Sostenere la prevenzione e una cultura che non discrimini gli anziani affetti da Alzheimer
di Paola Adele De Martino
Come in tutti gli eventi catastrofici, anche la pandemia da Covid-19 ha coinvolto in misura maggiore i soggetti più fragili, colpiti non solo dal virus ma anche da sistemi politici e sanitari impreparati a rispondere a un’emergenza senza precedenti. In questo scenario ogni scelta compiuta a livello macro-organizzativo ha influito sul micro-cosmo Alzheimer (malati caregiver, operatori) secondo dinamiche sistemiche.
Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia.
Dal film Patch Adams
Contesti sanitari e socio-sanitari
Sono almeno 10.000 le persone morte presumibilmente per Covid-19 nelle RSA italiane. I motivi sono legati soprattutto all’atipicità dell’emergenza, all’assenza o all’inadeguatezza delle strutture e dei protocolli di prevenzione, al personale non formato né attrezzato con adeguati DPI.
La necessità di contenere e prevenire il contagio da Covid-19 ha richiesto la chiusura al pubblico delle strutture sanitarie e socio-sanitarie (ospedali, RSA e case di riposo) generando un’immediata frattura tra le persone con Alzheimer e i loro familiari, con ripercussioni sul già fragile sistema cognitivo degli assistiti.
C’è l’altra questione, poco discussa, dell’introduzione di modifiche nelle procedure di triage ospedaliero per l’accesso alla ventilazione assistita. La carenza di presidi di terapia intensiva ha orientato le commissioni di valutazione a privilegiare i pazienti che mostravano la “maggiore speranza di vita”, escludendo chi non rispondeva a criteri di età o condizioni di comorbidità.
L’Alzheimer Europe ha quindi denunciato il rischio di discriminazione e violazione di principi morali. Anche a livello nazionale, il Comitato Nazionale per la Bioetica ha difeso il diritto universale di accesso alle cure, eticamente e costituzionalmente perseguibile in base all’urgenza, alla gravità di sintomi e alla possibilità prognostica di guarigione.
Contesto domiciliare
La chiusura dei servizi sanitari e sociali di “sollievo” ha spostato il carico assistenziale sulle famiglie e sulla rete del volontariato, che si è adoperata con volontà e fantasia in varie forme di sostegno a distanza, utilizzando lo strumento del telefono o del PC per inviare mail, telefonate, creare gruppi whatsapp, fare videochiamate. Spesso queste modalità di auto-aiuto hanno sostituito i Cafè Alzheimer ed evitato a molti familiari di entrare in burn-out a causa dell’isolamento sociale. Si sono nuovamente sentiti ascoltati, supportati concretamente ed emotivamente nella gestione dell’emergenza.
Ripensare a nuovi Modelli Assistenziali
Le difficoltà vissute da chi per lavoro o per vincolo parentale ha prestato assistenza domiciliare hanno rivelato la debolezza del nostro sistema socio-sanitario, l’assenza di un coordinamento forte, la persistenza di modelli assistenziali biologici e psicosociali che faticano a dialogare. Si è realizzato così un gap tra la gestione sanitaria e quella sociale e dobbiamo ringraziare il mondo del no-profit per aver colmato, in parte, le carenze del pubblico.
È necessario ora ripensare a un nuovo modello assistenziale, fondato su sistemi aperti, circolari e interdipendenti, nei quali le varie professionalità dialoghino per realizzare obiettivi comuni.
Anche l’Alzheimer’s Disease International, portavoce delle associazioni Alzheimer di tutto il mondo, evidenzia la necessità di ridistribuire i servizi sanitari per le demenze sul territorio, integrandoli con i servizi sociali e domiciliari in un’ottica di gestione dei casi integrata e coordinata, che consentirebbe di contenere anche le spese relative a diagnosi, cura e promozione della salute.
La ripresa possibile
Nel mondo rarefatto e confuso prodotto dall’Alzheimer l’unica finalità degli interventi risiede nel miglioramento della qualità della vita non solo della Persona ma di tutto il “Sistema Alzheimer” (malato, familiari e operatori).
Non si devono abbandonare le procedure di prevenzione, ricordando che l’Alzheimer non è di per sé una causa di infezione, ma può aumentare il rischio di contrarre il virus e di diffondere il contagio, per una minor attivazione di comportamenti di vigilanza e di auto-protezione, deputati all’area delle funzioni esecutive.
Sarà bene recuperare anche le buone pratiche assistenziali utili al rallentamento della malattia:
- stimolando la persona con Alzheimer attraverso esercizi strutturati o di tipo occupazionale;
- ricordando che ogni tipo di attività consente di attivare anche i domini affettivi e relazionali, dato che genera emozioni positive rassicuranti e potenzia il senso di autoefficacia del sistema;
- favorendo le uscite e l’attività motoria “dolce”;
- sostenendo il mantenimento della memoria procedurale (più resistente alla degenerazione) per conservare più a lungo l’autonomia della persona.
Utili a questo scopo alcune attività occupazionali e quelle legate alla storia personale, quali suonare, cantare, disegnare, recitare poesie. Non dobbiamo mai sottovalutare la storia di vita della Persona con Alzheimer. Sarà essa a indicarci la strada per il potenziamento del benessere nel qui ed ora di quella Persona, oltre a favorirne l’autodeterminazione, per quanto possibile.
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