato. Nel dolore e nella malattia si necessita di maggior comunicazione, come dimostra la Medicina Narrativa, per arrivare a grandi miglioramenti nella cura.


Mantenere aperto un canale verbale con la persona con demenza – nonostante la comunicazione possa sembrare poco efficiente – significa dimostrare all’interlocutore che è importante e che vale la pena parlarci poiché è una persona che ha “competenza emotiva, competenza a parlare e comunicare, a contrattare e decidere” (Trabucchi in Vigorelli “Alzheimer”).

Prima del dialogo: instaurare il contatto ideale

Mantenere la comunicazione è fondamentale, farlo con serenità e senza frustrazione è altrettanto importante ed è la base da cui partire. Per mantenerla è possibile seguire una serie di consigli.

  1. Creare intimità: la persona con demenza ha un campo visivo più ristretto e con scarsa capacità di mantenere lo sguardo. Si consiglia quindi di scegliere un ambiente ben illuminato non in penombra, di segnalare il nostro arrivo con un canale sensoriale come la voce o il tocco e di porsi di fronte alla persona guardandola negli occhi.
  2. Facilitare la concentrazione: spesso il malato presenta un’ipersensibilità acustica associata ad una scarsa capacità di riconoscere la sorgente dei suoni, in seguito alla quale si trova a non sopportare i suoni continui di sottofondo e quelli improvvisi (senza tralasciare il fatto che i tempi di attenzione sono minori). Al fine di evitargli confusione, ansia o irritazione, è bene scegliere un ambiente tranquillo, privo di viavai, limitare i suoni (musica, vociare di persone, rumori legati ad elettrodomestici in funzione) e utilizzare un tono di voce calmo e non troppo alto. Ricordiamoci anche di non trattarlo come un bambino.
  3. Dedicarsi al dialogo: chi soffre di demenza ha grosse difficoltà nello svolgere contemporaneamente due attività. Mentre stiamo dialogando, fermiamoci da ogni azione che stiamo facendo in quel momento e prestiamogli attenzione: questo eviterà di distrarlo mentre parla e mentre ascolta. Inoltre non chiediamogli di eseguire un compito mentre gli stiamo parlando (ad es. stendere la biancheria, apparecchiare/sparecchiare, fare la lavastoviglie…).
  4. Rispettare i suoi momenti: può succedere che senta il forte bisogno di stare in silenzio, rifiutando di entrare in contatto con chiunque. Rispettiamo i suoi bisogni per non stressarlo e se notiamo in lui agitazione, ansia o rabbia, evitiamo di porgli troppe domande. Una buona opzione è quella di distrarlo facendo un’attività insieme.
  5. Aiutarsi con la comunicazione non verbale: dove le parole non arrivano può farlo il corpo con la comunicazione non verbale. Quest’ultima aiuta a comprendere meglio lo stato d’animo e i sentimenti dell’interlocutore. Sorrisi, gesti, sguardi e contatto fisico (laddove la persona lo consente) aiutano a trasmettere il messaggio. Questo aiuta a ricordarci sempre che dobbiamo essere coerenti con ciò che stiamo dicendo: le nostre parole non devono mai essere in contrasto con il nostro atteggiamento.

La conversazione possibile con la persona con demenza

Quando si entra in relazione con una persona con demenza è facile entrare anche nel suo mondo possibile, costituito da parole messe in fila per creare delle frasi che, per noi professionisti e caregiver, risultano senza senso.


Vigorelli prende in considerazione l’applicazione del “Conversazionalismo” di Giampaolo Lai nella malattia di Alzheimer, come uno strumento riabilitativo focalizzato sulle competenze residue della persona malata. Questa “tecnica” mette al centro la parola dando ai professionisti e caregiver le istruzioni per promuovere una conversazione – e quindi una comunicazione – felice.


Nella pratica, il conversante struttura gli interventi in maniera tale da lasciare maggior spazio di parola al malato, trovando argomenti e modi adatti per iniziare la conversazione e facilitandone così il proseguimento. Grazie a questo metodo, il familiare e il professionista possono comunicare anche quando i disturbi del linguaggio sono gravi senza mai perdere di vista i tre principi fondamentali che possiamo leggere nel libro di Pietro VigorelliAlzheimer. Come parlare e comunicare nella vita quotidiana nonostante la malattia” già citato.

  • “riconoscere l’intenzione a comunicare della persona con demenza, anche se le sue parole sono malate;
  • comunicare utilizzando il linguaggio verbale, paraverbale e non verbale in modo coerente;
  • tenere conto del contesto, sia quello esterno che quello interno (il mondo interiore del paziente)”.

Consigli pratici per favorire la comunicazione

Quando si è di fronte ad una persona con demenza si deve tenere a mente in quale fase della malattia si trova e, conseguentemente, modificare il nostro modo di conversare; è bene scegliere le parole da dire, parlando quindi in modo consapevole secondo alcune tecniche dell’Approccio Capacitante sviluppato dal dott. Vigorelli. Riporto qui le più salienti:

● Non fare domande: tanto più la demenza è grave tanto più la fatica a dare risposte. Di fronte ad un interrogatorio si sentirebbe frustrata, inadeguata e potrebbe reagire con la rabbia o la chiusura relazionale.


● Non correggere: spesso siamo portati a correggere, nella speranza che la persona si ricordi di quell’errore fatto e non lo ripeta più. Purtroppo non funziona così, anzi, peggiora la condizione dell’anziano, che sta già percependo una sua incapacità di comprensione e di comunicazione. Se corretto, sarà portato ancor più a sentirsi insicuro, timoroso e inadeguato, rinunciando così a prendere l’iniziativa.

● Non interrompere: purtroppo siamo abituati a farlo spesso nella vita quotidiana e con chiunque. Se una persona con demenza viene interrotta, è molto probabile che vada in confusione, poiché non ricorda più ciò che voleva dire. A questo punto la conversazione si arresta.

● Restituire il motivo narrativo: è una delle tecniche più usate nell’Approccio Capacitante. L’operatore restituisce all’anziano il concetto della frase che ha appena detto: a volte può essere una parola, altre volte una frase e così facendo la persona si sente riconosciuta e ascoltata e si creano così i presupposti per continuare la comunicazione.

● Rispondere in eco: simile al punto precedente, qui si intende ripetere l’ultima parola, o le ultime parole, della frase detta dall’anziano per fargli capire che lo stiamo ascoltando e che può proseguire con il discorso.

● Riconoscere le emozioni: quando una persona con demenza racconta un fatto accaduto o una sensazione, riconosciamo le emozioni vissute, siano esse positive o negative, nominiamole e legittimiamole. Otterremo risultati positivi.


● Non completare le frasi: la tentazione di completare una frase lasciata in sospeso è molto forte perché si vorrebbe aiutare la persona. Facendo così però le neghiamo il tempo per cercare la parola, limitiamo la sua possibilità di cavarsela da sola e quindi di poter uscire soddisfatta dalla conversazione (oltre al fatto che potremmo suggerire parole non adeguate).

Concludo con un’altra citazione presa dal libro “Visione parziale. Un diario dell’Alzheimer”, perché solo ascoltando la testimonianza di chi vive questa malattia, si può veramente capire cosa si prova:

“Vorrei che i malati come me non continuassero a starsene sempre in disparte, ma dicessero, ‘accidenti, anche noi siamo persone’. E vogliamo che ci rivolgano la parola e ci rispettino, perdio, come essere umani.”


Bibliografia:

  • Vigorelli P., “Alzheimer. Come parlare e comunicare nella vita quotidiana nonostante la malattia”, Franco Angeli, 2018, Milano.
  • Boccardi M., “La riabilitazione nella demenza grave. Manuale pratico per operatori e caregiver”, Erickson, 2007, Trento.
  • Smith Henderson C., “Visione parziale- un diario dell’Alzheimer”
  • http://www.alzheimer.it/carer.html

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About the Author: Irene Pirri

Educatrice e Pedagogista. Ideatrice del blog "Pillole di Pedagogia. La demenza con gli occhi dell'Educazione"

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