I dati degli effetti della pandemia, la necessità di tutelare i diritti degli anziani con demenza e le nuove proposte portate in campo dalle associazioni: l’intervista alla Federazione Alzheimer Italia

La pandemia ha messo ancora più in luce l’esigenza di tutelare i diritti delle persone affette da demenza. In proposito i dati degli effetti della pandemia sui pazienti affetti da demenza che cosa ci dicono?

«Nel settembre 2020 Alzheimer’s Disease International, di cui la Federazione Alzheimer Italia è rappresentante per l’Italia, ha pubblicato il rapporto “Impact and mortality of COVID-19 on people living with dementia: cross-country report”.Lo studio, che ha coinvolto 9 paesi (Regno Unito, Spagna, Irlanda, Italia, Australia, Stati Uniti, India, Kenya e Brasile), affronta proprio l’impatto che il Covid-19 ha avuto sulle persone con demenza nei primi mesi dell’emergenza sanitaria e indica come il virus abbia determinato tassi di mortalità molto alti, si parla del 25% nel Regno Unito, 31% in Scozia e il 19% in Italia. Questi dati confermano anche quanto sia stata alta la percentuale di decessi correlati al Covid-19 di persone con demenza ospiti nelle strutture assistenziali. L’età è il principale fattore di rischio per la demenza e gli anziani sono il gruppo più a rischio di contrarre il virus: conferma ne è il fatto che l’86% dei decessi per Covid-19 riguardano soggetti over 65 anni.

L’impatto della pandemia è stato estremamente drammatico anche per le persone con demenza in assistenza a “Lungo Termine”: a causa del virus hanno avuto accesso limitato alle cure mediche e assistenziali, perso la quotidianità del contatto umano, le diagnosi sono state sospese e così anche la ricerca, tutti fattori che hanno peggiorato la qualità della loro vita. I numeri aiutano a comprendere l’immane tragedia che si è consumata su una popolazione già particolarmente fragile, ma oltre ai numerici sono le tantissime testimonianze di familiari che nei mesi della pandemia hanno contattato la Federazione Alzheimer Italia raccontando le loro storie di solitudine, abbandono e difficoltà.

La pandemia con il distanziamento, il lockdown e la chiusura dei servizi a loro dedicati, ha infatti acuito la fragilità di queste persone; ascoltare dalle loro voci il dolore e la sofferenza che hanno vissuto ha spinto noi della Federazione Alzheimer Italia a chiedere con più forza maggiore tutela per le persone con demenza e ad insistere, a tutti i livelli, affinché non capiti più quanto avvenuto in particolare nella prima parte del 2020».

(Abbiamo affrontato un approfondimento dedicato ai diritti degli anziani nell’articolo su CURA online “I diritti degli anziani: un percorso teorico-pratico, dalle basi costituzionali agli obiettivi concreti da perseguire per tutelarli”).

Quali sono stati secondo voi gli errori più grossi commessi nel primo lockdown in particolare e durante la pandemia più in generale verso le persone con demenza? Quali invece le nuove idee e le buone pratiche messe in campo dalle associazioni italiane che meritano di essere valorizzate e portate avanti?

«Ci sono stati molti errori, specialmente nella fase iniziale della pandemia. È sotto gli occhi di tutti la scarsa reattività del nostro sistema sanitario che non ha saputo affrontare con le risorse adeguate l’emergenza che ha travolto il nostro paese. Pensiamo innanzitutto alla mancanza di DPI ma anche al difficile accesso delle persone con demenza alle terapie intensive: sono state troppe le mancanze nei confronti dei più fragili. Forse l’errore che ha maggiormente colpito anche l’opinione pubblica è stato il ricovero all’interno delle RSA di pazienti con Covid in fase non acuta, pratica che ha causato una vera e propria strage di persone anziane e con demenza all’interno di numerose strutture in tutta Italia.

Tutte le associazioni si sono date da fare in questo periodo incerto attraverso iniziative che potessero formare e informare i familiari su quanto stava accadendo; inoltre, grazie all’uso della tecnologia è stato possibile spostare online una parte delle loro attività e dei servizi, in modo da continuare a far sentire la propria vicinanza a chi era costretto in casa, sia persone con demenza sia familiari, che hanno dovuto subito un ulteriore carico di stress. Alcune associazioni hanno fornito servizi di consegna di spesa o pasti caldi a casa oppure hanno attivato la possibilità di ordinare farmaci tramite telefono, sempre con consegna domiciliare.

Tutte queste iniziative di telemedicina, teleassistenza e di assistenza al domicilio, nate in emergenza, si sono confermate molto utili ed è importante che siano portate avanti in modo da essere uno strumento utile e aggiuntivo della medicina territoriale che, attualmente svuotata delle sue capacità, è importante che torni a essere una grande risorsa per il presente.

Infine, uno degli errori che a nostro avviso è stato commesso quando è partita la campagna vaccinale delle persone fragili è stato che le persone con demenza non sono state infatti considerate una categoria priorità né nella prima versione delle “Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19”. Nel documento si parlava di persone con disabilità grave (secondo la legge 104) e loro caregiver, ma non veniva fatto alcun cenno alle persone con demenza. La demenza è una sindrome, ovvero un insieme di sintomi causati da diverse malattie: le persone con demenza non possono pertanto essere considerate solo fragili, ma devono essere ritenute persone con malattie gravi che richiedono la priorità nel piano vaccinale.».

Sappiamo che in ottobre voi della Federazione Alzheimer partecipato alla XXX conferenza di Alzheimer Europe, intitolata “Dementia in a changing world”. Se pensiamo a un confronto con l’estero, quantomeno l’Europa, cosa potete dirci? Ci sono paesi dai quali dovremmo prendere esempio?

«Sicuramente ci sono molte esperienze europee da cui possiamo prendere esempio, iniziative nate sia dai governi che dalle Associazioni nazionali Alzheimer. Mi vengono in mente, ad esempio, le iniziative Amiche delle Persone con demenza che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso nel suo Piano Globale come strumenti utilissimi per affrontare la demenza e che noi della Federazione Alzheimer Italia abbiamo portato in Italia nel 2016.

Non dobbiamo però pensare, per forza, che quanto avviene all’estero sia migliore, perché i sistemi sanitari nazionali sono diversi e anche i contesti socio-economici spesso sono incomparabili. Noi dobbiamo concentrarci sul miglioramento e l’arricchimento dei servizi qui in Italia e sulla costituzione di un percorso di malattia che sia uniforme in tutte le regioni italiane e che tenga conto delle reali esigenze della persona con demenza e della famiglia. La strada da percorrere è ancora lunga, ma certamente qualche importante passo in avanti è stato realizzato.

Nel mese di aprile 2021 Alzheimer Europe ha pubblicato un aggiornamento del rapporto “European Dementia Monitor” in cui viene illustrato come i paesi europei stanno gestendo la sfida alla demenza, sono esaminati i cambiamenti e i progressi ma anche gli eventuali passi indietro per meglio indirizzare le nazioni nell’identificare iniziative e azioni che possano migliorare la qualità della vita delle persone con demenza e i loro familiari. Sono coinvolti 36 paesi che sono stati valutati in base a 10 differenti parametri suddivisi in 4 macro aree – Assistenza, Ricerca, Politiche sociali, Aspetti legali – per arrivare a una classifica finale stilata sulla base dei risultati ottenuti dagli stati nelle singole categorie. Al primo posto si posiziona la Svezia con un punteggio complessivo del 71,8%, seguita da Regno Unito (Scozia 70,9% e Inghilterra 68,4%), e Belgio (67,2%). L’Italia, da metà classifica, sale al 10° posto con un punteggio di 62,9%, +10% rispetto alla precedente indagine, risalente al 2017.

Il nostro paese registra un miglioramento in quasi tutte le categorie prese in esame, ottenendo il punteggio pieno in due, nello specifico nel riconoscimento dei diritti legali delle persone con demenza e dei loro familiari e nella partecipazione alle iniziative europee di ricerca sulla demenza; in generale, dimostra una grande attenzione per gli aspetti sociali e per la tutela dei diritti delle persone con demenza, grazie anche a iniziative come le Comunità Amiche delle Persone con Demenza realizzate dalla Federazione Alzheimer Italia.

Chiaramente le classifiche mostrano solo una realtà parziale che è figlia degli indicatori di cui si tiene conto, per questa ragione, è necessario un costante dialogo con i territori per comprendere meglio i bisogni emergenti e far sì che i progetti e le iniziative presenti e futuri diano concrete risposte alle persone con demenza.».

Sappiamo anche quanto vi siate battuti a lungo per l’approvazione del finanziamento del Piano Nazionale Demenze (15 milioni in 3 Anni). È un punto di arrivo, ma forse anche un inizio di un percorso dove bisogna stare attenti ora a come ripartire le risorse economiche.

Il Piano Nazionale Demenze è stato approvato nel 2014 ma non è mai stato reso pienamente operativo per mancanza di risorse. Ci dite di più sulla sua storia/evoluzione? Raccontateci meglio anche le vostre azioni di advocacy, portate avanti al fine di non lasciare solo sulla carta il Piano, ma per renderlo un aiuto concreto a persone malate e famiglie?

«Il finanziamento al Piano Nazionale Demenze rappresenta il punto di partenza di un percorso che deve portare il nostro Paese e le nostre istituzioni a prendere coscienza dell’urgenza e della non differibilità di un problema che coinvolge più di un milione di persone. Dal 2018 noi della Federazione Alzheimer Italia organizzato una campagna per finanziare il Piano che ha raggiunto oltre 130.000 firme e parallelamente abbiamo messo in pratica un lavoro, meno visibile ma non meno importante, di advocacy nei confronti delle istituzioni per ottenere quello che abbiamo raggiunto con l’ultima legge di bilancio. Ora dobbiamo concentrarci sull’aggiornamento del Piano Nazionale che ormai ha sette anni e vigilare sul riparto dei pochi fondi stanziati affinché vengano utilizzati per aiutare concretamente le moltissime famiglie che vivono questa malattia».

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