Di Roberta Lenzi, Infermiera, felicitatrice, formatrice del Sente-mente® modello.
L’esperienza del dolore appartiene al vissuto di ognuno di noi, che esprimiamo attraverso modalità estremamente individuali e intime. Parlare di dolore quindi ci conduce all’interno di una realtà comune e conosciuta. Il dolore “dell’altro” incontra la nostra sensibilità nella misura in cui scegliamo di portare lo sguardo all’essenza delle persone racchiuse in quei corpi debilitati e sofferenti di cui abbiamo cura. Intraprendiamo ora insieme un viaggio all’interno di questa tematica, con l’intento di aprire nuovi spiragli di consapevolezza, per crescere umanamente e professionalmente.
È urgente sviluppare competenza nella rilevazione dell’esperienza del dolore, per dare risposte assistenziali adeguate.
Riproponiamo di seguito l’articolo sulla contenzione uscito sul numero 15 di CURA, Settembre 2023
Che cosa è il dolore? Come si manifesta l’esperienza del dolore?
La definizione di IASP (International Association for the Study of Pain) risalente al 1979, che definisce il dolore come un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta in rapporto a tale danno, è stata recentemente riformulata (2018) per descrivere tale esperienza in modo più completo e accurato.
Si è presa consapevolezza, infatti, che la definizione precedente escludeva tutti coloro che non sono in grado di esprimere verbalmente il loro dolore. L’aggiunta di sei note integrative consente di descrivere meglio le sfumature e la complessità dell’esperienza dolorosa, «sottolineando cioè le tre dimensioni interconnesse al dolore: biologica, psicologica, sociale e la natura personale appresa di quell’esperienza nonché mettendo in evidenza come il dolore possa avere effetti negativi sulla funzionalità e sul benessere sociale e psicologico»:1
- Il dolore è sempre un’esperienza personale influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali
- Il dolore e la nocicezione sono fenomeni diversi. Il dolore non può essere dedotto solo dall’attività neuro-sensoriale
- Le persone apprendono il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita
- Il racconto di un’esperienza come dolorosa dovrebbe essere rispettato
- Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattativo, può avere effetti negativi sulla funzionalità e il benessere sociale e psicologico
- La descrizione verbale è solo uno dei numerosi modi per esprimere il dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale provi dolore.
Il dolore cronico nella persona anziana
Con l’avanzare dell’età l’esperienza del dolore è una realtà con la quale gran parte della popolazione si trova a convivere. È spesso generato da patologie potenzialmente debilitanti e da fattori psico-sociali che modulano la percezione e la risposta al dolore. In generale gli studi epidemiologici dell’American Geriatric Society concordano nell’evidenziare una prevalenza del dolore cronico nella popolazione anziana che varia tra il 25 e il 50%, mentre nei soggetti istituzionalizzati la percentuale sale al 45-80%. Inoltre, la prevalenza del dolore è proporzionale all’aumento del livello di dipendenza funzionale e viene potenziato nelle situazioni di solitudine.
Sappiamo identificare e valutare correttamente l’esperienza del dolore?
Nella pratica clinica, la valutazione del dolore nella persona anziana avviene attraverso l’utilizzo di scale di valutazione unidimensionali/autovalutative, che prendono cioè in considerazione una sola dimensione del dolore, ovvero l’intensità percepita e misurata dalla persona stessa: scala numerica, NRS (numerical rating scale); scala analogica visiva, VAS (visual analogic scale); scala quantitativa verbale, VRS (verbal rating scale).
Il self-report viene considerata la modalità di elezione per la valutazione del dolore, ma quando la presenza di disturbi cognitivi e del linguaggio limitano l’espressione del dolore, il personale di cura ha la necessità di sviluppare una sensibilità specifica nell’osservazione della persona per saper interpretare dei segni che resterebbero altrimenti indecifrati, o mal interpretati e quindi impropriamente trattati.
In assenza di una formazione specifica, la possibilità di identificare la causa del dolore e valutarne l’intensità si riduce, contribuendo a sottostimare e quindi a sotto-trattare la condizione dolorosa. Studi condotti in RSA inglesi e francesi hanno messo chiaramente in evidenza come la prescrizione di farmaci antalgici sia ridotta nelle persone con demenza rispetto ad altri residenti a parità di età e con patologie potenzialmente algogene, e come di contro vi sia un aumento di prescrizione di neurolettici e sedativi.
I risultati sottolineano quindi le difficoltà di valutare il dolore negli anziani con problemi cognitivi e la mancanza di conoscenza tra gli operatori sanitari sulla gestione efficace del dolore2.
Ma la persona con demenza sente dolore?
Il mondo scientifico si è posto questa domanda senza tuttavia raggiungere una linea univoca a tal proposito. Ciò che è certo è che non ci sono studi che mettano in evidenza una diversa percezione del dolore delle persone giovani rispetto agli anziani, anche se vivono con una diagnosi di demenza. Nel 2003 Edwards ha avanzato uno studio sul dolore evocato sperimentalmente in persone di età differenti che mette in evidenza come nell’anziano siano meno rappresentati e funzionali i meccanismi inibitori della nocicezione, arrivando alla conclusione che di fatto dovrebbe provare il dolore con maggiore intensità3.
Allo stesso tempo sopravvive però culturalmente l’idea infondata, basata su persistenti pregiudizi nei confronti delle persone anziane (ageismo), che con l’avanzare dell’età la percezione del dolore sia ridotta. Se poi la persona anziana vive con qualche forma di declino cognitivo, questo può essere considerato un elemento predittivo di sotto-trattamento del dolore che gli studi attribuiscono perlopiù alla mancata rilevazione da parte del personale di cura, sia per difficoltà della persona a segnalare e descrivere il proprio dolore sia per l’inabilità degli operatori sanitari a distinguere segni e comportamenti indicativi di dolore fisico.
Letizia Espanoli nel suo libro Disturba chi?4 afferma che il dolore non trova riscontro in marcatori biologici oggettivi che ne definiscano la presenza e la gravità. La persona con demenza, dolorante, esprime il suo dolore acuendo spesso i suoi disturbi del comportamento. È quindi necessario cambiare il nostro sguardo di professionisti della cura per leggere i comportamenti delle persone con demenza non come “sintomi” di malattia (concetto fuorviante che riconduce ogni espressione corporea alla diagnosi iniziale impoverendoci dell’abilità di porci domande significative rispetto alle circostanze e lasciandoci privi di strumenti di intervento), ma come linguaggio da interpretare e da comprendere, il miglior modo di cui la persona dispone per raccontare il suo “sentire”. Una visione che porta con sé il valore aggiunto dell’umanità della cura.
Alla luce di questo diverso paradigma, è urgente porsi a osservare la persona da una prospettiva di ricerca e utilizzare strumenti di valutazione del dolore adeguati a dare giuste risposte alle richieste di chi “non ha voce”, sviluppando consapevolezza rispetto al fatto che un dolore non trattato è spesso origine dei cosiddetti “disturbi del comportamento” (aggressività, agitazione/irrequietezza, attività motoria ripetitiva, ansia, depressione, vagabondaggio afinalistico, disturbi del sonno, psicosi).
Ma la persona come ci racconta il suo dolore?
«Luigi giace nel suo letto, è irrequieto e aggredisce verbalmente e fisicamente gli operatori che si accostano a lui. Lucia da qualche giorno ha perso l’appetito, assaggia e poi rifiuta il cibo con vigore. Carmela evita di stare in compagnia, si isola e rimane in silenzio nella sua stanza con lo sguardo cupo. Ettore verso sera cammina incessantemente alla ricerca di qualcosa, fatica a prendere sonno. Elena grida senza tregua e afferra chiunque le passi accanto…».
Cosa sta accadendo? Quale connessione esiste tra questi comportamenti e il dolore? Il dolore non è una semplice percezione, ma è un’esperienza sensoriale complessa che ha in sé anche una componente affettiva. Il dolore fisico è sempre accompagnato da una vasta gamma di emozioni come angoscia, paura, rabbia, impotenza, che la persona con demenza vive in tutta la loro intensità senza prospettiva di cambiamento, e che esprime attraverso il linguaggio universale del comportamento.
Quindi, ogni espressione corporea che si discosta da quelle abituali deve risvegliare nel professionista della cura il sospetto della presenza di dolore.
La sfida è identificarlo rapidamente in modo da preservare le persone di cui si ha cura dalle disastrose conseguenze di un mancato riconoscimento quali depressione, disturbi del sonno, riduzione del movimento fino all’immobilità e riduzione della socializzazione. Il professionista che porta il focus su questo aspetto restituisce alle persone con demenza, in primo luogo, la dignità di esseri umani, contribuendo ad abbattere lo stigma che ancora sommerge loro di pregiudizi, e in secondo luogo compie il primo passo nella direzione della riduzione dei disturbi del comportamento strettamente correlati alla presenza di dolore.
1 Milton Cohen, St. Vincent’s Clinical School, UNSW Medicine, Sydney.
2 Analgesic drug prescription and use in cognitively impaired nursing home residents Horgas et al. Nurs Res, 1998, 47: 235-42
3 Edwards RR, Fillingim RB, Ness TJ. Age-related differences in endogenous pain modulation: a comparison of diffuse noxious inhibitory controls in healthy older and younger adults. Pain. 2003 Jan: 101(1-2): 155-65.
4 L. Espanoli “Disturba Chi? Sente-mente Quaderni”- www.letiziaespanoli.com
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