Camminare continuamente o wandering

Il Wandering (dall’inglese to wander, girovagare) è un sintomo comportamentale frequente in persone con demenza che mantengono le funzioni motorie (deambulando con i propri arti, o muovendosi nello spazio con l’ausilio di una carrozzina). Consiste nel camminare incessantemente, apparentemente senza una meta e senza uno scopo, in risposta ad un impulso impossibile da controllare.

E se invece un motivo ci fosse?

Quante volte noi professionisti della Cura cataloghiamo come comportamento afinalistico quello di una persona che cammina in maniera frequente e senza riuscire a fermarsi? Spesso perché non ne indaghiamo le motivazioni.

Ci fermiamo a chiedere alla persona dove sta andando senza aver sempre la fretta e la premura di “distrarla”?.

Il seguente testo vuole essere una chiave di lettura diversa di questo comportamento. Tenterò di approfondire le motivazioni che possono esservi dietro ad un camminare stanco e ripetuto. Ovvero quello che, se ci fermiamo un attimo, possiamo imparare ad osservare.

Perché il camminare incessante?

A volte lo scopo della persona ci è di difficile comprensione, ma spesso questo accade perché non ci fermiamo a osservare, perché non chiediamo, perché siamo presi dalla fretta di dover “risolvere” una situazione prima ancora di capire il problema.

È quanto mai necessaria una riflessione sul fatto che, nella maggior parte delle situazioni, il camminare incessantemente ha uno scopo, spesso ben preciso, ma che tuttavia la persona, che al contempo ha anche deficit mnesici, tende a dimenticare.

Altre volte invece non è in grado di spiegare il contenuto della sua “continua ricerca”, perché la produzione verbale o la comprensione appaiono compromesse; e qui viene difficile indagare ciò che rimane tacito perché i frammenti di parola, si sa, sono spesso utili a comprendere una situazione.

A volte il camminare può essere dettato dall’ansia, uno stato emotivo frequente, oppure dal disorientamento e dalla confusione che possono portare la persona con demenza a vagare in cerca di oggetti e persone senza mai trovarle.

(Abbiamo parlato in questo articolo di quanto sia importante comprendere e accogliere le emozioni della persona con demenza e delle strategie che possiamo mettere in campo per riuscire a farlo.)

Per molte altre persone alla base c’è la noia e quindi un bisogno anche inconscio di tenersi attivi e impegnati.

E il bisogno fisiologico? Pochi tengono in considerazione che spesso la persona, perdendo l’uso della parola o non essendo abituata a richiedere assistenza, ha fame, sete, dolore, necessità dei servizi e non riesce a chiedere. Allora cammina, alla ricerca dei bisogni da soddisfare.

Fermarsi a osservare quando l’Altro cammina può avere risvolti meravigliosi. E la meraviglia sta nel riconoscere che spesso, dietro a comportamenti che non sappiamo spiegarci c’è molto di più.

Ed è solo il punto di partenza per capire come agire (ma questo è un altro capitolo della storia).

Nei panni della persona con demenza

Concludo con un racconto che ho scritto a partire da esperienze che ho vissuto in prima persona, provando ad assumere il punto di vista della persona che convive con demenza.

Io devo andare.

“Si accomodi un attimo, guardi, qui c’è una poltrona”.

A volte, proprio quando sento di avere tante cose da fare, mi ritrovo davanti qualcuno con tratti molto simili alla mia mamma ma allo stesso tempo, del tutto diversa. La voce flebile, a tratti dolce, a tratti dura, familiare e sconosciuta insieme, mi ripete più volte di… accomodarmi.

Come se ci fosse il tempo di potermi fermare. Io devo andare. Ho tante cose da fare.

Tutte le volte questa voce mi dice di fermarmi, di sedermi, di accomodarmi, di non muovermi, di smetterla… ma, esattamente, di fare cosa?

Fermate voi una signora che dalla mattina alla sera ha una lunga lista di cose da fare: la spesa, pulire la casa, cambiare le lenzuola ai letti, andare a prendere la bambina a scuola… Io devo andare, ho tante cose da fare.

Oggi, è una giornata di quelle. Non so bene che giorno sia, sento qualcuno che lo ripete ma non so come mai non rimane mai impresso nella mia mente, sono troppo impegnata a fare… non ricordo bene cosa… tra preparare il pranzo, lavare i vestiti, andare a prendere a scuola la mia bambina… ecco, la mia bambina.

Ho una bambina che si chiama… meglio che mi avvii prima che finisca la… la… e se poi non trovo il…

Che fatica, ho un lungo corridoio davanti a me e sembra non finire mai; è come non riuscissi a vedere la luce in fondo al tunnel. Quella luce di cui si parla sempre nei libri, la famosa “luce che illumina il cammino”, il positivo alla fine di un periodo brutto, la mia bambina.

E la luce sembra non arrivare mai, sembra quella porta là in fondo. Devo andare, ho tante cose da fare.

Il mio passo è lento e invecchiato, forse ha visto anni migliori. Cammino continuamente per raggiungere… non ricordo bene cosa, ma è sicuramente importante se sento addosso questa fatica. Mi appoggio al corrimano che trovo alla mia destra, che comodità, devono aver pensato proprio a tutto in questo posto!

Ma esattamente dove sono? Come faccio a tornare a casa? Io devo andare. Ho tante cose da fare.

Ecco, quella assomiglia a… sì, è lei, fatemi andare da lei. Ci separano pochi metri ma sembrano tanti piccoli granelli di uno spazio infinito. La seguo, conoscerà l’uscita. Ma perché mi guarda spaventata?

“Sono io, non mi riconos..?”.

No. Improvvisamente la mia bambina cambia faccia e inizia ad essere qualcuno che non conosco, la pelle è olivastra quando invece è sempre stata molto abbronzata, gli occhi chiari che invece prima mi sembravano… e la voce, no, non è la sua. Ma allora dov’è?

Si fa tutto così confuso, uno che mi dice di accomodarmi, un’altra che mi prende per il braccio e insistono, insistono, pensano che cederò? Lasciatemi andare, io devo andare.

Riesco a svincolarmi e riprendo il mio cammino; nessuno mi segue, forse ho invertito rotta, questo corridoio mi sembra di averlo già visto.

Sento il mio corpo stanco, affaticato.

Non so da quanto cammino, non so che ore sono, non so che giorno sia e ad ogni mio passo lento e stanco il respiro si fa sempre più pesante. Il mio corpo sta iniziando a seguire un ritmo diverso da quello della mia mente, ma i miei piedi sono guidati dalla mia motivazione. Io devo andare, eppure mi trascino così lenta.

Non ero una grande camminatrice e non lo sono nemmeno oggi, ma se solo mi facessero uscire per tornare dalla mia… mamma. Afferro la porta e spingo, non si apre. Insisto, faccio tanto rumore e basta. Perché la porta non si apre. Come i miei pensieri, solo rumore, poi basta.

Mi sento toccare la spalla da una mano sottile e gentile.

“Si accomodi un attimo, guardi, qui c’è una poltrona”.

Ma io devo andare.

About the Author: Erica Forcellini

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Educatrice socio-pedagogica, RSA Pineta di Tradate (VA) - Coop. Proges

Grazie di cuore

 

Se questo articolo ti è stato utile puoi fare una piccola donazione per sostenere il lavoro di CURA

rivista CURA settembre23

Con 1 euro puoi aiutarci a cambiare la narrazione stereotipata sulla vecchiaia e sul mondo delle RSA.

Camminare continuamente o wandering

Il Wandering (dall’inglese to wander, girovagare) è un sintomo comportamentale frequente in persone con demenza che mantengono le funzioni motorie (deambulando con i propri arti, o muovendosi nello spazio con l’ausilio di una carrozzina). Consiste nel camminare incessantemente, apparentemente senza una meta e senza uno scopo, in risposta ad un impulso impossibile da controllare.

E se invece un motivo ci fosse?

Quante volte noi professionisti della Cura cataloghiamo come comportamento afinalistico quello di una persona che cammina in maniera frequente e senza riuscire a fermarsi? Spesso perché non ne indaghiamo le motivazioni.

Ci fermiamo a chiedere alla persona dove sta andando senza aver sempre la fretta e la premura di “distrarla”?.

Il seguente testo vuole essere una chiave di lettura diversa di questo comportamento. Tenterò di approfondire le motivazioni che possono esservi dietro ad un camminare stanco e ripetuto. Ovvero quello che, se ci fermiamo un attimo, possiamo imparare ad osservare.

Perché il camminare incessante?

A volte lo scopo della persona ci è di difficile comprensione, ma spesso questo accade perché non ci fermiamo a osservare, perché non chiediamo, perché siamo presi dalla fretta di dover “risolvere” una situazione prima ancora di capire il problema.

È quanto mai necessaria una riflessione sul fatto che, nella maggior parte delle situazioni, il camminare incessantemente ha uno scopo, spesso ben preciso, ma che tuttavia la persona, che al contempo ha anche deficit mnesici, tende a dimenticare.

Altre volte invece non è in grado di spiegare il contenuto della sua “continua ricerca”, perché la produzione verbale o la comprensione appaiono compromesse; e qui viene difficile indagare ciò che rimane tacito perché i frammenti di parola, si sa, sono spesso utili a comprendere una situazione.

A volte il camminare può essere dettato dall’ansia, uno stato emotivo frequente, oppure dal disorientamento e dalla confusione che possono portare la persona con demenza a vagare in cerca di oggetti e persone senza mai trovarle.

(Abbiamo parlato in questo articolo di quanto sia importante comprendere e accogliere le emozioni della persona con demenza e delle strategie che possiamo mettere in campo per riuscire a farlo.)

Per molte altre persone alla base c’è la noia e quindi un bisogno anche inconscio di tenersi attivi e impegnati.

E il bisogno fisiologico? Pochi tengono in considerazione che spesso la persona, perdendo l’uso della parola o non essendo abituata a richiedere assistenza, ha fame, sete, dolore, necessità dei servizi e non riesce a chiedere. Allora cammina, alla ricerca dei bisogni da soddisfare.

Fermarsi a osservare quando l’Altro cammina può avere risvolti meravigliosi. E la meraviglia sta nel riconoscere che spesso, dietro a comportamenti che non sappiamo spiegarci c’è molto di più.

Ed è solo il punto di partenza per capire come agire (ma questo è un altro capitolo della storia).

Nei panni della persona con demenza

Concludo con un racconto che ho scritto a partire da esperienze che ho vissuto in prima persona, provando ad assumere il punto di vista della persona che convive con demenza.

Io devo andare.

“Si accomodi un attimo, guardi, qui c’è una poltrona”.

A volte, proprio quando sento di avere tante cose da fare, mi ritrovo davanti qualcuno con tratti molto simili alla mia mamma ma allo stesso tempo, del tutto diversa. La voce flebile, a tratti dolce, a tratti dura, familiare e sconosciuta insieme, mi ripete più volte di… accomodarmi.

Come se ci fosse il tempo di potermi fermare. Io devo andare. Ho tante cose da fare.

Tutte le volte questa voce mi dice di fermarmi, di sedermi, di accomodarmi, di non muovermi, di smetterla… ma, esattamente, di fare cosa?

Fermate voi una signora che dalla mattina alla sera ha una lunga lista di cose da fare: la spesa, pulire la casa, cambiare le lenzuola ai letti, andare a prendere la bambina a scuola… Io devo andare, ho tante cose da fare.

Oggi, è una giornata di quelle. Non so bene che giorno sia, sento qualcuno che lo ripete ma non so come mai non rimane mai impresso nella mia mente, sono troppo impegnata a fare… non ricordo bene cosa… tra preparare il pranzo, lavare i vestiti, andare a prendere a scuola la mia bambina… ecco, la mia bambina.

Ho una bambina che si chiama… meglio che mi avvii prima che finisca la… la… e se poi non trovo il…

Che fatica, ho un lungo corridoio davanti a me e sembra non finire mai; è come non riuscissi a vedere la luce in fondo al tunnel. Quella luce di cui si parla sempre nei libri, la famosa “luce che illumina il cammino”, il positivo alla fine di un periodo brutto, la mia bambina.

E la luce sembra non arrivare mai, sembra quella porta là in fondo. Devo andare, ho tante cose da fare.

Il mio passo è lento e invecchiato, forse ha visto anni migliori. Cammino continuamente per raggiungere… non ricordo bene cosa, ma è sicuramente importante se sento addosso questa fatica. Mi appoggio al corrimano che trovo alla mia destra, che comodità, devono aver pensato proprio a tutto in questo posto!

Ma esattamente dove sono? Come faccio a tornare a casa? Io devo andare. Ho tante cose da fare.

Ecco, quella assomiglia a… sì, è lei, fatemi andare da lei. Ci separano pochi metri ma sembrano tanti piccoli granelli di uno spazio infinito. La seguo, conoscerà l’uscita. Ma perché mi guarda spaventata?

“Sono io, non mi riconos..?”.

No. Improvvisamente la mia bambina cambia faccia e inizia ad essere qualcuno che non conosco, la pelle è olivastra quando invece è sempre stata molto abbronzata, gli occhi chiari che invece prima mi sembravano… e la voce, no, non è la sua. Ma allora dov’è?

Si fa tutto così confuso, uno che mi dice di accomodarmi, un’altra che mi prende per il braccio e insistono, insistono, pensano che cederò? Lasciatemi andare, io devo andare.

Riesco a svincolarmi e riprendo il mio cammino; nessuno mi segue, forse ho invertito rotta, questo corridoio mi sembra di averlo già visto.

Sento il mio corpo stanco, affaticato.

Non so da quanto cammino, non so che ore sono, non so che giorno sia e ad ogni mio passo lento e stanco il respiro si fa sempre più pesante. Il mio corpo sta iniziando a seguire un ritmo diverso da quello della mia mente, ma i miei piedi sono guidati dalla mia motivazione. Io devo andare, eppure mi trascino così lenta.

Non ero una grande camminatrice e non lo sono nemmeno oggi, ma se solo mi facessero uscire per tornare dalla mia… mamma. Afferro la porta e spingo, non si apre. Insisto, faccio tanto rumore e basta. Perché la porta non si apre. Come i miei pensieri, solo rumore, poi basta.

Mi sento toccare la spalla da una mano sottile e gentile.

“Si accomodi un attimo, guardi, qui c’è una poltrona”.

Ma io devo andare.

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Grazie di cuore

 

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One Comment

  1. Cinzia 17 Novembre 2024 at 20:53 - Reply

    WOW ERICA! Che bella cosa che hai fatto. Indagare un sintomo tanto affascinante quanto difficile!
    Veramente grazie!!! E … tra i bisogni fisiologici trovo che ci sia anche quello del camminare, ho voglia di camminare :)

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