Emozioni forti alla Honegger di Albino (Bergamo)
di Paolo Piccoli – Educatore
Non so dire se siano passati pochi mesi o molti anni dalla fine della cosiddetta fase1. I ricordi viaggiano per immagini ben piantate nella memoria, ma poco sensibili allo scorrere del tempo.
Sono immagini di un periodo sospeso, ovattato. Sono ricordi muscolari, uditivi, fisici, oltre che mentali. Rivivere quei momenti è tornare lì, anche con le viscere. Un tempo silenzioso, interrotto soltanto dal suono delle sirene. Tante sirene. Tutto il giorno e tutta la notte. Tanto che ancora oggi, quando sento quel suono, la mente mi precipita lì, in quel tempo e in quel luogo. In quella residenza per anziani in cui il lavoro era diventato una missione, una guerra quotidiana contro quel male invisibile che toglieva il respiro, letteralmente.
Le immagini impresse nella memoria sono i volti delle persone che con gli occhi parlavano, sono i muri delle stanze dalle tinte pastello, gli oggetti di vita quotidiana riposti sui comodini, le carte da gioco posate sui tavoli negli spazi comuni. Sono pezzi di vita e storie personali che danno la misura del valore del tempo, di ogni singola persona che li ci vive o ci ha vissuto.
Purtroppo questo virus ha cancellato la ritualità dell’ultimo saluto prima del grande viaggio e con lui la capacità di metabolizzare il lutto. Troppi se ne sono andati, e rendersene conto è un processo che implica tempo.
In tutto questo però, la grande consolazione e motore per la ripartenza, è la convinzione profonda che le persone che ci hanno lasciato, fino all’ultimo si sono sentite a casa. L’ambiente di vita, i professionisti della cura e l’aspetto non farmacologico, sono stati elementi fondamentali. I nostri residenti non sono mai stati in un letto di ospedale, ma nella loro stanza. In un ambiente costruito su di loro e per loro. Nella loro casa. E questo, ha fatto davvero la differenza.
“Andrà tutto bene”? Non lo so. E forse non è questo il punto. Probabilmente, non sarebbe andato tutto bene nemmeno se non ci fosse mai stato questo maledetto virus.
“Ne usciremo tutti migliori”? Non credo. Ne usciremo diversi, certo, ma non per forza migliori, o almeno, non tutti. Le lezioni della vita non sono mai definitive o assolute.
Se c’è qualcosa che posso aver compreso, di questo strano stare al mondo, è che qualunque certezza si possa avere, il futuro arriverà e ci coglierà sempre e comunque impreparati.
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Emozioni forti alla Honegger di Albino (Bergamo)
di Paolo Piccoli – Educatore
Non so dire se siano passati pochi mesi o molti anni dalla fine della cosiddetta fase1. I ricordi viaggiano per immagini ben piantate nella memoria, ma poco sensibili allo scorrere del tempo.
Sono immagini di un periodo sospeso, ovattato. Sono ricordi muscolari, uditivi, fisici, oltre che mentali. Rivivere quei momenti è tornare lì, anche con le viscere. Un tempo silenzioso, interrotto soltanto dal suono delle sirene. Tante sirene. Tutto il giorno e tutta la notte. Tanto che ancora oggi, quando sento quel suono, la mente mi precipita lì, in quel tempo e in quel luogo. In quella residenza per anziani in cui il lavoro era diventato una missione, una guerra quotidiana contro quel male invisibile che toglieva il respiro, letteralmente.
Le immagini impresse nella memoria sono i volti delle persone che con gli occhi parlavano, sono i muri delle stanze dalle tinte pastello, gli oggetti di vita quotidiana riposti sui comodini, le carte da gioco posate sui tavoli negli spazi comuni. Sono pezzi di vita e storie personali che danno la misura del valore del tempo, di ogni singola persona che li ci vive o ci ha vissuto.
Purtroppo questo virus ha cancellato la ritualità dell’ultimo saluto prima del grande viaggio e con lui la capacità di metabolizzare il lutto. Troppi se ne sono andati, e rendersene conto è un processo che implica tempo.
In tutto questo però, la grande consolazione e motore per la ripartenza, è la convinzione profonda che le persone che ci hanno lasciato, fino all’ultimo si sono sentite a casa. L’ambiente di vita, i professionisti della cura e l’aspetto non farmacologico, sono stati elementi fondamentali. I nostri residenti non sono mai stati in un letto di ospedale, ma nella loro stanza. In un ambiente costruito su di loro e per loro. Nella loro casa. E questo, ha fatto davvero la differenza.
“Andrà tutto bene”? Non lo so. E forse non è questo il punto. Probabilmente, non sarebbe andato tutto bene nemmeno se non ci fosse mai stato questo maledetto virus.
“Ne usciremo tutti migliori”? Non credo. Ne usciremo diversi, certo, ma non per forza migliori, o almeno, non tutti. Le lezioni della vita non sono mai definitive o assolute.
Se c’è qualcosa che posso aver compreso, di questo strano stare al mondo, è che qualunque certezza si possa avere, il futuro arriverà e ci coglierà sempre e comunque impreparati.