Il numero 13 di Rivista Cura affronterà il tema dei desideri in RSA, dal punto di vista di ospiti, personale e dirigenti. Le interviste che abbiamo condotto mettono in evidenza le aspettative e i desideri delle persone con cui abbiamo avuto occasione di confrontarci. Nonostante i ruoli diversi dei vari intervistati, molti sono i punti in comune che sono emersi rispetto agli aspetti che influirebbero positivamente sulla qualità della vita in struttura.
Ringraziamo Francesca Poletti, Assistente sociale e coordinatrice servizi sociosantari, Coop. G. di Vittorio (di Massa Carrara) per aver voluto condividere con noi alcune riflessioni sull’argomento.
Buongiorno, inizio chiedendole di raccontare ai nostri lettori di cosa si occupa, e da quanto tempo svolge questo lavoro.
Sono socia della cooperativa Di Vittorio dal 2006. Ho iniziato come coordinatrice di assistenza domiciliare. Successivamente ho fatto la mia esperienza in RSA, per tornare poi felicemente – per scelta e grazie al supporto e alla disponibilità dei miei Responsabili – a coordinare servizi domiciliari. Lavoro a Massa Carrara coordinando servizi per persone fragili, anziane, disabili, prevalentemente non autosufficienti.
Era un suo desiderio o sogno svolgere questo lavoro, oppure sono state altre cause a portarla in questo ambito?
Sono arrivata in cooperativa per scelta e ci sono rimasta in questi anni, sempre per scelta. Sono assistente sociale e mi sento riconosciuta nelle mie competenze e qualità. Trovo che la mia personalità si esprima pienamente nel lavoro e nel gruppo in cui lavoro. A volte neanche mi sembra di star lavorando.
Pensa di conoscere quelli che potrebbero essere i desideri dei residenti della RSA?
Quello che faccio quotidianamente è tentare di dirigere l’attenzione di tutti gli operatori soprattutto verso i desideri individuali. Penso che l’organizzazione del lavoro può e deve dirigersi verso questo obiettivo. Per esempio: ho bisogno di assistenza e ho l’abitudine a svegliarmi tardi? Che io sia in RSA, casa, ospedale, è necessario che le risorse attorno a me garantiscano di assistermi nei turni successivi al primo. Si può fare.
E quanto è importante, secondo lei, ascoltare i desideri del personale?
Moltissimo: un lavorate felice è un lavoratore che rende e soprattutto ascolta gli altri. E anche qui, si può andare incontro alle variabili, alle esigenze familiari, alle preferenze. Nei limiti del possibile, perché no? Coordinamento può essere inteso come uso spontaneo ma organizzato di fantasia, a ogni livello. Un operatore frustrato, arrabbiato, come potrà essere capacitante verso una persona fragile?
Ricorda qualche caso in cui i bisogni dell’organizzazione hanno reso difficile andare incontro ai desideri delle persone che la abitano?
In RSA i tempi di vita e di organizzazione ogni tanto stridono. Ricordo Laura. Lei voleva mangiare ogni giorno più tardi degli orari di struttura. Ma il turno è serrato, come si fa? Dopo il pranzo ci sono le messe a letto, l’igiene… un po’ come una catena di montaggio. Purtroppo i miei ricordi di conciliazione di tempi di vita e lavoro in RSA non sono sempre felici. In quel caso abbiamo però raggiunto un compromesso con la cucina, e spostato di una mezz’ora l’entrata dell’animatrice. Quando il pranzo era semplice da scaldare lo avrebbe preso lei stessa dalla cucina, per portarlo nella camera di Laura. Una volontaria si era resa disponibile ad aiutare. Purtroppo questo non accade tutti i giorni. Ci vuole coraggio, volontà e tanta forza verso il gruppo e le sue dinamiche. In assistenza domiciliare queste difficoltà non esistono. I tempi di vita diventano i nostri tempi.
Un familiare oggi mi ha detto: «Mia mamma non ha più ritmi regolari, si potrebbe darle qualcosa quando venite voi? Potreste venire alle 13 e 30, visto che le viene fame a quell’ora».
Per me si poteva, certo, ma con l’accortezza di ruotare gli operatori per non appesantire troppo il loro turno. Quando gliel’ho proposto ha detto che gli andava bene, e quasi piangeva nel ringraziarmi. Nei casi come questo ci vuole la competenza delle domiciliari a scrivere buone consegne, senza far pesare il turn over sull’utenza.
Nella sua opinione, quali sono gli ingredienti fondamentali per un’organizzazione che voglia essere sempre più capace, in maniera concreta, di fare spazio ai desideri di tutti i suoi “abitanti”?
Elementi come volontà, fantasia, energia positiva. Credere fermamente nell’autodeterminazione di ognuno di noi. Dialogo a ogni livello e non sentirsi “braccati” ma liberi di esprimersi. Saper trovare modi condivisi per evitare stress inutili agli operatori. Ascoltare, accogliere e riconoscere l’errore, non demonizzarlo, non nasconderlo. Avere interesse autentico per le storie di chiunque di noi, a ogni livello. Fare spazio al buon umore, innanzitutto, e concepire i vantaggi della responsabilità positiva gettandosi alle spalle la negatività della paura di sbagliare, di avere ritorsioni. E circondare operatori e utenza di una coperta di momenti felici e di assertività autentica.
Quale sarebbe il suo più grande desiderio se fosse responsabile di una RSA, e quali sono le sue aspettative e speranze in qualità di responsabile di assistenza domiciliare?
Se fossi direttrice di RSA, il mio desiderio sarebbe quello di avere un medico interno alla RSA (e non ventimila), una caposala per il personale infermieristico, una referente per gli OSS, un supporto amministrativo. Ci vorrebbero risorse umane da destinare alle attività che ognuno sceglie di fare. Vorrei che sparissero i parametri, che tanto imprigionano chi lavora in RSA: un buon sistema sa come diminuire o aumentare le risorse umane a seconda delle persone e dei loro bisogni, non a seconda del numero delle teste presenti.
Siccome sono una Responsabile di assistenza domiciliare, il mio sogno è che ogni domiciliare abbia la sua auto aziendale. In realtà tutti gli altri mille ostacoli al buon lavoro ce li sappiamo accogliere e risolvere. Con il buon umore e la costante ricerca della felicità, a ogni livello.
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Il numero 13 di Rivista Cura affronterà il tema dei desideri in RSA, dal punto di vista di ospiti, personale e dirigenti. Le interviste che abbiamo condotto mettono in evidenza le aspettative e i desideri delle persone con cui abbiamo avuto occasione di confrontarci. Nonostante i ruoli diversi dei vari intervistati, molti sono i punti in comune che sono emersi rispetto agli aspetti che influirebbero positivamente sulla qualità della vita in struttura.
Ringraziamo Francesca Poletti, Assistente sociale e coordinatrice servizi sociosantari, Coop. G. di Vittorio (di Massa Carrara) per aver voluto condividere con noi alcune riflessioni sull’argomento.
Buongiorno, inizio chiedendole di raccontare ai nostri lettori di cosa si occupa, e da quanto tempo svolge questo lavoro.
Sono socia della cooperativa Di Vittorio dal 2006. Ho iniziato come coordinatrice di assistenza domiciliare. Successivamente ho fatto la mia esperienza in RSA, per tornare poi felicemente – per scelta e grazie al supporto e alla disponibilità dei miei Responsabili – a coordinare servizi domiciliari. Lavoro a Massa Carrara coordinando servizi per persone fragili, anziane, disabili, prevalentemente non autosufficienti.
Era un suo desiderio o sogno svolgere questo lavoro, oppure sono state altre cause a portarla in questo ambito?
Sono arrivata in cooperativa per scelta e ci sono rimasta in questi anni, sempre per scelta. Sono assistente sociale e mi sento riconosciuta nelle mie competenze e qualità. Trovo che la mia personalità si esprima pienamente nel lavoro e nel gruppo in cui lavoro. A volte neanche mi sembra di star lavorando.
Pensa di conoscere quelli che potrebbero essere i desideri dei residenti della RSA?
Quello che faccio quotidianamente è tentare di dirigere l’attenzione di tutti gli operatori soprattutto verso i desideri individuali. Penso che l’organizzazione del lavoro può e deve dirigersi verso questo obiettivo. Per esempio: ho bisogno di assistenza e ho l’abitudine a svegliarmi tardi? Che io sia in RSA, casa, ospedale, è necessario che le risorse attorno a me garantiscano di assistermi nei turni successivi al primo. Si può fare.
E quanto è importante, secondo lei, ascoltare i desideri del personale?
Moltissimo: un lavorate felice è un lavoratore che rende e soprattutto ascolta gli altri. E anche qui, si può andare incontro alle variabili, alle esigenze familiari, alle preferenze. Nei limiti del possibile, perché no? Coordinamento può essere inteso come uso spontaneo ma organizzato di fantasia, a ogni livello. Un operatore frustrato, arrabbiato, come potrà essere capacitante verso una persona fragile?
Ricorda qualche caso in cui i bisogni dell’organizzazione hanno reso difficile andare incontro ai desideri delle persone che la abitano?
In RSA i tempi di vita e di organizzazione ogni tanto stridono. Ricordo Laura. Lei voleva mangiare ogni giorno più tardi degli orari di struttura. Ma il turno è serrato, come si fa? Dopo il pranzo ci sono le messe a letto, l’igiene… un po’ come una catena di montaggio. Purtroppo i miei ricordi di conciliazione di tempi di vita e lavoro in RSA non sono sempre felici. In quel caso abbiamo però raggiunto un compromesso con la cucina, e spostato di una mezz’ora l’entrata dell’animatrice. Quando il pranzo era semplice da scaldare lo avrebbe preso lei stessa dalla cucina, per portarlo nella camera di Laura. Una volontaria si era resa disponibile ad aiutare. Purtroppo questo non accade tutti i giorni. Ci vuole coraggio, volontà e tanta forza verso il gruppo e le sue dinamiche. In assistenza domiciliare queste difficoltà non esistono. I tempi di vita diventano i nostri tempi.
Un familiare oggi mi ha detto: «Mia mamma non ha più ritmi regolari, si potrebbe darle qualcosa quando venite voi? Potreste venire alle 13 e 30, visto che le viene fame a quell’ora».
Per me si poteva, certo, ma con l’accortezza di ruotare gli operatori per non appesantire troppo il loro turno. Quando gliel’ho proposto ha detto che gli andava bene, e quasi piangeva nel ringraziarmi. Nei casi come questo ci vuole la competenza delle domiciliari a scrivere buone consegne, senza far pesare il turn over sull’utenza.
Nella sua opinione, quali sono gli ingredienti fondamentali per un’organizzazione che voglia essere sempre più capace, in maniera concreta, di fare spazio ai desideri di tutti i suoi “abitanti”?
Elementi come volontà, fantasia, energia positiva. Credere fermamente nell’autodeterminazione di ognuno di noi. Dialogo a ogni livello e non sentirsi “braccati” ma liberi di esprimersi. Saper trovare modi condivisi per evitare stress inutili agli operatori. Ascoltare, accogliere e riconoscere l’errore, non demonizzarlo, non nasconderlo. Avere interesse autentico per le storie di chiunque di noi, a ogni livello. Fare spazio al buon umore, innanzitutto, e concepire i vantaggi della responsabilità positiva gettandosi alle spalle la negatività della paura di sbagliare, di avere ritorsioni. E circondare operatori e utenza di una coperta di momenti felici e di assertività autentica.
Quale sarebbe il suo più grande desiderio se fosse responsabile di una RSA, e quali sono le sue aspettative e speranze in qualità di responsabile di assistenza domiciliare?
Se fossi direttrice di RSA, il mio desiderio sarebbe quello di avere un medico interno alla RSA (e non ventimila), una caposala per il personale infermieristico, una referente per gli OSS, un supporto amministrativo. Ci vorrebbero risorse umane da destinare alle attività che ognuno sceglie di fare. Vorrei che sparissero i parametri, che tanto imprigionano chi lavora in RSA: un buon sistema sa come diminuire o aumentare le risorse umane a seconda delle persone e dei loro bisogni, non a seconda del numero delle teste presenti.
Siccome sono una Responsabile di assistenza domiciliare, il mio sogno è che ogni domiciliare abbia la sua auto aziendale. In realtà tutti gli altri mille ostacoli al buon lavoro ce li sappiamo accogliere e risolvere. Con il buon umore e la costante ricerca della felicità, a ogni livello.
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