L’integrazione sociosanitaria nel Centro Servizi Albertoni Savioli di Bologna è la condizione in cui la molteplicità diventa, ed agisce, come unità.
Tale descrizione, evidenzia fin da subito che la condizione di Integrazione è una dimensione vitale, intrinsecamente legata al movimento, all’azione, che non è mai definitiva, ma che ha necessità di essere ri-creata giorno per giorno.
L’integrazione sociosanitaria come esibizione di un’orchestra sinfonica
Per chiarire il nostro concetto di integrazione sociosanitaria, possono venire in aiuto alcune immagini. Proviamo dunque a rappresentarla metaforicamente, in una dimensione dinamica, come se fosse lo spazio e il tempo dell’esibizione di un’orchestra sinfonica.
Tale immagine ha il vantaggio di rappresentare sia la componente professionale presente all’interno dell’orchestra, con diversi strumentisti che suonano strumenti diversi leggendo spartiti diversi, dando vita tuttavia ad un’unica sinfonia; nonché quella personale, ovvero che, a seconda di chi suona lo strumento, può essere realizzata un’armonia di suoni più o meno vicina all’esecuzione ideale per chi la ascolta, per chi la suona e per chi la dirige.
Gli spartiti che ogni professionista segue sono come i nostri piani di lavoro, con modalità definite e organizzate a priori per esibirsi; tuttavia la musica lascia spazio anche alle “improvvisazioni”, ovvero agli inserimenti di ogni singolo strumentista all’interno della armonia di base, che danno all’esecuzione un arricchimento ulteriore.
L’inserimento delle “improvvisazioni” è parimenti simbolo di un’attribuzione ad ogni strumentista di un ruolo non di semplice esecutore, bensì di professionista capace sia di eseguire magistralmente quanto stabilito nello spartito, sia di integrare il proprio contributo personale all’interno di un’esibizione ogni volta originale.
Detto fuori di metafora: ogni professionista non è un mero esecutore di piani assistenziali, un ri-produttore di assistenza, bensì un artigiano/artista dell’assistenza, che ogni giorno mette in campo atti di cura unici e originali, realizzando nel contempo sé stesso.
Come coltivare l’integrazione sociosanitaria nell’operatività
Come si diceva, l’integrazione è una creazione che di turno in turno deve essere realizzata da parte di tutti i professionisti presenti. Sono quindi fondamentali le modalità con cui le figure di responsabilità e di riferimento (nel nostro caso: RCS, RAA, RAS, MdS, Animatore e Fisioterapista) creano continuamente una funzionale condizione di comunicazione e cooperazione dentro e attorno all’équipe.
A questo proposito occorre tenere a riferimento il principio per cui:
“la comunicazione è efficace quando riesce a massimizzare la comprensione e minimizzare la confusione”.
Questo diventa particolarmente importante nel passaggio di consegne all’inizio del turno: in questa fase è importante che tutte le figure professionali utilizzino modalità di comunicazione che, appunto, massimizzano la comprensione e minimizzano la confusione.
Quindi uno spazio-tempo che sia nel contempo efficiente ed efficace, ovvero la cui durata sia quella strettamente necessaria e coerente con il tempo di attenzione fisiologico, e la modalità veda tutti i partecipanti centrati sulla condivisione di informazioni, e definizione di situazioni incerte.
Successivamente, durante il turno, è rilevante che le figure professionali presenti compiano alcune attività attraverso una collaborazione diretta.
Si citano come esempi: OSS e infermiere che insieme eseguono le medicazioni; OSS e fisioterapista che insieme eseguono l’alzata; infermieri e OSS che insieme eseguono l’igiene. Ciò nei casi in cui, per il benessere della persona assistita, sia utile che le attività vengano svolte in forma multi-professionale. Il “ben-fare insieme” può infatti creare nel tempo le condizioni per una migliore comprensione e cooperazione.
Durante il turno, infine, è molto utile creare un momento di briefing, durante il quale 4/5 figure multi professionali si parlano, condividendo informazioni e valutazioni relative agli assistiti o all’organizzazione delle attività, nello spazio-tempo di un caffè (15/20 minuti al massimo), sedendosi attorno ad un tavolo, in una modalità sì informale, senza OdG e verbali, ma assai sostanziale.
L’integrazione sociosanitaria come puzzle
All’immagine dell’orchestra sinfonica è utile affiancarne un’altra, più statica, ma che consente di rappresentare un aspetto rilevante da presidiare nel processo di interazione e relazione tra le varie figure professionali: la rappresentazione dell’integrazione attraverso il puzzle.
Ci si basa in questo caso su uno dei principi fondanti dei gruppi di lavoro:
“la capacità di un gruppo integrato di realizzare risultati, è maggiore della semplice somma dei contributi di ogni componente”.Il puzzle contiene la rappresentazione evidente di tale concetto: ogni pezzo del puzzle ha una sua area di pertinenza, una sua collocazione, una forma definita, con linee e colori che lo rendono unico, ma è solo nella unione di tutte le parti che emerge la figura del puzzle, che si ottiene attraverso i pezzi, ma che non appartiene ad alcun pezzo.
Per ottenere questo risultato è necessario utilizzare la dimensione orizzontale, in cui ricercare le modalità di incastro funzionale dei pezzi.
Se mettiamo i pezzi uno sopra l’altro, utilizzando la dimensione verticale, non otterremo nessun valore aggiunto, ma appunto solo una semplice sommatoria dei pezzi, in cui vedremo solo la forma, i colori e le linee del primo pezzo e poco altro.
La dimensione orizzontale nella redazione dei PAI
La dimensione funzionale dell’orizzontalità diventa evidente nelle riunioni d’equipe multidisciplinari finalizzate alla redazione dei PAI.
In questi spazi e tempi di incontro e condivisione, ogni figura apporta, con identica valenza e valore assistenziale, le proprie informazioni sulla valutazione delle condizioni attuali, le ipotesi in merito agli obbiettivi principali perseguibili nel periodo successivo e definisce quali siano le modalità/strategie assistenziali migliori, per il perseguimento dei risultati che tutti insieme ci si è posti.
È questa la situazione ove la condivisione e la cooperazione diventano ancor più evidenti; ove il contributo del Medico si affianca a quello dell’OSS, il punto di vista del Fisioterapista si mescola con quello della RAA, l’apporto dell’infermiere si amalgama con quello dell’animatore.
È la dimensione in cui si cerca costantemente la realizzazione di quell’”unicità di intenti e univocità di atteggiamenti”, che rappresenta il fondamento di ogni gruppo di lavoro che agisce in modo integrato.
L’orizzontalità è quindi una dimensione fondamentale per creare le condizioni affinché l’integrazione funzionale si realizzi.
Quali persone rappresentano i “pezzi del puzzle”
Nella metafora del puzzle si evidenzia anche l’eventualità di frizioni che si possono creare, mentre si cerca costantemente di far combaciare perfettamente i pezzi.
Occorre spesso provare, riprovare e ricercare la modalità di affiancarli/si in modo funzionale, affinché emerga armoniosamente la figura che hanno nel loro potenziale, ovvero affinché si crei quella condizione nel gruppo di lavoro di un risultato che è di più della semplice sommatoria delle singole parti.
Occorre essere capaci, motivati, proattivi nell’interagire, nel negoziare, affrontando e risolvendo i contrasti, evitando così che diventino conflitti.
La metafora del puzzle porta con sé lo svantaggio della fissità, come dicevamo. Pare infatti che una volta creato il puzzle intero, lo si possa incollare, incorniciare e attaccare al muro. Nelle realtà operative ovviamente non è così: il puzzle si crea ad ogni turno e al termine del turno si scompone, per lasciare posto a un altro puzzle.
I “pezzi” del puzzle sono sia le figure professionali presenti, sia le persone che ricoprono quelle figure, coloro che indossano le varie divise. Ogni persona crea una differenza; per dirla in termini di senso comune: nessuno è indispensabile, ognuno fa la differenza.
In questa metafora anche i professionisti che fanno parte del servizio in modo discontinuo, come la parrucchiera, il podologo, o quelli che ne fanno parte tangenzialmente come le guardarobiere, il manutentore, le addette alla reception, le addette alle pulizie, nonché i famigliari che entrano e danno la loro forma al servizio mentre ci sono, sono tutti pezzi del puzzle che compone il servizio.
E in questo senso è compito dei professionisti continuativamente presenti riuscire ad armonizzare la loro presenza e a mantenere attive con tutte queste persone la dimensione della comunicazione e della relazione, affinché entrino a far parte del servizio con la “cognizione di causa a loro necessaria”.
L’integrazione sociosanitaria come corpo umano
Infine, un’ulteriore utile metafora per rappresentare una condizione di integrazione ideale è quella del corpo umano, dove vi sono tanti organi; ognuno occupa un suo spazio, ha sue dimensioni e funzioni proprie.
Nessun organo, per la vita dell’organismo, è più importante di un altro. Tutti sono fondamentali.
Ciò che rende l’organismo funzionante, in equilibrio, in grado di esprimere al meglio le sue potenzialità, sono le connessioni, ovvero le vene, le arterie e i nervi, che consentono di trasmettere da organo a organo, informazioni in modo bidirezionale, nonché energia e nutrimento.
Questa rappresentazione consente di visualizzare immediatamente la fondamentale importanza delle connessioni tra tutte le persone che compongono e realizzano il servizio nel Centro Servizi momento dopo momento, al di là del ruolo specifico.
La connessione al nostro interno, ovvero tra ruoli e ruoli, attraverso la scrittura delle consegne, la stesura dei PAI, le definizione di progetti e altro ancora, e soprattutto, la loro diffusione ai ruoli interessati dell’equipe, è una parte fondamentale per creare e mantenere condizioni di connessione e dunque di condivisione e cooperazione.
La comunicazione tra professionisti e famigliari
Allo stesso modo è importante mantenere con consapevolezza la comunicazione con i famigliari, i volontari e le altre aree aziendali (perché il Centro Servizi Albertoni Savioli è parte anche di un organismo più ampio, come è ASP Città di Bologna, ed è fondamentale mantenere funzionali le interazioni con le parti che la compongono).
Ciò significa, nella relazione con i famigliari, assumere professionalmente come riferimento per l’interazione con loro, un principio mutuato e trasformato dal sistema qualità:
“Ogni cliente ha sempre le sue ragioni; e a noi interessa conoscerle”.Ciascun professionista deve quindi porsi costantemente in ascolto delle ragioni che ogni familiare porta, delle domande che pone, delle aspettative sul servizio che esprime.
Ascoltare è la prima e fondamentale fase delle relazioni, per capire e conoscere le ragioni che sottostanno alle argomentazioni di chi ci parla.
Ascoltando, comprendiamo correttamente le domande che pone, e di conseguenza chi è il ruolo “giusto” a cui indirizzare il famigliare, sia per ottenere risposte esaustive, sia per potersi confrontare adeguatamente sulle aspettative che esterna.
La comunicazione dei professionisti con i famigliari deve infatti tendere a ridurre l’asimmetria informativa che naturalmente pervade le relazioni tra “noi e loro”; ovvero deve far percepire ad ogni famigliare, in ogni momento, che il nostro essere in relazione con loro è connotato dal voler ridurre le distanze, creare una maggior vicinanza.
Tale condizione è basilare, e nel contempo propedeutica, per realizzare le migliori condizioni affinché si sviluppi la relazione di alleanza terapeutica (per la cura) tra noi, équipe di professionisti, e loro, persone che vivono un legame emotivo profondamente significativo con l’anziano.
È nella sinergia tra le nostre valutazioni professionali e le loro storie relazionali, che si creano le migliori condizioni di benessere possibile per ogni persona anziana di cui, insieme, “abbiamo cura” ogni giorno.
La relazione che creiamo con i famigliari, anche e soprattutto attraverso i momenti di comunicazione con loro, rappresenta il frutto che nasce e matura attraverso il “tempo di cura”, che non può prescindere dall’esigenza di un linguaggio equilibrato e trasparente.
Dare significato al lavoro dei professionisti
Infine mi preme spendere alcune parole per mostrare come anche gli anziani stessi sono coinvolti nella dimensione del corpo umano del Centro Servizi Albertoni Savioli.
Così come in un corpo una situazione di disfunzionalità, carenza, sofferenza di un organo si riflette inevitabilmente sull’intero organismo, anche nei nostri servizi se anche un solo residente, vive una condizione di mal-assistenza, trascuratezza, disconferma relazionale, tutto l’organismo ne risentirà nel proprio equilibrio.
Per poter creare quotidianamente una condizione di integrazione ideale, ogni persona anziana deve sentirsi al centro della creazione del miglior servizio possibile, stante le sue condizioni, bisogni, esigenze.
Fondamentalmente nessun OSS è presente nel Centro Servizi con lo scopo di cambiare un pannolone, imboccare, accompagnare in bagno; nessun Infermiere in turno persegue la finalità di somministrare terapie, medicare lesioni, inserire cateteri; nessun Fisioterapista dà un senso alla sua presenza attraverso le mobilizzazioni, la deambulazione assistita, le elettroterapie…
Tutte queste sono certo azioni necessarie e indispensabili da compiere, perché sono i mezzi per realizzare il fine delle loro azioni, ovvero: creare in ogni turno, come artigiani/artisti dell’assistenza, il miglior servizio possibile per ogni persona presente, affinché possano tutti sentire e vivere il benessere delle nostre creazioni.
Si utilizza spesso il temine “senso di appartenenza” come rappresentazione di una condizione ottimale in cui portare ogni professionista a sentirsi parte di un gruppo o di un’azienda.
Riteniamo che vi sia però ancor prima e ancor più a fondo, il “senso di significanza”, condizione fondamentale per sviluppare un senso di appartenenza.
Il senso di significanza consiste nel percepire nella quotidianità del proprio essere e stare dentro al gruppo, che davvero nessuno è indispensabile ma che ognuno, compreso me, fa la differenza; è il poter verificare che le condizioni organizzative in cui mi muovo professionalmente e personalmente in ogni turno, contengono le condizioni per raccogliere anche il mio contributo; è lo sperimentare che il mio agire e creare assistenza, diventa parte unica, originale e irripetibile di quello spazio e tempo del servizio in cui ero presente.
Siamo noi, gli artigiani, gli artisti, i professionisti dell’assistenza, che conviviamo quotidianamente con ogni anziano, a far percepire ad ognuno di loro di essere “in relazione” con ognuno di noi, a farli sentire presenti e vivi, a creare per loro la nostra miglior sinfonia di cui siamo capaci tutti insieme in ogni turno… e sono loro a dare un senso al nostro suonare… d’altronde, un albero che cade nella foresta, fa davvero rumore ?
Una convinzione salda che mi arriva dall’essere e dal vivere il ruolo di responsabile di servizi educativi prima e socio assistenziali poi da oramai 32 anni, è che sia indispensabile creare e condividere cultura con le équipe.
Ritengo che immaginare, progettare e realizzare insieme alle équipe, percorsi di rivisitazione metodologica, redazione di linee guida, stesura di manifesti dei valori e convinzioni che ci appartengono, sia una delle strade da percorrere per crescere, migliorare ed evolvere attraverso il tempo e attraversando lo spazio della scoperta.
Vogliamo essere esploratori, navigatori nel mare del “non ancora”.
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L’integrazione sociosanitaria nel Centro Servizi Albertoni Savioli di Bologna è la condizione in cui la molteplicità diventa, ed agisce, come unità.
Tale descrizione, evidenzia fin da subito che la condizione di Integrazione è una dimensione vitale, intrinsecamente legata al movimento, all’azione, che non è mai definitiva, ma che ha necessità di essere ri-creata giorno per giorno.
L’integrazione sociosanitaria come esibizione di un’orchestra sinfonica
Per chiarire il nostro concetto di integrazione sociosanitaria, possono venire in aiuto alcune immagini. Proviamo dunque a rappresentarla metaforicamente, in una dimensione dinamica, come se fosse lo spazio e il tempo dell’esibizione di un’orchestra sinfonica.
Tale immagine ha il vantaggio di rappresentare sia la componente professionale presente all’interno dell’orchestra, con diversi strumentisti che suonano strumenti diversi leggendo spartiti diversi, dando vita tuttavia ad un’unica sinfonia; nonché quella personale, ovvero che, a seconda di chi suona lo strumento, può essere realizzata un’armonia di suoni più o meno vicina all’esecuzione ideale per chi la ascolta, per chi la suona e per chi la dirige.
Gli spartiti che ogni professionista segue sono come i nostri piani di lavoro, con modalità definite e organizzate a priori per esibirsi; tuttavia la musica lascia spazio anche alle “improvvisazioni”, ovvero agli inserimenti di ogni singolo strumentista all’interno della armonia di base, che danno all’esecuzione un arricchimento ulteriore.
L’inserimento delle “improvvisazioni” è parimenti simbolo di un’attribuzione ad ogni strumentista di un ruolo non di semplice esecutore, bensì di professionista capace sia di eseguire magistralmente quanto stabilito nello spartito, sia di integrare il proprio contributo personale all’interno di un’esibizione ogni volta originale.
Detto fuori di metafora: ogni professionista non è un mero esecutore di piani assistenziali, un ri-produttore di assistenza, bensì un artigiano/artista dell’assistenza, che ogni giorno mette in campo atti di cura unici e originali, realizzando nel contempo sé stesso.
Come coltivare l’integrazione sociosanitaria nell’operatività
Come si diceva, l’integrazione è una creazione che di turno in turno deve essere realizzata da parte di tutti i professionisti presenti. Sono quindi fondamentali le modalità con cui le figure di responsabilità e di riferimento (nel nostro caso: RCS, RAA, RAS, MdS, Animatore e Fisioterapista) creano continuamente una funzionale condizione di comunicazione e cooperazione dentro e attorno all’équipe.
A questo proposito occorre tenere a riferimento il principio per cui:
“la comunicazione è efficace quando riesce a massimizzare la comprensione e minimizzare la confusione”.
Questo diventa particolarmente importante nel passaggio di consegne all’inizio del turno: in questa fase è importante che tutte le figure professionali utilizzino modalità di comunicazione che, appunto, massimizzano la comprensione e minimizzano la confusione.
Quindi uno spazio-tempo che sia nel contempo efficiente ed efficace, ovvero la cui durata sia quella strettamente necessaria e coerente con il tempo di attenzione fisiologico, e la modalità veda tutti i partecipanti centrati sulla condivisione di informazioni, e definizione di situazioni incerte.
Successivamente, durante il turno, è rilevante che le figure professionali presenti compiano alcune attività attraverso una collaborazione diretta.
Si citano come esempi: OSS e infermiere che insieme eseguono le medicazioni; OSS e fisioterapista che insieme eseguono l’alzata; infermieri e OSS che insieme eseguono l’igiene. Ciò nei casi in cui, per il benessere della persona assistita, sia utile che le attività vengano svolte in forma multi-professionale. Il “ben-fare insieme” può infatti creare nel tempo le condizioni per una migliore comprensione e cooperazione.
Durante il turno, infine, è molto utile creare un momento di briefing, durante il quale 4/5 figure multi professionali si parlano, condividendo informazioni e valutazioni relative agli assistiti o all’organizzazione delle attività, nello spazio-tempo di un caffè (15/20 minuti al massimo), sedendosi attorno ad un tavolo, in una modalità sì informale, senza OdG e verbali, ma assai sostanziale.
L’integrazione sociosanitaria come puzzle
All’immagine dell’orchestra sinfonica è utile affiancarne un’altra, più statica, ma che consente di rappresentare un aspetto rilevante da presidiare nel processo di interazione e relazione tra le varie figure professionali: la rappresentazione dell’integrazione attraverso il puzzle.
Ci si basa in questo caso su uno dei principi fondanti dei gruppi di lavoro:
“la capacità di un gruppo integrato di realizzare risultati, è maggiore della semplice somma dei contributi di ogni componente”.Il puzzle contiene la rappresentazione evidente di tale concetto: ogni pezzo del puzzle ha una sua area di pertinenza, una sua collocazione, una forma definita, con linee e colori che lo rendono unico, ma è solo nella unione di tutte le parti che emerge la figura del puzzle, che si ottiene attraverso i pezzi, ma che non appartiene ad alcun pezzo.
Per ottenere questo risultato è necessario utilizzare la dimensione orizzontale, in cui ricercare le modalità di incastro funzionale dei pezzi.
Se mettiamo i pezzi uno sopra l’altro, utilizzando la dimensione verticale, non otterremo nessun valore aggiunto, ma appunto solo una semplice sommatoria dei pezzi, in cui vedremo solo la forma, i colori e le linee del primo pezzo e poco altro.
La dimensione orizzontale nella redazione dei PAI
La dimensione funzionale dell’orizzontalità diventa evidente nelle riunioni d’equipe multidisciplinari finalizzate alla redazione dei PAI.
In questi spazi e tempi di incontro e condivisione, ogni figura apporta, con identica valenza e valore assistenziale, le proprie informazioni sulla valutazione delle condizioni attuali, le ipotesi in merito agli obbiettivi principali perseguibili nel periodo successivo e definisce quali siano le modalità/strategie assistenziali migliori, per il perseguimento dei risultati che tutti insieme ci si è posti.
È questa la situazione ove la condivisione e la cooperazione diventano ancor più evidenti; ove il contributo del Medico si affianca a quello dell’OSS, il punto di vista del Fisioterapista si mescola con quello della RAA, l’apporto dell’infermiere si amalgama con quello dell’animatore.
È la dimensione in cui si cerca costantemente la realizzazione di quell’”unicità di intenti e univocità di atteggiamenti”, che rappresenta il fondamento di ogni gruppo di lavoro che agisce in modo integrato.
L’orizzontalità è quindi una dimensione fondamentale per creare le condizioni affinché l’integrazione funzionale si realizzi.
Quali persone rappresentano i “pezzi del puzzle”
Nella metafora del puzzle si evidenzia anche l’eventualità di frizioni che si possono creare, mentre si cerca costantemente di far combaciare perfettamente i pezzi.
Occorre spesso provare, riprovare e ricercare la modalità di affiancarli/si in modo funzionale, affinché emerga armoniosamente la figura che hanno nel loro potenziale, ovvero affinché si crei quella condizione nel gruppo di lavoro di un risultato che è di più della semplice sommatoria delle singole parti.
Occorre essere capaci, motivati, proattivi nell’interagire, nel negoziare, affrontando e risolvendo i contrasti, evitando così che diventino conflitti.
La metafora del puzzle porta con sé lo svantaggio della fissità, come dicevamo. Pare infatti che una volta creato il puzzle intero, lo si possa incollare, incorniciare e attaccare al muro. Nelle realtà operative ovviamente non è così: il puzzle si crea ad ogni turno e al termine del turno si scompone, per lasciare posto a un altro puzzle.
I “pezzi” del puzzle sono sia le figure professionali presenti, sia le persone che ricoprono quelle figure, coloro che indossano le varie divise. Ogni persona crea una differenza; per dirla in termini di senso comune: nessuno è indispensabile, ognuno fa la differenza.
In questa metafora anche i professionisti che fanno parte del servizio in modo discontinuo, come la parrucchiera, il podologo, o quelli che ne fanno parte tangenzialmente come le guardarobiere, il manutentore, le addette alla reception, le addette alle pulizie, nonché i famigliari che entrano e danno la loro forma al servizio mentre ci sono, sono tutti pezzi del puzzle che compone il servizio.
E in questo senso è compito dei professionisti continuativamente presenti riuscire ad armonizzare la loro presenza e a mantenere attive con tutte queste persone la dimensione della comunicazione e della relazione, affinché entrino a far parte del servizio con la “cognizione di causa a loro necessaria”.
L’integrazione sociosanitaria come corpo umano
Infine, un’ulteriore utile metafora per rappresentare una condizione di integrazione ideale è quella del corpo umano, dove vi sono tanti organi; ognuno occupa un suo spazio, ha sue dimensioni e funzioni proprie.
Nessun organo, per la vita dell’organismo, è più importante di un altro. Tutti sono fondamentali.
Ciò che rende l’organismo funzionante, in equilibrio, in grado di esprimere al meglio le sue potenzialità, sono le connessioni, ovvero le vene, le arterie e i nervi, che consentono di trasmettere da organo a organo, informazioni in modo bidirezionale, nonché energia e nutrimento.
Questa rappresentazione consente di visualizzare immediatamente la fondamentale importanza delle connessioni tra tutte le persone che compongono e realizzano il servizio nel Centro Servizi momento dopo momento, al di là del ruolo specifico.
La connessione al nostro interno, ovvero tra ruoli e ruoli, attraverso la scrittura delle consegne, la stesura dei PAI, le definizione di progetti e altro ancora, e soprattutto, la loro diffusione ai ruoli interessati dell’equipe, è una parte fondamentale per creare e mantenere condizioni di connessione e dunque di condivisione e cooperazione.
La comunicazione tra professionisti e famigliari
Allo stesso modo è importante mantenere con consapevolezza la comunicazione con i famigliari, i volontari e le altre aree aziendali (perché il Centro Servizi Albertoni Savioli è parte anche di un organismo più ampio, come è ASP Città di Bologna, ed è fondamentale mantenere funzionali le interazioni con le parti che la compongono).
Ciò significa, nella relazione con i famigliari, assumere professionalmente come riferimento per l’interazione con loro, un principio mutuato e trasformato dal sistema qualità:
“Ogni cliente ha sempre le sue ragioni; e a noi interessa conoscerle”.Ciascun professionista deve quindi porsi costantemente in ascolto delle ragioni che ogni familiare porta, delle domande che pone, delle aspettative sul servizio che esprime.
Ascoltare è la prima e fondamentale fase delle relazioni, per capire e conoscere le ragioni che sottostanno alle argomentazioni di chi ci parla.
Ascoltando, comprendiamo correttamente le domande che pone, e di conseguenza chi è il ruolo “giusto” a cui indirizzare il famigliare, sia per ottenere risposte esaustive, sia per potersi confrontare adeguatamente sulle aspettative che esterna.
La comunicazione dei professionisti con i famigliari deve infatti tendere a ridurre l’asimmetria informativa che naturalmente pervade le relazioni tra “noi e loro”; ovvero deve far percepire ad ogni famigliare, in ogni momento, che il nostro essere in relazione con loro è connotato dal voler ridurre le distanze, creare una maggior vicinanza.
Tale condizione è basilare, e nel contempo propedeutica, per realizzare le migliori condizioni affinché si sviluppi la relazione di alleanza terapeutica (per la cura) tra noi, équipe di professionisti, e loro, persone che vivono un legame emotivo profondamente significativo con l’anziano.
È nella sinergia tra le nostre valutazioni professionali e le loro storie relazionali, che si creano le migliori condizioni di benessere possibile per ogni persona anziana di cui, insieme, “abbiamo cura” ogni giorno.
La relazione che creiamo con i famigliari, anche e soprattutto attraverso i momenti di comunicazione con loro, rappresenta il frutto che nasce e matura attraverso il “tempo di cura”, che non può prescindere dall’esigenza di un linguaggio equilibrato e trasparente.
Dare significato al lavoro dei professionisti
Infine mi preme spendere alcune parole per mostrare come anche gli anziani stessi sono coinvolti nella dimensione del corpo umano del Centro Servizi Albertoni Savioli.
Così come in un corpo una situazione di disfunzionalità, carenza, sofferenza di un organo si riflette inevitabilmente sull’intero organismo, anche nei nostri servizi se anche un solo residente, vive una condizione di mal-assistenza, trascuratezza, disconferma relazionale, tutto l’organismo ne risentirà nel proprio equilibrio.
Per poter creare quotidianamente una condizione di integrazione ideale, ogni persona anziana deve sentirsi al centro della creazione del miglior servizio possibile, stante le sue condizioni, bisogni, esigenze.
Fondamentalmente nessun OSS è presente nel Centro Servizi con lo scopo di cambiare un pannolone, imboccare, accompagnare in bagno; nessun Infermiere in turno persegue la finalità di somministrare terapie, medicare lesioni, inserire cateteri; nessun Fisioterapista dà un senso alla sua presenza attraverso le mobilizzazioni, la deambulazione assistita, le elettroterapie…
Tutte queste sono certo azioni necessarie e indispensabili da compiere, perché sono i mezzi per realizzare il fine delle loro azioni, ovvero: creare in ogni turno, come artigiani/artisti dell’assistenza, il miglior servizio possibile per ogni persona presente, affinché possano tutti sentire e vivere il benessere delle nostre creazioni.
Si utilizza spesso il temine “senso di appartenenza” come rappresentazione di una condizione ottimale in cui portare ogni professionista a sentirsi parte di un gruppo o di un’azienda.
Riteniamo che vi sia però ancor prima e ancor più a fondo, il “senso di significanza”, condizione fondamentale per sviluppare un senso di appartenenza.
Il senso di significanza consiste nel percepire nella quotidianità del proprio essere e stare dentro al gruppo, che davvero nessuno è indispensabile ma che ognuno, compreso me, fa la differenza; è il poter verificare che le condizioni organizzative in cui mi muovo professionalmente e personalmente in ogni turno, contengono le condizioni per raccogliere anche il mio contributo; è lo sperimentare che il mio agire e creare assistenza, diventa parte unica, originale e irripetibile di quello spazio e tempo del servizio in cui ero presente.
Siamo noi, gli artigiani, gli artisti, i professionisti dell’assistenza, che conviviamo quotidianamente con ogni anziano, a far percepire ad ognuno di loro di essere “in relazione” con ognuno di noi, a farli sentire presenti e vivi, a creare per loro la nostra miglior sinfonia di cui siamo capaci tutti insieme in ogni turno… e sono loro a dare un senso al nostro suonare… d’altronde, un albero che cade nella foresta, fa davvero rumore ?
Una convinzione salda che mi arriva dall’essere e dal vivere il ruolo di responsabile di servizi educativi prima e socio assistenziali poi da oramai 32 anni, è che sia indispensabile creare e condividere cultura con le équipe.
Ritengo che immaginare, progettare e realizzare insieme alle équipe, percorsi di rivisitazione metodologica, redazione di linee guida, stesura di manifesti dei valori e convinzioni che ci appartengono, sia una delle strade da percorrere per crescere, migliorare ed evolvere attraverso il tempo e attraversando lo spazio della scoperta.
Vogliamo essere esploratori, navigatori nel mare del “non ancora”.