Un racconto di Luca Lodi

Salgo in reparto, pochi passi e giungo in refettorio. Ampio, con ingombranti tavoli identici dove sperduti naufraghi sostano in attesa di una nave di passaggio. Tra questi c’è N., spicca in modo evidente perché ha acceso un grande falò di segnalazione. Piange a dirotto, quasi singhiozzando. Non mi vede neanche, ma io ho ben visto lei e le sue lacrime. Ho mille impegni, un’attività che deve iniziare e soprattutto non ho ancora bevuto il caffè con i colleghi. Tutto succede in modo repentino, mentre devio il mio percorso sto provando, mentalmente, a dare delle risposte plausibili a tutti gli appuntamenti che sto posticipando. 

Prendo una sedia e chiamandola per nome le sorrido. Lei si ferma e mi guarda un po’ stranita. Eppure mi conosce, nonostante la demenza non le permetta di avere percorsi lineari, o una memoria di ferro. Solo allora mi do dello stupido: ho la mascherina. La tengo per così tanto tempo che a volte me la dimentico e continuo, come un ebete a sorridere da sotto quell’indispensabile riparo. N. non solo fatica a mettermi a fuoco, ma non ha visto nemmeno il mio sorriso. Riprende a piangere cercando i miei occhi. Prendo la sua mano; lei un po’ sollevata se la lascia stringere.

In quel momento arriva un OSS che mi comunica l’ovvio: «le manca suo marito…». Da quando sono in vigore le nuove normative che regolano l’accesso dei parenti, A. non può essere presente come vorrebbe… come è sempre stato. Questo vuoto favorisce un’enorme eco dentro a N. Le sue emozioni vibrano forti senza essere smorzate dal giudizio o dalle regole della vita comune. 

Le parlo con dolcezza tentando di calmarla, di farle sentire la mia vicinanza. Almeno un po’ di calore. Ma a N. non basta, e di questo ne sono cosciente e l’eco del suo vuoto inizia a risuonare anche in me. È frustrante. Vorrei veramente fare qualcosa ma io non sono A. 

Dopo essermi perso negli occhi di N. e aver perso ogni speranza, ecco che mi sorride. Forse il mio intervento non è stato del tutto vano. 

Mentre mi allontano continuo a pensare a lei e alla mancanza che prova. Alla fine nonostante la demenza, ogni ratio e le limitazioni imposte dal contenimento del Corona Virus, lei vuole lui. È questa la sintesi del loro amore. Un sentimento che non si arresta nemmeno all’evidenza, ma che ha bisogno di sfogo o di essere appagato. 

Dopo l’attività torno in refettorio a vedere come sta e con mia grande gioia, lì accanto c’è lui. Il poco tempo che ha a disposizione non poteva giocarlo meglio. Lei si è rasserenata, probabilmente ha scordato anche le lacrime e gli occhi lucidi. Mi avvicino e saluto con calore entrambi. Sono proprio felice. Mi allontano con un sorriso ebete. Incontro nel corridoio l’OSS di prima con lo stesso mio sorriso.

Finalmente un naufrago è stato salvato dalla sua isola. 

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Un racconto di Luca Lodi Salgo in reparto, pochi passi…

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