Per aver cura della persona con demenza serve costruire una nuova identità delle residenze per anziani: questa la sfida del prossimo decennio
“Gentile dottoressa Espanoli, non so da dove cominciare. So solo che oggi, quando mi guardo attorno, tutto quello che avevo costruito insieme con i miei operatori, mi sembra distrutto. Quando passeggio per le comunità ho la sensazione che tutto si sia frantumato nella paura del Covid, nelle nostre tute spaziali, nel distanziamento, in quell’arsura di relazioni. Sono entrato giorni fa nel nostro nucleo alzheimer: ospiti che urlavano, operatori smarriti, famigliari sempre troppo presenti rispetto alle esigenze. Ho guardato attentamente le consegne e mi sono reso conto di quanto, senza volerlo, in questi 17 mesi siamo andati alla deriva. Ci può aiutare?”
3 elementi costitutivi per aver cura della persona con demenza
Certo che sì. Pronti a ripartire? Pronti a rimettere il carburante dell’entusiasmo e della cultura organizzativa nel serbatoio della Cura? Ripartiamo da 3 elementi costitutivi della Cura alle persone fragili che vivono con demenza:
- l’utilizzo sapiente della storia di vita per la costruzione di una giornata di valore;
- la creazione di una forte cultura interna intorno alla cura alle persone che vivono con demenza e alla libertà, capace di far fronte.
- la capacità di radicare a terra i semi della formazione e la creazione di team capaci di cura e crescita.
Sai cos’è il potenziale? È tutto il bello che ancora possiamo esprimere, come persone e organizzazioni che investono il loro tempo nella Cura.
Poter lavorare con soddisfazione all’interno di una residenza per anziani, godere di una Cura capace di riconoscere la tua individualità, poter vivere relazioni con la persona che si ama, poter ricevere sul piatto del cibo eccellente in termini di qualità nutrizionale e di materie prime: tutto questo dovrebbe essere frutto di un metodo capace di replicarsi e autorigenerarsi. Sono diritti vitali per residenti, operatori, famigliari e volontari (In merito si veda il libro di Jean Case, L’importanza di osare: cinque principi per realizzare pienamente il proprio potenziale nella vita e nel lavoro).
La conoscenza accurata della storia di vita
È tempo che ci ripetiamo che l’inizio della Cura è la conoscenza accurata della storia di vita di tutte le persone che vivono in una residenza. Abbiamo visto come conoscere la biografia voglia dire creare una reale personalizzazione degli interventi.
Poco conta che essa sia “al salvo” nella tua cartella informatizzata se non abbiamo definito almeno alcuni usi quotidiani della stessa in una istruzione operativa capace di dare concime ai semi della formazione.
Gli usi quotidiani della storia di vita
La storia di vita è fondamentale in primo luogo per lavorare con gli educatori per la personalizzazione della stanza e dei suoi fuochi attrattivi (elementi affettivi capaci di accendere benessere);
Essa è inoltre imprescindibile per la realizzazione del bagno felice. La resistenza alla cura avviene infatti quando la Cura è troppo lontana dal “sentire” della persona. Solo la conoscenza profonda della persona potrà consentire l’utilizzo di parole, silenzi, musica, gesti in grado di costruire una relazione efficace.
Nella storia di vita quando era il momento giusto per vivere l’esperienza del bagno? Ricordo la storia di Mario, agricoltore veneto: solo verso l’imbrunire, quando l’operatore si avvicinava. «Mario, un’altra giornata di lavoro è finita. È andata bene nei campi oggi?», mentre Mario ogni giorno raccontava storie che accendevano emozioni, era tempo di andare verso il bagno per l’igiene quotidiana. In ogni altro istante la re-azione di Mario era di grande irritabilità.
E che dire poi della storia delle abitudini nutrizionali e intestinali della persona? Anche questo è un elemento della storia di vita che ci aiuterà a comprendere non tanto solo ciò che è utile per il suo stato di salute ma anche ciò che la persona sente emotivamente vicino al suo stile di vita.
Per intenderci: qualche volta per colazione polenta e soppressa potrebbero dare più risultati sul comportamento rispetto a tanti tentativi di attività, oppure un vero cappuccino dopo cena potrebbe indurre il sonno più profondo perché percepito come coccola.
E ancora: che dire della storia di vita legata ai suoi abiti? Hai mai provato a vestirti con abiti che “non ti senti addosso”? Non hai la sensazione di inadeguatezza, imbarazzo? La strana, vetusta e maltrattante abitudine degli abiti di comunità non solo spezza i cuori delle famiglie che non comprendono il perché la persona che amano sia vestita con abiti altrui, ma è un atto di trascuratezza che incide nella serenità delle persone.
«Anche quando noi pensiamo che la persona sia persa nel suo mondo, quando non capisce, quando non risponde a tono, essa è presente a sé stessa, al suo mondo e soprattutto è presente alle proprie emozioni. L’incapacità di esprimere queste emozioni, data dalla malattia, porterà la persona a quei comportamenti che noi consideriamo disturbanti, aggressivi, violenti». (Dal libro di Letizia Espanoli, Disturba Chi?)
La contenzione fisica
Ma passiamo a un tema che durante il periodo del Covid-19 è rimasto attivo sotto gli occhi di tutti trasformandosi tuttavia in qualcosa di invisibile, impercettibile e impalpabile: la contenzione fisica. Essa è per tutti i ricercatori antitetica alla Cura e chiede agli staff di direzione impegno e progettualità per essere ridotta solo alle situazioni straordinarie e nei tempi limitati (Si legga in proposito il libro di Daniele Roccon, La Nave dei pazzi. Antropologia della malattia di Alzheimer e liberazione dalla contenzione, di cui si è parlato anche qui su rivista cura, nell’articolo di Luca Croci, La contenzione in RSA: il libro che spiega le origini, le responsabilità e le normative vigenti).
Da una ricerca IPASVI del 2010, nel periodo di rilevazione il 68,7% dei residenti delle RSA era contenuto.
“Le pratiche di contenzione sollevano importanti questioni da un punto di vista etico-giuridico, potendo concretizzare anche specifiche figure di reato quali: abuso di mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 codice penale); maltrattamenti (art. 572 c.p.); sequestro di persona (art. 605 c.p.); violenza privata (art. 610 c.p.); lesioni personali colpose (art 589 c.p.); omicidio colposo (art. 590 c.p.).
La contenzione può causare: danni fisici (es. strangolamento, asfissia, lesioni muscolari, ossee, nervose, vascolari); danni psicosociali (es. stress, alterazioni del tono dell’umore, paura, sconforto, umiliazione); malattie organiche e funzionali (es. infezioni, incontinenza, piaghe da decubito).“
Vi è un generale orientamento, sostenuto da istituzioni nazionali e internazionali, a raccomandare l’abolizione della contenzione quale pratica sanitaria. In un documento sull’argomento, il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) afferma:
«La contenzione rappresenta in sé una violazione dei diritti fondamentali della persona. Il fatto che in situazioni del tutto eccezionali i sanitari possano ricorrere a giustificazioni per applicare la contenzione non toglie forza alla regola della non-contenzione e non modifica i fondamenti del discorso etico».
Secondo il CNB «si può fare a meno di legare le persone: l’esistenza di servizi che hanno scelto di non applicare la contenzione e il successo di programmi tesi a monitorare e ridurre questa pratica confermano questa indicazione».
Infatti, i dati attestano che «si ricorre alla contenzione non tanto a causa della gravità della situazione clinica dei pazienti, quanto per carenze nell’organizzazione dei servizi e per atteggiamenti inaccettabili degli operatori», secondo quanto troviamo scritto nel documento dell’Istituto Superiore di Sanità “Assistenza sociosanitaria residenziale agli anziani non autosufficienti: profili bioetici e biogiuridici”[3].
È importante allora per iniziare un progetto capace di “contenere la contenzione e s-contenere la libertà” attivare una serie di importanti steps molto operativi, dei quali parlo sul n. 7 di CURA in uscita a settembre nella versione cartacea.
La contenzione farmacologica
Un altro tema tra le mura delle residenze ha tuttavia bisogno di maggiore cultura e abilità: la contenzione farmacologica. Non c’è da stupirsi. Con un linguaggio fatto di “ti metto, ti porto, ti lavo, ti sposto…” qualunque anziano voglia manifestare una volontà contraria potrebbe essere etichettato come “disturbante” o “richiestivo”.
Sono due parole che poco hanno a che fare con l’aver Cura della persona con demenza, ma certamente dilaganti nella cultura organizzativa di molte residenze. La contenzione farmacologica è la contenzione chimica che si ottiene con farmaci che modificano il comportamento, come tranquillanti e sedativi.
Identità nuova per le residenze per anziani
Quando la volontà dell’anziano si frappone tra i nostri compiti e il risultato atteso dall’organizzazione – il bagno fatto nel giorno programmato dal responsabile, spesso senza tener conto delle abitudini che si potrebbero cogliere dalla biografia; l’igiene quando l’operatore può e non quando l’anziano sente il bruciore dell’urina e delle feci attorno alla carne fragile; i vestiti che vogliamo noi senza tener conto che la persona non ha indossato i calzini per tutta la vita ed è per questo che ora vuole camminare senza scarpe e calzini… –.
Quando la sua volontà, dicevo, si frappone tra noi e il risultato atteso dall’organizzazione, noi allora sperimentiamo emozioni contrastanti: da un certo punto di vista vorremmo assecondare i desideri dell’anziano e dall’altro ci troviamo schiacciati nei nostri compiti quotidiani dei quali c’è sempre qualcuno che chiede evidenza.
Credo che i coordinatori e i responsabili di comunità debbano davvero chiedersi che cosa sia importante nella loro organizzazione e che il sistema qualità dell’ente debba adeguarsi alla cultura organizzativa:
Contano il numero dei bagni che fai oppure i bagni felici (ovvero quelli dove, attraverso una precisa procedura non attiviamo nella persona anziana, magari con demenza, comportamenti re-attivi). Conta quanto l’anziano ha mangiato oppure anche se il cibo che ha sul piatto è di reale qualità nutrizionale rispetto ai suoi precisi bisogni e desideri (la persona anziana ha davvero un apporto maggiore di proteine cosi come le linee guida internazionali consigliano? Ha sufficienti vitamine e sali minerali da frutta fresca e verdura di qualità?…).
Vorresti essere una persona che vive con demenza ed essere accolta in un luogo dove gli operatori non sono stati opportunamente preparati? E certamente non basta un corso di formazione agli Oss sulla relazione con la persona con demenza per acquisire quelle capacità di costruzione di relazioni efficaci per vivere il bagno, il taglio delle unghie, la giornata di vita, la giornata nutrizionale, la creazione di un ambiente adeguato (senza di questo tutta la fatica ricadrà solo ingiustificatamente sul personale…).
Vorresti avere tanto mal di pancia dato dai continui lassativi, esprimere il dolore urlando e sputando e ricevere della sedazione perché questo tuo comportamento viene letto come “aggressivo”? Vorresti cercare la tua mamma, trovarti fuori dalla struttura, essere accusato di essere scappato e ricevere della contenzione farmacologica?
Sono sicura di no.
Ecco perché è importante che coloro che hanno compiti di direzione e coordinamento riflettano su questo indicatore:
- Quanta terapia sedativa è prescritta nella tua organizzazione?
- È aumentata durante il Covid?
- Quanta contenzione farmacologica al bisogno viene prescritta?
- E quanta somministrata?
Non si può coordinare una residenza per anziani senza avere un vivo interesse per questa tematica e avere la maestria per costruire progetti di grande valore umano per residenti (che altrimenti subirebbero un’assistenza al limite del mal-trattamento), per i familiari (costretti a incontrare i loro cari sedati e quindi in situazioni emotive interiori devastanti), per gli operatori che hanno bisogno più che mai, dopo questi mesi sfidanti, di ritrovare la gioia e la passione per il loro lavoro. [Si legga in proposito il libro: Organizzazioni senza paura. Creare sicurezza psicologica sul lavoro per imparare, innovare, crescere].
P.s. Guardo con rispetto alla Nota circolare appena uscita a firma dell’ufficio legislativo del Ministero della Salute non solo perché risancisce l’importanza delle relazioni con la famiglia, ma perché apre alla necessità di costruire relazioni più importanti e mature con il volontariato, in grado di costruire nuove relazioni e responsabilità.
Sì, costruire una nuova identità alle residenze per anziani, resterà la sfida del prossimo decennio.
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“Gentile dottoressa Espanoli, non so da dove cominciare. So solo che oggi, quando mi guardo attorno, tutto quello che avevo costruito insieme con i miei operatori, mi sembra distrutto. Quando passeggio per le comunità ho la sensazione che tutto si sia frantumato nella paura del Covid, nelle nostre tute spaziali, nel distanziamento, in quell’arsura di relazioni. Sono entrato giorni fa nel nostro nucleo alzheimer: ospiti che urlavano, operatori smarriti, famigliari sempre troppo presenti rispetto alle esigenze. Ho guardato attentamente le consegne e mi sono reso conto di quanto, senza volerlo, in questi 17 mesi siamo andati alla deriva. Ci può aiutare?”
3 elementi costitutivi per aver cura della persona con demenza
Certo che sì. Pronti a ripartire? Pronti a rimettere il carburante dell’entusiasmo e della cultura organizzativa nel serbatoio della Cura? Ripartiamo da 3 elementi costitutivi della Cura alle persone fragili che vivono con demenza:
- l’utilizzo sapiente della storia di vita per la costruzione di una giornata di valore;
- la creazione di una forte cultura interna intorno alla cura alle persone che vivono con demenza e alla libertà, capace di far fronte.
- la capacità di radicare a terra i semi della formazione e la creazione di team capaci di cura e crescita.
Sai cos’è il potenziale? È tutto il bello che ancora possiamo esprimere, come persone e organizzazioni che investono il loro tempo nella Cura.
Poter lavorare con soddisfazione all’interno di una residenza per anziani, godere di una Cura capace di riconoscere la tua individualità, poter vivere relazioni con la persona che si ama, poter ricevere sul piatto del cibo eccellente in termini di qualità nutrizionale e di materie prime: tutto questo dovrebbe essere frutto di un metodo capace di replicarsi e autorigenerarsi. Sono diritti vitali per residenti, operatori, famigliari e volontari (In merito si veda il libro di Jean Case, L’importanza di osare: cinque principi per realizzare pienamente il proprio potenziale nella vita e nel lavoro).
La conoscenza accurata della storia di vita
È tempo che ci ripetiamo che l’inizio della Cura è la conoscenza accurata della storia di vita di tutte le persone che vivono in una residenza. Abbiamo visto come conoscere la biografia voglia dire creare una reale personalizzazione degli interventi.
Poco conta che essa sia “al salvo” nella tua cartella informatizzata se non abbiamo definito almeno alcuni usi quotidiani della stessa in una istruzione operativa capace di dare concime ai semi della formazione.
Gli usi quotidiani della storia di vita
La storia di vita è fondamentale in primo luogo per lavorare con gli educatori per la personalizzazione della stanza e dei suoi fuochi attrattivi (elementi affettivi capaci di accendere benessere);
Essa è inoltre imprescindibile per la realizzazione del bagno felice. La resistenza alla cura avviene infatti quando la Cura è troppo lontana dal “sentire” della persona. Solo la conoscenza profonda della persona potrà consentire l’utilizzo di parole, silenzi, musica, gesti in grado di costruire una relazione efficace.
Nella storia di vita quando era il momento giusto per vivere l’esperienza del bagno? Ricordo la storia di Mario, agricoltore veneto: solo verso l’imbrunire, quando l’operatore si avvicinava. «Mario, un’altra giornata di lavoro è finita. È andata bene nei campi oggi?», mentre Mario ogni giorno raccontava storie che accendevano emozioni, era tempo di andare verso il bagno per l’igiene quotidiana. In ogni altro istante la re-azione di Mario era di grande irritabilità.
E che dire poi della storia delle abitudini nutrizionali e intestinali della persona? Anche questo è un elemento della storia di vita che ci aiuterà a comprendere non tanto solo ciò che è utile per il suo stato di salute ma anche ciò che la persona sente emotivamente vicino al suo stile di vita.
Per intenderci: qualche volta per colazione polenta e soppressa potrebbero dare più risultati sul comportamento rispetto a tanti tentativi di attività, oppure un vero cappuccino dopo cena potrebbe indurre il sonno più profondo perché percepito come coccola.
E ancora: che dire della storia di vita legata ai suoi abiti? Hai mai provato a vestirti con abiti che “non ti senti addosso”? Non hai la sensazione di inadeguatezza, imbarazzo? La strana, vetusta e maltrattante abitudine degli abiti di comunità non solo spezza i cuori delle famiglie che non comprendono il perché la persona che amano sia vestita con abiti altrui, ma è un atto di trascuratezza che incide nella serenità delle persone.
«Anche quando noi pensiamo che la persona sia persa nel suo mondo, quando non capisce, quando non risponde a tono, essa è presente a sé stessa, al suo mondo e soprattutto è presente alle proprie emozioni. L’incapacità di esprimere queste emozioni, data dalla malattia, porterà la persona a quei comportamenti che noi consideriamo disturbanti, aggressivi, violenti». (Dal libro di Letizia Espanoli, Disturba Chi?)
La contenzione fisica
Ma passiamo a un tema che durante il periodo del Covid-19 è rimasto attivo sotto gli occhi di tutti trasformandosi tuttavia in qualcosa di invisibile, impercettibile e impalpabile: la contenzione fisica. Essa è per tutti i ricercatori antitetica alla Cura e chiede agli staff di direzione impegno e progettualità per essere ridotta solo alle situazioni straordinarie e nei tempi limitati (Si legga in proposito il libro di Daniele Roccon, La Nave dei pazzi. Antropologia della malattia di Alzheimer e liberazione dalla contenzione, di cui si è parlato anche qui su rivista cura, nell’articolo di Luca Croci, La contenzione in RSA: il libro che spiega le origini, le responsabilità e le normative vigenti).
Da una ricerca IPASVI del 2010, nel periodo di rilevazione il 68,7% dei residenti delle RSA era contenuto.
“Le pratiche di contenzione sollevano importanti questioni da un punto di vista etico-giuridico, potendo concretizzare anche specifiche figure di reato quali: abuso di mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 codice penale); maltrattamenti (art. 572 c.p.); sequestro di persona (art. 605 c.p.); violenza privata (art. 610 c.p.); lesioni personali colpose (art 589 c.p.); omicidio colposo (art. 590 c.p.).
La contenzione può causare: danni fisici (es. strangolamento, asfissia, lesioni muscolari, ossee, nervose, vascolari); danni psicosociali (es. stress, alterazioni del tono dell’umore, paura, sconforto, umiliazione); malattie organiche e funzionali (es. infezioni, incontinenza, piaghe da decubito).“
Vi è un generale orientamento, sostenuto da istituzioni nazionali e internazionali, a raccomandare l’abolizione della contenzione quale pratica sanitaria. In un documento sull’argomento, il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) afferma:
«La contenzione rappresenta in sé una violazione dei diritti fondamentali della persona. Il fatto che in situazioni del tutto eccezionali i sanitari possano ricorrere a giustificazioni per applicare la contenzione non toglie forza alla regola della non-contenzione e non modifica i fondamenti del discorso etico».
Secondo il CNB «si può fare a meno di legare le persone: l’esistenza di servizi che hanno scelto di non applicare la contenzione e il successo di programmi tesi a monitorare e ridurre questa pratica confermano questa indicazione».
Infatti, i dati attestano che «si ricorre alla contenzione non tanto a causa della gravità della situazione clinica dei pazienti, quanto per carenze nell’organizzazione dei servizi e per atteggiamenti inaccettabili degli operatori», secondo quanto troviamo scritto nel documento dell’Istituto Superiore di Sanità “Assistenza sociosanitaria residenziale agli anziani non autosufficienti: profili bioetici e biogiuridici”[3].
È importante allora per iniziare un progetto capace di “contenere la contenzione e s-contenere la libertà” attivare una serie di importanti steps molto operativi, dei quali parlo sul n. 7 di CURA in uscita a settembre nella versione cartacea.
La contenzione farmacologica
Un altro tema tra le mura delle residenze ha tuttavia bisogno di maggiore cultura e abilità: la contenzione farmacologica. Non c’è da stupirsi. Con un linguaggio fatto di “ti metto, ti porto, ti lavo, ti sposto…” qualunque anziano voglia manifestare una volontà contraria potrebbe essere etichettato come “disturbante” o “richiestivo”.
Sono due parole che poco hanno a che fare con l’aver Cura della persona con demenza, ma certamente dilaganti nella cultura organizzativa di molte residenze. La contenzione farmacologica è la contenzione chimica che si ottiene con farmaci che modificano il comportamento, come tranquillanti e sedativi.
Identità nuova per le residenze per anziani
Quando la volontà dell’anziano si frappone tra i nostri compiti e il risultato atteso dall’organizzazione – il bagno fatto nel giorno programmato dal responsabile, spesso senza tener conto delle abitudini che si potrebbero cogliere dalla biografia; l’igiene quando l’operatore può e non quando l’anziano sente il bruciore dell’urina e delle feci attorno alla carne fragile; i vestiti che vogliamo noi senza tener conto che la persona non ha indossato i calzini per tutta la vita ed è per questo che ora vuole camminare senza scarpe e calzini… –.
Quando la sua volontà, dicevo, si frappone tra noi e il risultato atteso dall’organizzazione, noi allora sperimentiamo emozioni contrastanti: da un certo punto di vista vorremmo assecondare i desideri dell’anziano e dall’altro ci troviamo schiacciati nei nostri compiti quotidiani dei quali c’è sempre qualcuno che chiede evidenza.
Credo che i coordinatori e i responsabili di comunità debbano davvero chiedersi che cosa sia importante nella loro organizzazione e che il sistema qualità dell’ente debba adeguarsi alla cultura organizzativa:
Contano il numero dei bagni che fai oppure i bagni felici (ovvero quelli dove, attraverso una precisa procedura non attiviamo nella persona anziana, magari con demenza, comportamenti re-attivi). Conta quanto l’anziano ha mangiato oppure anche se il cibo che ha sul piatto è di reale qualità nutrizionale rispetto ai suoi precisi bisogni e desideri (la persona anziana ha davvero un apporto maggiore di proteine cosi come le linee guida internazionali consigliano? Ha sufficienti vitamine e sali minerali da frutta fresca e verdura di qualità?…).
Vorresti essere una persona che vive con demenza ed essere accolta in un luogo dove gli operatori non sono stati opportunamente preparati? E certamente non basta un corso di formazione agli Oss sulla relazione con la persona con demenza per acquisire quelle capacità di costruzione di relazioni efficaci per vivere il bagno, il taglio delle unghie, la giornata di vita, la giornata nutrizionale, la creazione di un ambiente adeguato (senza di questo tutta la fatica ricadrà solo ingiustificatamente sul personale…).
Vorresti avere tanto mal di pancia dato dai continui lassativi, esprimere il dolore urlando e sputando e ricevere della sedazione perché questo tuo comportamento viene letto come “aggressivo”? Vorresti cercare la tua mamma, trovarti fuori dalla struttura, essere accusato di essere scappato e ricevere della contenzione farmacologica?
Sono sicura di no.
Ecco perché è importante che coloro che hanno compiti di direzione e coordinamento riflettano su questo indicatore:
- Quanta terapia sedativa è prescritta nella tua organizzazione?
- È aumentata durante il Covid?
- Quanta contenzione farmacologica al bisogno viene prescritta?
- E quanta somministrata?
Non si può coordinare una residenza per anziani senza avere un vivo interesse per questa tematica e avere la maestria per costruire progetti di grande valore umano per residenti (che altrimenti subirebbero un’assistenza al limite del mal-trattamento), per i familiari (costretti a incontrare i loro cari sedati e quindi in situazioni emotive interiori devastanti), per gli operatori che hanno bisogno più che mai, dopo questi mesi sfidanti, di ritrovare la gioia e la passione per il loro lavoro. [Si legga in proposito il libro: Organizzazioni senza paura. Creare sicurezza psicologica sul lavoro per imparare, innovare, crescere].
P.s. Guardo con rispetto alla Nota circolare appena uscita a firma dell’ufficio legislativo del Ministero della Salute non solo perché risancisce l’importanza delle relazioni con la famiglia, ma perché apre alla necessità di costruire relazioni più importanti e mature con il volontariato, in grado di costruire nuove relazioni e responsabilità.
Sì, costruire una nuova identità alle residenze per anziani, resterà la sfida del prossimo decennio.
SALUTE
Eventi e Cultura
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«Semi di CURA»
indaga questo e lo racconta ogni ultimo venerdì del mese.
Mi corre l’obbligo di correlare il termine contenzione farmacologica con il pregiudizio tremendo che comporta per un malato di Alzheimer se protratte 24/7 per 3 settimane ” induzione alla infermità permanente”, la vittima non deambula più. Da lì tutto precipita.
Trovo incredibile ed allo stesso tempo un grande sollievo vedere scritto quello nessun medico ( eccetto dr. Franco Toscani) ha osato pronunciare : CONTENZIONE CHIMICA ( o farmacologica), uscita dalla porta ma tuttora praticata con disinvoltura e per comodità a discapito della vittima umana. Bene. Grazie.