L’ambiente sociale è uno spazio, non solo fisico, dove l’anziano, aiutato dal terapista occupazionale, può ritrovare le condizioni per una vita appagante. E diventa utile anche per alleviare il “carico” del caregiver
A cura di Angelo Cardarella (Terapista Occupazionale)
Dalla fragilità ai modelli psico-sociali per la demenza
Recenti definizioni qualificano la fragilità come quella combinazione di invecchiamento, di malattia e di altri fattori che, insieme, rendono fragili alcune persone. Altri hanno associato a questa anche una minore capacità di svolgere attività pratiche e sociali significative della vita quotidiana.
Invecchiando si va incontro a perdite di salute sia fisica sia psichica. Questi due ambiti, tuttavia, sono connessi e si influenzano reciprocamente. La sensazione che ha un anziano con problemi di salute di avere sotto controllo la situazione dipende dall’aiuto che riceve dall’ambiente sociale che lo circonda. In questo, anche piccoli cambiamenti possono turbare l’equilibrio dell’anziano, generando una reazione a catena che può in molti casi portare a un brusco peggioramento della sua situazione.
Il modello bio-psico-sociale della demenza (Revolta et al., 2016) afferma come l’espressione della demenza associata a un danno cerebrale possa essere influenzata da fattori psicologici, legati al tono dell’umore, ai tratti di personalità, alla storia di vita, alle preferenze personali, e da fattori sociali associati alle relazioni sociali e all’ambiente di vita (Mosconi et al., 2018).
Alla luce di questo modello, arricchito di ridefinizione della malattia dementigena, si evince come la definizione diagnostica e terapeutica costituisca un processo complesso, centrato sulla persona e allo stesso tempo globale, perché tiene conto di molteplici aspetti che possono avere un valore differenziale nell’evoluzione del quadro clinico.
Il MOHO (si veda l’articolo sottostante) è un modello olistico che si concentra sulla performance occupazionale della persona (occupation-based model) nel proprio ambiente sociale e fisico (context-based model) (Kawamata et al., 2012). Contiene concetti in grado di rendere il terapista occupazionale più consapevole della prospettiva e della situazione della persona e viene definito “client-centered”.
Ricordare un’attività che prima svolgeva con passione risveglia nell’anziano con demenza una sensazione di coinvolgimento e di motivazione che sfocia in un rinnovato desiderio di svolgere questa attività. È compito del terapista occupazionale capire quanto tale attività sia significativa per la persona, e insieme al suo caregiver, cercare altri aspetti su cui lavorare per far sì che l’anziano possa tornare a provare l’entusiasmo di un tempo.
Le attività e l’ambiente sociale: un’interazione favorita dal terapista occupazionale
L’obiettivo di questo modello è di far sì che l’anziano e il suo caregiver facciano le proprie scelte, aiutati dal terapista occupazionale e dal loro ambiente sociale. L’occupazione umana e l’ambiente si influenzano reciprocamente in modo costante. Il terapista occupazionale fornisce consulenza rispetto ad ausili utili che rendono l’ambiente fisico un ambiente sociale, adattamenti e altre modifiche che facilitino la cura o che aumentino l’autonomia e la partecipazione della persona con demenza. Ecco perché si parla di ambiente sociale, ovvero di un ambiente dove sono considerati più fattori rispetto a quelli fisici e che favoriscono il benessere psico-fisico dell’anziano.
Il terapista occupazionale, l’anziano e il familiare, in modo integrato, identificano e analizzano i problemi funzionali e le loro soluzioni, riportandole nell’ambiente sociale. Allo scopo di fornire suggerimenti coerenti ai sintomi è necessario essere consapevoli delle problematiche presenti negli stadi della malattia. Generalmente, in uno stadio iniziale il soggetto riesce a mantenere l’abilità funzionale e il suo stile di vita quotidiano, ma potrebbero essere necessari degli aggiustamenti in alcune aree personali – al di là dell’ambiente sociale – come:
• Mantenere la forza, la coordinazione, la concentrazione e la gestualità al fine di una efficace esecuzione delle attività della cura di sé e di stabilire una routine quotidiana soddisfacente;
• Mettere in atto un atteggiamento posturale corretto e potenziare una mobilità sicura;
• Mantenere le attività e i ruoli personali sia all’interno che all’esterno del domicilio;
• Comprendere, insieme al caregiver o al familiare, quali supporti e training sono utili rispetto alla gestione dei sintomi nella quotidianità;
• Valutare le problematiche dell‘ambiente fisico e studiare le modifiche che aiutano a mantenere il più a lungo l’indipendenza della persona.
Nelle prime fasi di malattia, l’assistenza al proprio caro con demenza riguarda soprattutto le attività strumentali della vita quotidiana come l’assunzione dei farmaci, fare la spesa, spostarsi fuori casa (Folle et al., 2016). Inoltre, gradualmente anche le relazioni sociali richiedono una facilitazione e una mediazione da parte del familiare, il cui ruolo assistenziale prende progressivamente forma.
Nel corso della malattia, maggiore attenzione viene richiesta dalle attività di base della vita quotidiana, come lavarsi, vestirsi, mangiare e da situazioni potenzialmente pericolose (fughe di gas o ingerimento accidentale di sostanze nocive) necessitano di controllo e supervisione pressoché costanti. È proprio in questa fase, in cui l’assistenza diviene a tempo pieno, che alcuni caregiver decidono di avvalersi dell’aiuto di assistenti familiari esterni alla famiglia.
Inoltre, anche l’ambiente domestico necessita fin da subito, ma soprattutto in questa fase di malattia, di un adattamento che permetta alla persona con demenza di muoversi in un ambiente sicuro e che possa promuovere al contempo il benessere della persona (Gitlin, 2014). Infatti, le difficoltà che incontra il caregiver nella gestione dei disturbi psicologici e comportamentali (aggressività, deliri, allucinazioni, wandering), possono in parte essere alleviate da un ambiente appropriato nella componente architettonica e visuo-percettiva (ad esempio nella scelta dei colori delle pareti) (Calkins, 2018). Per questo è importante mantenere il focus sull’ambiente sociale, per estendere lo sguardo e considerare tutti gli aspetti possibili che influiscono nelle percezioni di benessere dell’anziano.
L’assistenza al proprio famigliare è un compito molto difficile in cui non esistono risposte semplici alle difficoltà da affrontare, come non esistono regole fisse da seguire che funzionino in ogni situazione. Ogni malato è diverso proprio come ogni caregiver, contesto socio-culturale e familiare. Il caregiver dovrà quindi intuire soluzioni che andranno continuamente sperimentate, verificate e modificate con il progredire della malattia.
Consigli utili per alleviare il carico del caregiver
La comparsa e il progredire dei disturbi rende molto più difficoltosa la gestione del malato aumentandone molto il peso del carico assistenziale, sia fisico che psicologico sul caregiver. In linea generale però si possono seguire alcuni accorgimenti che riescono a facilitare l’approccio con l’assistito e rendere più semplice l’interazione con l’ambiente sociale.
Come prima cosa, occorre accettarsi sempre dell’integrità della vista e dell’udito: la loro riduzione porta a un ulteriore peggioramento della comunicazione. Se possibile occorre ricorrere ad apparecchi acustici e/o occhiali da vista.
Imparare a interpretare il linguaggio corporeo del malato, che spesso sostituisce quello verbale, ed esserne a conoscenza faciliterà la comunicazione. Parlare sempre lentamente con parole chiare e semplici, senza distaccare lo sguardo dagli occhi della persona, assicurandoci sempre che lei ci stia guardando e ascoltando, possibilmente in assenza di distrazioni prima della conversazione.
Anche nei momenti più difficili occorre sempre evitare i conflitti e intraprendere una discussione con l’assistito, specie quando manifesta aggressività e irritabilità. Non occorre sottolineare una sua reazione esagerata; il comportamento non dipende dalla sua volontà, ma è uno dei sintomi della sua malattia che lo porta a reagire in un modo sproporzionato anche d’innanzi a eventi di poco conto.
La persona può mostrare tensione, ansia e agitazione dovute a una richiesta del caregiver troppo difficile da eseguire; questo lo porta a non stare fermo e ripetere sempre le stesse domande. Queste difficoltà possono nascere anche da una non corretta interazione con l’ambiente sociale o disagio fisico; occorre quindi mantenere la calma, rassicurarlo e sorvolare momentaneamente sulla questione distraendolo con attività diverse.
È importante rendere idoneo l’ambiente sociale in cui vive il paziente per la sua sicurezza; per facilitarlo nell’orientamento all’interno dell’abitazione, per il riconoscimento delle stanze. Un fattore che in alcuni casi viene trascurato è la corretta illuminazione ambientale e infatti, alcune volte, si presentano casi in cui la sintomatologia peggiora al tramonto. Occorre in questi casi facilitare l’orientamento spazio-temporale del malato, valorizzando le sue abitudini, i suoi ricordi, i suoi oggetti.
È frequente che la malattia modifichi il ritmo sonno-veglia. Il sonno diventa più leggero e frammentato. L’anziano tende a rimanere sveglio di notte e a dormire di giorno. Durante le ore notturne potrebbe alzarsi, lavarsi, vestirsi, voler uscire, parlare ad alta voce, chiamare le persone o frugare nei cassetti. Potrebbe essere utile aiutarlo a rilassarsi prima di andare a riposare e scoraggiare il sonno durante il giorno, mantenendolo attivo attraverso qualche attività fisica nella seconda parte della giornata.
Nell’igiene personale occorre mantenere quanto più possibile inalterate le precedenti abitudini, in modo da evitare cambiamenti che potrebbero disorientare il paziente dalle sequenze piuttosto complesse.
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