Vedere gli anziani come soggetti da traghettare verso un’ultima meta finale vuol dire essere vittime di ageismo. Dovremmo invece impegnarci, non solo a parole, a a implementare progetti di inclusione sociale e di sostegno della loro autonomia.

di Giorgetta Dorfles

 
La vecchiaia non dev’essere come una crociera dove ti  privano della responsabilità di gestire la propria vita. 

I perversi rituali propri dei viaggi in crociera, descritti da David Foster Wallace nel suo libro: “Una cosa divertente che non farò mai più”, sono lo specchio del trattamento che si vorrebbe riservare agli anziani.
 

I croceristi infatti, prigionieri nelle loro cellette, vengono trattati come esseri imbelli e privi di volontà, instradati ad ogni ora del giorno e della notte verso una pletora di intrattenimenti più o meno pacchiani, scortati e diretti continuamente da hostess o animatori, che dir si voglia, perché privati della facoltà di autoregolarsi.
 
Come dire, insomma, che la vecchiaia sia un’agenzia viaggi che ti trasborda in un tempo senza responsabilità ed autonomia, per traghettarti verso la meta finale.
 

La società attuale tende a emarginare gli anziani e a squalificarne le “capacità residue”.
Questa degradazione del pianeta anziano è diventata evidente in un’epoca in cui la modificazione dei costumi, del ruolo della famiglia e dell’organizzazione sociale tendono ad accrescere la tendenza all’egoismo e la volontà di emarginare questi soggetti, considerati inutili per l’efficienza produttivistica della società tardo industriale.
 

Ma raggruppare in un’unica categoria le persone al di sopra dei 65 anni è essenzialmente riduttivo e semplicistico, perché l’età avanzata non produce necessariamente decadimento. Esistono infatti, oltre alle caratteristiche individuali, varie tipologie di anziani. Ad esempio, quelli che non soffrono di patologie di rilievo sono dei cittadini a tutti gli effetti, forse un po’ rallentati, ma ancora capaci di svolgere un’attività e di coltivare interessi.


 Servono interventi e progetti sociali al posto dei discorsi programmatici.
 

Da questa consapevolezza dovrebbero partire interventi diversificati e progetti sociali che abbiano un’azione veramente pragmatica, che raggiunga finalità concrete, come quella di rendere l’anziano protagonista della sua vita. Questo significa poter gestire il proprio tempo libero, scegliere i divertimenti, le relazioni, lo studio, le iniziative  culturali, le attività sportive. Eppure il problema viene affrontato quasi sempre solo in dibattiti e discorsi ufficiali dai toni oratori, dove convergono politici e accademici che vogliono darsi un contegno da progressisti, ma le decisioni sono spesso rimandate oppure naufragano fra mille difficoltà. Dunque, meno convegni e più strutture operative.
 

Eppure già 30 anni fa alcuni esperti sociologi descrivevano le tradizionali formule organizzative per gli anziani insufficienti, disumane ed ingiuste. Si auspicavano invece tipologie di servizi sociali adeguate, quali un alloggio, assistenza domiciliare, servizi ausiliari e di quartiere, centri diurni, soggiorni di vacanza.
 

Basta con gli stereotipi negativi.

É ora che si superino gli attuali stereotipi negativi sulla terza età e venga valutato il suo patrimonio di esperienza e di competenza. Intanto va incoraggiato il mantenimento del lavoro, fino a quando possibile, ma anche il passaggio di testimone: gli anziani che hanno svolto mestieri che vanno perdendosi potrebbero essere inseriti nell’arco produttivo tramite l’insegnamento di queste vecchie pratiche, ma anche continuando le attività artigianali che vanno scomparendo.

Gli anziani potrebbero davvero diventare l’anello di congiunzione tra passato e futuro, per evitare che un intero patrimonio storico e culturale venga perduto e triturato negli ingranaggi della modernità.

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Libri consigliati sull’argomento:


La stagione del raccolto. Il cinema come strumento per comprendere la vecchiaia” di M. Cauzer, F. Mosetti d’Henry e A. Cauzer.

Ageismo. Il mistero del nome perduto” di Luca Lodi.


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Vedere gli anziani come soggetti da traghettare verso un’ultima meta finale vuol dire essere vittime di ageismo. Dovremmo invece impegnarci, non solo a parole a a implementare progetti di inclusione sociale e di sostegno della loro autonomia.

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