Che cos’è il diritto alla demenza?
Si può vivere bene anche con la demenza?
Le carte dei diritti sono uno strumento efficace?

A cura di Elisabetta Granello, Vice presidente dell’Associazione Al confine

Il tema di questo articolo – Demenza e diritti – mi ha ricordato un incontro promosso dall’associazione Al Confine nell’ambito della Rete Alzheimer del Comune di Milano per la giornata Alzheimer 2015, il cui titolo era Diritto alla demenza? In uno degli interventi, compariva un’altra domanda Si può vivere bene anche con la demenza? Provo dunque ad esplorare il nostro tema a partire da una breve riflessione su questi due punti interrogativi.

Il primo di essi testimonia che cinque anni fa l’affermazione dei diritti doveva ancora in qualche modo essere attenuata, posta in forma dubitativa. Oggi forse non lo faremmo.

In questi anni abbiamo vissuto un significativo e positivo spostamento di attenzione dalla malattia alla persona. Si è fatta strada l’idea che la perdita cognitiva non è la perdita dell’identità, che la demenza – pur restando condizione problematica, correlata a modificazioni biologiche oggetto di continua ricerca e di una sempre migliore definizione – è tuttavia un modo di essere della persona, che può essere compreso e accolto.

Questo cambiamento di orizzonte corrisponde alla maggior frequenza e convinzione con cui oggi rispondiamo positivamente alla seconda domanda: si può vivere bene con la demenza? Abbiamo imparato che sì, è possibile, se cambiamo punto di vista ed entriamo con rispetto e curiosità nel mondo della persona con demenza. Nessuna illusione, è un processo difficile, dagli esiti incerti; non ci aspettiamo la guarigione, non cerchiamo in prima istanza un recupero funzionale, ma la possibilità di una vita buona, di una quotidianità normale, di relazioni autentiche, dunque anche conflittuali, ricche di senso nella reciprocità della cura. Molte testimonianze ci dicono che questo è possibile.

Il cambiamento al quale abbiamo accennato è il frutto di eterogenee esperienze, di un lavoro di ricerca che ha seguito molte strade diverse, come è testimoniato dai numerosi approcci teorici proposti e dal moltiplicarsi dei cosiddetti interventi psicosociali.

In questo contesto, una linea di azione interessante è rappresentata dalle diverse carte dei diritti elaborate in questi ultimi anni da associazioni e istituzioni ed è proprio sulla natura e l’efficacia di questo strumento che cercherò ora di concentrare l’attenzione.

Anche a Milano si è lavorato in questa direzione, producendo la Carta dei diritti alla salute della persona con deficit cognitivo. Condivido alcuni pezzi di questa esperienza, nei suoi aspetti positivi e nelle sue difficoltà, sperando che alimenti una riflessione collettiva che valorizzi i primi e aiuti a superare le seconde.

La Carta è nata nel contesto del Tavolo Alzheimer, voluto dal Comune di Milano, che dal 2012 è costituito come luogo di confronto tra istituzioni sanitarie, sociosanitarie ed enti del terzo settore al fine di favorire lo sviluppo del servizio Rete Alzheimer dello stesso Comune. Nasce da una proposta dell’Osservatorio Alzheimer, piccolo gruppo di lavoro multidisciplinare orientato alla promozione di una nuova cultura e di buone prassi nel campo delle demenze.

Il testo della Carta può suggerire diverse considerazioni, di linguaggio e di merito. A me preme mettere in evidenza che essa, pur riguardando anche aspetti di tutela in ambito diagnostico e terapeutico, si apre con un riferimento al diritto alla socialità, contro la solitudine e l’isolamento. Vedremo come questa indicazione può divenire operativa, essa comunque indica nella salvaguardia (o nella ricostruzione) delle relazioni familiari e sociali l’elemento fondante di ogni possibile benessere, la finalità ultima anche dei necessari interventi specialistici, siano essi medici o sociali.

Una ricaduta coerente di questa impostazione è l’attenzione ai bisogni e ai diritti sia della persona con demenza che di coloro che se ne prendono cura.

Non c’è benessere possibile se non è condiviso, il malato sta bene se chi lo cura è nelle condizioni a sua volta di stare bene e viceversa. Siamo piuttosto lontani dall’idea dei caregiver come vittime, dei malati come un peso per la società.

Certo, una carta sono solo parole, ma sono parole importanti.

Non riprendo gli altri contenuti del documento contando sulla partecipazione dei lettori, che potranno arricchire la discussione con i loro commenti e le loro osservazioni. Inoltre, per quanto necessaria sia la ricerca di parole precise ed efficaci, la scrittura della Carta è solo un punto di partenza, un’operazione relativamente facile. Poi bisogna farla conoscere e possibilmente applicarla. Come? Si può fare qualcosa di più che presentarla in un convegno e pubblicarla in rete? 

Nell’esperienza milanese sono state proposte molte azioni, alcune riferibili a comportamenti individuali altre che invece richiedono un impegno (anche di risorse) collettivo. A favore dei singoli (malati, caregiver, operatori di ogni qualifica) è stata fatta una sorta di traduzione della carta nella lingua della quotidianità.

Qualche esempio.

  • Diritto alla socialità: so dire la malattia, comunicandone l’esistenza senza vergogna, andando a cena con gli amici anche se c’è tra noi una diagnosi di demenza.
  • Diritto alla dignità: sono curioso di capire il significato dei comportamenti della persona con demenza.

Chi vuole può provare: per ogni articolo 3-4 azioni precise, non è esercizio banale. L’elenco delle azioni collettive può essere lungo. Azioni formative, in particolare rivolte ai bambini e ragazzi, ricerca e riduzione delle barriere cognitive negli spazi pubblici, facilitazione dell’accesso ai servizi e alle istituzioni culturali. È la costruzione della comunità amica. Qui il problema non è tanto di individuare le azioni, ma di avere la forza di compierle.

Infine il Progetto Pilota, un’idea a cui sono affezionata, anche se per ora è solo un’ipotesi. Trovare una realtà (RSA, reparto ospedaliero, associazione, ambulatorio, …) interessata e disponibile a provare a fare un’analisi partecipata, con tutti gli interessati, della reale situazione in ordine ai diritti, a partire dalla quale individuare eventuali cambiamenti necessari, nella gestione degli spazi e dei tempi, nei processi di lavoro, nella formazione e organizzazione degli operatori, nel ruolo delle famiglie e così via. Si tratta di fare una verifica sperimentale di quello che succede quando le affermazioni di principio vengono innestate nella concreta vita quotidiana. 

Dobbiamo dire che di questo innesto c’è ancora bisogno: non è solo in tempi pandemici che alle persone con decadimento cognitivo i diritti dei quali stiamo parlando sono più o meno sistematicamente negati, da istituzioni chiuse in sé stesse, da famiglie in difficoltà, da una società inutilmente competitiva. La motivazione di questo articolo sta tutta nella convinzione che questo innesto non solo sia necessario ma sia possibile e che le tante esperienze positive che già esistono possano diffondersi e consolidarsi.

Per concludere: le Carte dei diritti possono essere strumento di cambiamento culturale prima ed operativo poi? Con quali modalità o attraverso quali iniziative? Quali buone pratiche possiamo segnalare? Ecco un campo di studio e di sviluppo.

Riferimenti sitografici

Carta dei diritti della persona con demenza, 1999 – Federazione Alzheimer Italia – www.alzheimer.it
Global dementia charter, 2013 – Alzheimer disease international – www.alz.co.uk
Dichiarazione di Glasgow, 2014 – www.alzheimer-europe.org

About the Author: Editrice Dapero

Casa Editrice Indipendente per una cultura condivisa nel settore dell’assistenza agli anziani.

Che cos’è il diritto alla demenza?
Si può vivere bene anche con la demenza?
Le carte dei diritti sono uno strumento efficace?

A cura di Elisabetta Granello, Vice presidente dell’Associazione Al confine

Il tema di questo articolo – Demenza e diritti – mi ha ricordato un incontro promosso dall’associazione Al Confine nell’ambito della Rete Alzheimer del Comune di Milano per la giornata Alzheimer 2015, il cui titolo era Diritto alla demenza? In uno degli interventi, compariva un’altra domanda Si può vivere bene anche con la demenza? Provo dunque ad esplorare il nostro tema a partire da una breve riflessione su questi due punti interrogativi.

Il primo di essi testimonia che cinque anni fa l’affermazione dei diritti doveva ancora in qualche modo essere attenuata, posta in forma dubitativa. Oggi forse non lo faremmo.

In questi anni abbiamo vissuto un significativo e positivo spostamento di attenzione dalla malattia alla persona. Si è fatta strada l’idea che la perdita cognitiva non è la perdita dell’identità, che la demenza – pur restando condizione problematica, correlata a modificazioni biologiche oggetto di continua ricerca e di una sempre migliore definizione – è tuttavia un modo di essere della persona, che può essere compreso e accolto.

Questo cambiamento di orizzonte corrisponde alla maggior frequenza e convinzione con cui oggi rispondiamo positivamente alla seconda domanda: si può vivere bene con la demenza? Abbiamo imparato che sì, è possibile, se cambiamo punto di vista ed entriamo con rispetto e curiosità nel mondo della persona con demenza. Nessuna illusione, è un processo difficile, dagli esiti incerti; non ci aspettiamo la guarigione, non cerchiamo in prima istanza un recupero funzionale, ma la possibilità di una vita buona, di una quotidianità normale, di relazioni autentiche, dunque anche conflittuali, ricche di senso nella reciprocità della cura. Molte testimonianze ci dicono che questo è possibile.

Il cambiamento al quale abbiamo accennato è il frutto di eterogenee esperienze, di un lavoro di ricerca che ha seguito molte strade diverse, come è testimoniato dai numerosi approcci teorici proposti e dal moltiplicarsi dei cosiddetti interventi psicosociali.

In questo contesto, una linea di azione interessante è rappresentata dalle diverse carte dei diritti elaborate in questi ultimi anni da associazioni e istituzioni ed è proprio sulla natura e l’efficacia di questo strumento che cercherò ora di concentrare l’attenzione.

Anche a Milano si è lavorato in questa direzione, producendo la Carta dei diritti alla salute della persona con deficit cognitivo. Condivido alcuni pezzi di questa esperienza, nei suoi aspetti positivi e nelle sue difficoltà, sperando che alimenti una riflessione collettiva che valorizzi i primi e aiuti a superare le seconde.

La Carta è nata nel contesto del Tavolo Alzheimer, voluto dal Comune di Milano, che dal 2012 è costituito come luogo di confronto tra istituzioni sanitarie, sociosanitarie ed enti del terzo settore al fine di favorire lo sviluppo del servizio Rete Alzheimer dello stesso Comune. Nasce da una proposta dell’Osservatorio Alzheimer, piccolo gruppo di lavoro multidisciplinare orientato alla promozione di una nuova cultura e di buone prassi nel campo delle demenze.

Il testo della Carta può suggerire diverse considerazioni, di linguaggio e di merito. A me preme mettere in evidenza che essa, pur riguardando anche aspetti di tutela in ambito diagnostico e terapeutico, si apre con un riferimento al diritto alla socialità, contro la solitudine e l’isolamento. Vedremo come questa indicazione può divenire operativa, essa comunque indica nella salvaguardia (o nella ricostruzione) delle relazioni familiari e sociali l’elemento fondante di ogni possibile benessere, la finalità ultima anche dei necessari interventi specialistici, siano essi medici o sociali.

Una ricaduta coerente di questa impostazione è l’attenzione ai bisogni e ai diritti sia della persona con demenza che di coloro che se ne prendono cura.

Non c’è benessere possibile se non è condiviso, il malato sta bene se chi lo cura è nelle condizioni a sua volta di stare bene e viceversa. Siamo piuttosto lontani dall’idea dei caregiver come vittime, dei malati come un peso per la società.

Certo, una carta sono solo parole, ma sono parole importanti.

Non riprendo gli altri contenuti del documento contando sulla partecipazione dei lettori, che potranno arricchire la discussione con i loro commenti e le loro osservazioni. Inoltre, per quanto necessaria sia la ricerca di parole precise ed efficaci, la scrittura della Carta è solo un punto di partenza, un’operazione relativamente facile. Poi bisogna farla conoscere e possibilmente applicarla. Come? Si può fare qualcosa di più che presentarla in un convegno e pubblicarla in rete? 

Nell’esperienza milanese sono state proposte molte azioni, alcune riferibili a comportamenti individuali altre che invece richiedono un impegno (anche di risorse) collettivo. A favore dei singoli (malati, caregiver, operatori di ogni qualifica) è stata fatta una sorta di traduzione della carta nella lingua della quotidianità.

Qualche esempio.

  • Diritto alla socialità: so dire la malattia, comunicandone l’esistenza senza vergogna, andando a cena con gli amici anche se c’è tra noi una diagnosi di demenza.
  • Diritto alla dignità: sono curioso di capire il significato dei comportamenti della persona con demenza.

Chi vuole può provare: per ogni articolo 3-4 azioni precise, non è esercizio banale. L’elenco delle azioni collettive può essere lungo. Azioni formative, in particolare rivolte ai bambini e ragazzi, ricerca e riduzione delle barriere cognitive negli spazi pubblici, facilitazione dell’accesso ai servizi e alle istituzioni culturali. È la costruzione della comunità amica. Qui il problema non è tanto di individuare le azioni, ma di avere la forza di compierle.

Infine il Progetto Pilota, un’idea a cui sono affezionata, anche se per ora è solo un’ipotesi. Trovare una realtà (RSA, reparto ospedaliero, associazione, ambulatorio, …) interessata e disponibile a provare a fare un’analisi partecipata, con tutti gli interessati, della reale situazione in ordine ai diritti, a partire dalla quale individuare eventuali cambiamenti necessari, nella gestione degli spazi e dei tempi, nei processi di lavoro, nella formazione e organizzazione degli operatori, nel ruolo delle famiglie e così via. Si tratta di fare una verifica sperimentale di quello che succede quando le affermazioni di principio vengono innestate nella concreta vita quotidiana. 

Dobbiamo dire che di questo innesto c’è ancora bisogno: non è solo in tempi pandemici che alle persone con decadimento cognitivo i diritti dei quali stiamo parlando sono più o meno sistematicamente negati, da istituzioni chiuse in sé stesse, da famiglie in difficoltà, da una società inutilmente competitiva. La motivazione di questo articolo sta tutta nella convinzione che questo innesto non solo sia necessario ma sia possibile e che le tante esperienze positive che già esistono possano diffondersi e consolidarsi.

Per concludere: le Carte dei diritti possono essere strumento di cambiamento culturale prima ed operativo poi? Con quali modalità o attraverso quali iniziative? Quali buone pratiche possiamo segnalare? Ecco un campo di studio e di sviluppo.

Riferimenti sitografici

Carta dei diritti della persona con demenza, 1999 – Federazione Alzheimer Italia – www.alzheimer.it
Global dementia charter, 2013 – Alzheimer disease international – www.alz.co.uk
Dichiarazione di Glasgow, 2014 – www.alzheimer-europe.org

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