Pubblichiamo la risposta di Giorgio Pavan all’articolo di Enzo Bianchi uscito su La Repubblica il 26 Ottobre 2020.

Ecco l’articolo integrale di Enzo Bianchi:

«Chiudiamo le RSA, ma per sempre!»

In questi giorni di recrudescenza della pandemia non si può tacere un dramma vissuto da molti, benché sia il più possibile occultato.

Un dramma carico di dolore e sofferenza, di fronte al quale è nostra responsabilità reagire, per quanto possibile, in modo da contrastare il male che colpisce persone, famiglie e convivenze. Un dramma che non osservo dall’esterno ma nel quale mi sono trovato coinvolto in prima persona.

Una persona a me familiare, vedova e senza figli, verso gli ottant’anni è stata colpita da demenza senile.

Fino ad allora autonoma e piena di forze, seppur in una vita solitaria in casa, riusciva a vivere in pienezza relazioni con i vicini e i compaesani. Siccome nessuno poteva ospitarla, le si è provveduta una badante, ma la malattia, con manifestazioni anche violente, non permetteva questo tipo di assistenza. Così la si è dovuta per forza portare in una Rsa, dove però è peggiorata, sempre più estranea a questo mondo e, pur visitata da parenti, ha deciso di rifiutare il cibo fino a morire.

«Non si poteva far altro», abbiamo detto tutti, con l’esperienza di aver accettato nei decenni precedenti questo cammino per molti dei nostri vecchi. Gli anziani sono ritenute persone che stanno per uscire dalla vita, e ad essi non solo non si riconosce più la saggezza dell’esperienza ma vengono considerati unicamente dal punto di vista demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla società a livello medico; quale impegno comporta la loro assistenza; quale costo rappresentano per la società.

Molti sono soli, abbandonati, senza nessuno che li cerchi o li riconosca, invisibili e quasi senza nome, visto che nessuno più li chiama. In quest’ora di pandemia vivono la clausura e, nonostante quanto si è vissuto in primavera e la previsione della seconda ondata, nulla è stato approntato affinché l’isolamento potesse essere alleviato da possibili visite, in strutture apposite che permettano, senza il pericolo del contagio, di incontrarsi, vedersi, sorridersi e parlarsi.

E così la solitudine imposta diventa desolazione e ben presto disperazione. Sono queste le parole che ascolto più spesso da quegli anziani che mi telefonano dalle Rsa per sentire una voce amica. Forse perché ho molto ascoltato il grande teologo e visionario Ivan Illich, mio amico, ho sempre diffidato della “istituzione della carità”: non solo perché è una carità “presbite”, che demanda ad altri di stare vicino a chi noi teniamo lontano, ma perché istituzionalizzare orfani, malati e anziani significa ritenerli scarti, fuori dal giro della vita.

Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanotrofi: cerchiamo di chiudere presto anche le Rsa! Contrastiamo la follia che ci conduce a una vecchiaia artificiale di solitudine e di non vita, impegnandoci a percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini protetti, comunità, domiciliarità.

Altrimenti succederà sempre più ciò che molti vecchi mi hanno confidato: chiedono di non venire più curati e di essere lasciati morire al più presto. Povera umanità!

Enzo Bianchi, “Chiudiamo le RSA, ma per sempre”, La Repubblica,  26 Ottobre 2020.

La proposta di Pavan

Sono Giorgio Pavan e dirigo alcune RSA pubbliche in Veneto. Le parole lette su La Repubblica del 26 ottobre, a cura di Enzo Bianchi sulle RSA non mi trovano d’accordo. Nel rispetto della libertà di opinione ho pensato fosse giusto che qualcuno rispondesse, anche per avere, sull’argomento, riflessioni diverse. L’ho proposto a La Repubblica ma non mi ha risposto. Lo pubblico qui (https://www.facebook.com/giorgio.pavan.75).
Grazie.

Predicare bene… non basta!

Mi chiedo perché non dare il buon esempio con una testimonianza? Se il buon priore ha visto tanta sofferenza, perché non si è dato da fare accogliendo, nella propria comunità, nel suo giaciglio, tanti vecchi soli e sofferenti, magari affetti da demenza, parkinsonismo, disfagia, con paralisi diffuse, diabetici, con problemi cardiaci, osteoarticolari, incontinenza, eccetera eccetera.

Facile parlare, più difficile fare. Magari appellandosi ai mali dell’istituzionalizzazione, sfruttando la scia della liberazione di basagliana memoria, alla carità strabica (chissà chi ha la patente di oculista!), ai luoghi comuni che sintetizzano nel semplicismo situazioni in verità molto complesse.

Faccio notare che ci sono RSA più piccole della comunità di Bose. Forse dovremmo chiudere anche le comunità?

Ma ancora, osservo il paradosso dell’intervento che dapprima mette in linea, correttamente, i problemi, e poi fa uno scarto per dire che bisogna chiudere, per sempre, le RSA.

Dica piuttosto, il priore, ed anche tanti altri intellettuali che in questa epoca alimentano questo vento di scirocco, come intendono risolvere, concretamente, il problema delle persone non autosufficienti, fragili, con devastanti problemi cronico degenerativi, desolatamente sole in questa vita o con famiglie sfasciate che non sono in grado nemmeno di badare a sé stesse o con famiglie che vorrebbero occuparsene ma non riescono perché hanno altri mille problemi.

Va bene. Chiudiamo le RSA… e mandiamo gli anziani a casa degli intellettuali che le vogliono chiudere.

Illich, amico di Enzo Bianchi, non era mio amico ma ho avuto la fortuna di leggerlo. In un passaggio affermava che “… sorprende quindi la quantità delle risorse che si spendono per curare la vecchiaia”. Non lo so, si tratterà una volta per tutte di decidere il valore che vogliamo dare alla vita delle persone anziane e tra queste, a quelle meno fortunate.

In Danimarca dal 1994 lo Stato ha deciso di eliminare le RSA. Dopo 25 anni i posti letto dedicati a questo servizio è del 4% (sugli ultra65enni) … in Italia, ad oggi, del 3%.

Già, ma la Danimarca non è ideologica, è pragmatica, è luterana. Hanno visto che sono necessarie e quindi hanno deciso di fare le migliori RSA del mondo. Bravi!

Converrebbe a tutti noi, compreso allo stimato monaco, di chiederci cosa possiamo fare per migliorare la condizione di vita degli anziani, sia a casa propria che in RSA; in questo caso, se potessimo, per esempio, concepire queste ultime come comunità aperte di vecchi che al posto di vivere soli o abbandonati, anche a casa loro, potessero vivere in un contesto dove vengono curati dai mali fisici che li affliggono e dove possono stare assieme ad altre persone, curando anche i mali sociali, forse qualcosa di buon riusciremo a fare. Domiciliaritá e residenzialità non sono servizi alternativi ma filiere di servizi e che non c’è un’unica soluzione, ma tante soluzioni quanti sono gli anziani.

In una cosa sono d’accordo con Enzo Bianchi: chiudiamo le RSA, quelle pessime, che mostrano di non avere rispetto per le persone che servono. Per sempre.

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