Demenza e comportamento. Quando arriva la diagnosi di demenza le famiglie non sono preparate a interpretare il comportamento del proprio caro. Nell’articolo che segue uno specchietto esplicativo per aiutare i caregiver a comprendere a muovere i primi passi
“Quando il cervello subisce dei cambiamenti che impattano la memoria,
il ragionamento, il linguaggio e le altre forme di comunicazione,
il comportamento diventa il metodo primario di espressione non verbale”.
Rehabilitation Nursing 2006; 31(5): 188- 192
La demenza è caratterizzata da sintomi cognitivi (difficoltà di memoria, di attenzione, di orientamento, aprassia, afasia e difficoltà nelle funzioni esecutive) e non cognitivi.
I sintomi non cognitivi impattano sulla percezione, sul contenuto del pensiero, sull’umore e sul comportamento.
Si manifestano con allucinazioni, falsi riconoscimenti, depressione, labilità emotiva, apatia, euforia, ansia, disturbi della personalità, alterazioni del ritmo sonno-veglia, alterazioni dell’appetito, vagabondaggio, affaccendamento afinalistico, vocalizzazioni persistenti.
Di solito i sintomi non cognitivi che compaiono più precocemente sono quelli legati alla sfera affettiva, mentre negli stadi avanzati della demenza diventano più frequenti i disturbi del comportamento, del pensiero e quelli percettivi (allucinazioni, deliri), ma vi è un’alta variabilità soggettiva.
I sintomi non cognitivi devono essere visti come l’ espressione di un adattamento ai deficit cognitivi e di funzionamento. Di seguito alcuni esempi e interpretazioni psicopatologiche:
Modificazioni della personalità
Si possono manifestare, talvolta con un’accentuazione dei tratti di personalità pre-morbosa dell’anziano, oppure con la comparsa di caratteristiche opposte. Possiamo interpretare queste modificazioni rispettivamente come un tentativo del soggetto di riconfermare la propria identità, oppure come un tentativo di adattamento ad una situazione mutata, con la ricostruzione di una nuova identità (Bongioanni P.).
Aggressività
Può essere verbale o fisica, diretta contro cose o persone. In genere è espressione di rabbia, paura, frustrazione, dovuta ad un’erronea interpretazione delle situazioni o dei comportamenti altrui.
Raramente l’anziano rivolge verso se stesso l’aggressività (Bongioanni P.). Sia nel caso di eteroaggressività che di autoaggressività, il comportamento non è intenzionale e consapevole, ma è frutto di un’errata valutazione e dell’incapacità di tenere insieme tutti gli elementi di una situazione.
Il fatto di non comprendere bene le situazioni suscita disorientamento, preoccupazione, ansia, paura e irritabilità che possono sfociare nell’aggressività. È importante allora, per ripristinare un equilibrio e uno stato di calma, riuscire ad individuare la causa scatenante che ha portato l’anziano ad essere aggressivo, ad esempio un atteggiamento troppo direttivo o freddo di chi si stava prendendo cura di lui; un movimento troppo frettoloso e poco delicato; un insuccesso, una frustrazione per non essere riuscito in un compito di vita quotidiana, come chiudere i bottoni di una giacca, chiudere una cerniera, allacciare le scarpe ecc.
Le difficoltà incontrate in questi gesti, che un tempo erano così banali da svolgere, genera un’insopportabile frustrazione. Altre volte la causa va ricercata nell’ambiente, come rumori forti, improvvisi, cambiamenti non voluti oppure in un dolore fisico che non riesce a esprimere o spiegare.
Frequentemente il comportamento aggressivo compare in concomitanza alle manovre assistenziali: l’igiene della persona, il bagno, il vestirsi o lo svestirsi. Tutte queste operazioni implicano un contatto con il corpo che può essere vissuto come un’invadenza. La malattia fa perdere il significato non solo di parole e frasi, ma anche di situazioni, di gesti, di oggetti e di concetti. Se dunque è andato smarrito il concetto del lavarsi e se l’acqua non è più riconosciuta, immaginiamo quanto possa essere difficile accettare manovre e operazioni sul proprio corpo.
Al fine di ridurre o prevenire la paura e le reazioni aggressive, durante le manovre assistenziali, può essere utile far leva sul deficit dell’attenzione: ovvero cercare di spostare, attirare l’attenzione della persona su uno stimolo piacevole, che le possa stimolare emozioni positive.
Può trattarsi di una canzone dei vecchi tempi, di una filastrocca, di un ricordo che l’anziano recupera senza eccessiva fatica, un oggetto, una foto, oppure creando un ambiente confortante multisensoriale. Anche non insistere, rinviando a un secondo momento la proposta può essere una buona soluzione. In linea generale una buona conoscenza dell‘anziano permette un’ampia prevenzione dei comportamenti aggressivi grazie all’uso di strategie mirate, individualizzate e pensate su di lui.
Deliri
Sono idee non corrispondenti al reale, ma fermamente ritenute vere dall’anziano con demenza. Esprimono spesso delle preoccupazioni comprensibili, ad esempio nel delirio di latrocinio l’anziano è convinto che ci sia qualcuno che gli rubi oggetti personali a lui cari, ciò si collega al tema della perdita, spostato su oggetti materiali.
In pratica l’anziano non ritrova gli oggetti a causa dei suoi disturbi di memoria e l’unica spiegazione accettabile per lui è che qualcuno possa averli rubati. Si crea così un circolo vizioso, in cui non ritrovando gli oggetti, continua a nascondere ciò a cui tiene di più e di conseguenza gli oggetti saranno sempre più introvabili.
Altri esempi sono: il delirio di gelosia, che esprime il timore di perdere le persone care; il delirio ipocondriaco che si collega al timore della perdita della salute e al timore della morte. Quando ci troviamo di fronte ad un delirio non è utile cercare di convincere della falsità dell’idea delirante, il carattere di immodificabilità è ciò che caratterizza proprio il delirio. È utile piuttosto cercare di capire il loro significato, il timore, il bisogno sottostante e rispondere a questi.
I disturbi del comportamento costituiscono una vera a propria comunicazione con cui l’anziano tenta di sintonizzarsi con se stesso e con il mondo esterno. È necessario avere rispetto delle sue esperienze soggettive, delle sue percezioni e del suo mondo interiore. Ha bisogno di essere rassicurato e compreso. Perché lui in quel momento sente realmente paura. Le sue emozioni sono reali.
Dunque, quando la parte cognitiva perde efficienza, una parte dell’apparato psichico, quella che fa riferimento alla dimensione affettivo-emotiva, prende il sopravvento e comunica. Di fronte a questi comportamenti bisogna mantenere un atteggiamento calmo e analitico, studiare quando questi si manifestano, le modalità con cui si palesano, trovare cause e significato comunicativo. Attraverso questi accorgimenti è possibile costruire strategie di caregiving che possono prevenire il disturbo comportamentale o calmare più velocemente e efficacemente.
“…mi cerco ma non mi trovo…aiutami a ritrovarmi”.
Maria Lucia Caniglia (Psicologa esperta in Neuropsicologia)
Libri consigliati sull’argomento:
“Io ti aiuto. Guida pratica per assistere una persona con demenza” di V. Busato, E. Mencacci, A.Bordin.
“Riconoscersi ancora. Identità e relazione come strumenti per l’assistenza domiciliare” di R. D’Alfonso, C. Siviero, M. Graziani
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